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(parte V)
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Afferrò immediatamente la pala, ma quando si rese conto della durezza del terreno la posò, imbracciò il piccone e iniziò a dare colpi a casaccio, finché non si decise a concentrarsi su un solo pezzo che presto diventò un solo buco.
Con la pala rimuoveva i frantumi frammisti al suo sudore e godeva delle gocce e del sapore di quella fatica; ma poi finì per stancarsi e vide arrivare verso di sé un’immagine che somigliava a qualcuno che era lui stesso, ma con un filo di ironia beffarda che nei suoi occhi non ricordava. E quell’immagine rideva e rideva metallica e ridendo colava bava giallastra. Lui non la temette per niente e benché lei non parlò, sentì che lo consigliava di smettere, mentre la bava ribolliva in un pantano d’acqua e sudore. Di balzo lo sciamano strinse nelle due mani la pala e tentò di colpirla, ma l’immagine era agile. Allora raccolse lo schiumoso composto di terra e bava che era ai suoi piedi e glielo gettò sulla faccia che di colpo iniziò a trasformarsi cancellando i toni di quel suo ghigno beffardo. Ora vedeva di fronte un suo doppio, uno dei tanti che aveva notato nella schiera di prima, che mentre per un momento ricordò, subito rimosse e dimenticò forse per sempre.
Il doppio lo invitò a continuare, ma lo sciamano ora si sentiva scoraggiato, si sentiva intronato, si sentiva diffidente; pensò che era inutile e, chissà, pericoloso: cosa sarebbe potuto uscire da quella buca? Ma il doppio gli strinse le braccia, lo scosse, lo baciò sulla bocca e lo convinse a continuare: …uno usò la pala e l’altro il piccone, e quando si alzò la luna, entrambi erano in una fossa profonda sei volte la loro altezza e, sincronicamente, caddero stesi al suolo in un profondo sonno.
Lo sciamano sognò colombe che uscivano dalla terra e scuotevano le ali rigettando sul suolo la polvere che vi si era appiccicata. Tutto il cielo diventò il bianco delle loro piume.
(parte VI)
Appena svegli cominciarono di nuovo a scavare e lo sciamano pensò che sarebbero potuti uscire per davvero quei candidi uccelli dal fango e volare liberi su nel celo; ma gli cacarono in testa quando si materializzarono, come tutto, con la forza della sua mente.
Lui allora imprecò Mahoma, che venne sotto le spoglia di un leone e sbranò il suo amico, poi balzò su di lui e prese a leccarlo affettuoso. Ma lo sciamano odiava la bava degli altri e improvvisamente si fece nervoso, saltò sul leone, gli cavò gli occhi e lo uccise. Poi sfregando le pietre fece del fuoco, arrostì il leone, bevve il suo sangue e mangiò.
Il giorno dopo restò immobile invocando perdono, gli occhi fissi al cielo e la mente in ginocchio.
Quando una voce gli disse: “Sei stanco.”, capì che si era perdonato e si propose di non chiamare più né leoni né doppi…
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gaetano vergara © 1986