Erano due ore che Warkrieg mi inseguiva brandendo la sua enorme spada. La vedevo luccicare al sole e mi abbagliavo di quel fulgore. Tiravo disperatamente le mie lance d’argento e già presentivo quella lama infuocata sul mio giovane collo imberbe. Neanche una si avvicinava al nero bersaglio lucente.
La mia vista era ubriaca di quei bagliori. Confondevo la spada coi raggi del sole e le lance erano troppo pesanti per le mie braccia inesperte.
Decisi di smettere i miei inutili tiri al bersaglio per concentrare lo sguardo sulla mongolfiera baluginante di Warkrieg: entrambe le mani mi facevano da schermo contro il lucore della terribile lama. Vidi il suo velivolo avvicinarsi al mio. Tremai così forte da scuotere il mio aerostato e rallentarne ulteriormente la corsa. Per riprendere velocità gettai via le ultime due zavorre di sabbia e piombo. Ma Warkrieg continuava ad avanzare verso di me, verso la mia giovane vita. Disperato, tirai ancora una lancia dal gigantesco forziere che il Re mi aveva dato in dotazione, e nel lanciarla mi resi conto che pesava almeno quanto la zavorra. Mi restavano ancora trentanove lance nell’aerostato. Le ho contate a mano a mano che le gettavo a mare per alleggerire il peso del mio velivolo e volarmene via, alla faccia di Warkrieg e del Re.
Mentre mi allontanavo nell’aria, gli gridai che avrebbe dovuto buttare in acqua la sua spada ingombrante, se avesse voluto raggiungermi. Ma Warkrieg non avrebbe mai abbandonato quei pezzi di ferro forgiati a foggia di croce. Forse non avrebbe neanche potuto. Sembrava anche lui accecato dalla luce terribile di quella lama, e il vento continuava a spirare in senso contrario impedendogli di seguire il suono flebile della mia povera voce.
gaetano vergara © 1993-2004
[Dedicato a Gennaro Pannone e PF Alfarach che accompagnavano la prima versione di queste parole con portentose corde elettrificate che avevano il pregio aggiunto di sovrapporsi al suono flebile della mia voce]