Ieri ho assistito alla Feltrinelli di Napoli ad un concerto-intervista di Pippo Pollina moderato da un collaboratore del compianto Repubblica Musica (al momento mi sfugge il nome di questo giornalista: Federico Vacalebre? Ernesto Assante?, Gino Castaldo sicuramente no, perché Castaldo me lo ricordo).
In realtà, ci ero andato più che altro per curiosità e per far piacere alla mia amica Aitana che conosce di persona questo cantautore siculo-europeo e ne segue da Buenos Aires le imprese artistiche.
Io, invece, delle composizioni di Pippo Pollina ho poca esperienza. Avevo ascoltato qualcosa del suo primo gruppo, gli Agricantus; ricordavo una canzone che aveva registrato qualche anno fa con gli Inti Illimani; sapevo di collaborazioni con Battiato e Nada ed avevo sentito parlare e letto qui e là del suo successo fuori patria (da quello che ho capito, dopo un lungo girovagare per il mondo, Pippo Pollina risiede da un decennio a Zurigo). Ma non potevo certo annoverarmi né tra i suoi aficionados né tra i suoi più moderati conoscitori.
Tuttavia, mi ha fatto piacere trascorrere un paio di ore ascoltandolo parlare, suonare e cantare. Ne è venuta fuori una bella figura di “provinciano universal” capace di innamorarsi di tutto ed assorbire culture di varia provenienza con sensibilità e spirito critico. Mi è piaciuto ritrovare in lui quell’urgenza di riscontrare negli altri una parte di noi stessi di cui tante volte ho parlato su queste pagine, soprattutto in riferimento alla musica. Ma più di ogni altra cosa ho avuto modo di conoscere una persona simpatica e consonante con certe mie corde razionali, emotive e civili.
Allo show-case (insisto a chiamarlo con questa definizione inglese perché così lo hanno presentato ieri ed aggiungo, per i non anglo-parlanti, che questo termine corrisponde all’italiano vetrina, bacheca, mostra-spettacolo), Pollina ha presentato 4 brani dell’ultimo cd (album che nel momento in cui scrivo mi fa da colonna sonora) in versione minimale (due al piano, due alla chitarra). Ho particolarmente apprezzato un testo cantato in italiano e in spagnolo: si intitola Il pianista di Montevideo ed è dedicato ad un musicista uruguayano che PippoPò aveva sentito suonare all’Hotel Palace di Ginevra mentre i clienti dell’albergo chiacchieravano amenamente fregandosene delle sue raffinate interpretazioni (e tra le note sento risuonare certe atmosfere che ricordano Gardel, Pugliese e Aníbal Troilo). Ma è stata l’esecuzione dell’ultima canzone quella che mi ha fatto sentire particolarmente compiaciuto, come quando ti trovi a condividere i medesimi gusti con una persona or ora incontrata al bar e che già ti sembra di conoscere da sempre. L’esecuzione in questione è stata quella de La ballata della moda, una canzone poco nota di Luigi Tenco, che ricordo in un vecchio vinile in cui il grande cantautore genovese interpretava brani suoi, di De Andrè (La ballata dell’eroe), di Jannacci (Passaggio a livello) e perfino una versione italiana del dylaniano Blowing in the wind (che poi avrebbero cantato anche nelle chiese e negli oratori).
Sul cd, intitolato Bar Casablanca, le canzoni suonano ancora meglio, soprattutto quelle impreziosite dai fiati di Javier Girotto (eccelso sassofonista e polistrimentista argentino residente in Italia da almeno 15 anni e fondatore degli Aires Tango).
Aggiungo che è stata molto interessante anche l’intervista che intervallava l’ascolto dei brani. Si è parlato della difficoltà di trovare spazi musicali in una città come Napoli; dei problemi di diffusione culturale in un paese sempre più omologato ai gusti delle tv governative; delle carenze strutturali della Kultur-Industrie nazionale; del paradosso della ciurma governativa che si autodefinisce Polo delle Libertà. Si è parlato dell’esigenza di confrontarsi con altre culture partendo dalle proprie radici; dell’amore per l’America Latina; delle esperienze formative di Pippo Pollina, dai viaggi alle letture ed all’impegno civile; del potere unificante della musica; degli istanti di felicità che si possono provare suonando. Si è parlato di Sicilia; di mare e di mafia; di un progetto cinematografico di prossima uscita in Svizzera; dei rapporti tra canzone e letteratura; della differenza tra il suonare utilizzando strumenti elettronici o battendo su pelli, corde e tasti capaci di vibrare in consonanza con l’impeto del musicista.
L’incontro si è concluso con un paio di domande che mi piace lasciar campeggiare da queste pagine: da cosa dipende la maggiore apertura culturale delle popolazioni del centro Europa; perché un cantautore come Pippo Pollina si trova a fare l’emigrato di lusso a Zurigo ed esplica fuori dall’Italia la parte più cospicua della sua attività artistica?
Show Case di Pippo Pollina
02 mercoledì Feb 2005
Posted musiche, vita civile
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Resumiendo todo lo que siento: gracias.
Y me alegra que te haya gustado.
:)
mizzica pare appetitoso!
appena posso lo assaggio. :-)
E che mi dici, caro aitanito esperto, di FEDERICO AUBELE e del suo CD “Gran Hotel Buenos Aires”?
e’ un genio o una bufala? O una bufala geniale
“ciurma governativa”…mi piace proprio…e purtroppo rende bene l’idea…
Baci.
Qué suerte tiene Aitana por tener a un amigo que le hace caso en sus peticiones !!!! ;-))
Desde la más pura envidia.
Buenos carnavales!
Approfitto per segnalarti alcune considerazioni vecchia maniera sulla scrittura.
Trovo difficile scrivere.
Tutti scriviamo.
Che senso ha scrivere ?
E stronzate del genere.
Lo so, non c’entra con Pollina.
E’ che raccontare prevede responsabilità
E’ che la democrazia-massificante abolisce l’aura (Baudelaire, Benjamin).
Chi ci autorizza e intorno a cosa ?
Mi costa sangue scrivere.
E forse è solo un vezzo o il filo sottile, staccatosi dalla tela del Ragno a cui si appende disperata la mia identità….Se una sola ce ne è…e io la cerco, e forse non c’è o una sola non c’è…
Basterà l’alito di una mosca a spezzare il filo e ricomincerò a cercare altrove altri giochi.
Ho incontrato poeti a Bollogna a discutere di ciò…
Come se il genio avesse necessità di controllare un’arte…brutto segno…
O buono….
Se penso agli stilnovisti….
Riflettere, riflettere, riflettere….attendendo (speriamo non invano), che le budella tornino a contorcersi e a evacuare un lampo, una frase…
I poeti a Bologna incontrati han parlato di ricerca, ricerca di un maggiore lordarsi con la REALTA’…di un linguaggio più adatto….adatto a che ? Jean, poeta belga, accenna all’assoluto….alla sacralità comunque insita, dico io, insita nei sè di carne e sangue e ormoni che noi siamo, da cui circondati siamo…
Guardo un quadro di Vermeer che con vezzo da studente fuorisede ho attaccato alla bianca parete a cui appoggio la schiena…La padrona che scrive, forse tiene una contabilità (quantitativo, razionalità olandese capitalistica) e la sua fantesca che per un attimo fissato per sempre (ad onta della composizione transeunte dei pigmenti) affigge lo sguardo fuori, oltre la finestra (ah le finestre di Vermeer!!!), oltre la storia, il contingente, i calcoli, il dare e l’avere, le preoccupazioni qyuotidiane, la merda da cui,versocui, attraverso cui noi siamo…Una fantesca che con un sorriso sereno, dolce trattiene presso di sè ciò per cui vale la pena…
o per il corpo, o per l’odore di una donna, o di un uomo per la donna o di entrambi per tutti…
L’odore, l’odore…
di quanto fu scritto amo soltanto ciò che fu scritto con il proprio sangue…Nietzsche…
Un abbraccio
Credo che sia semplicemente una questione di caso, per Pippo. E’ nata così, diciamo. Lo conosco, Pippo, essendo nella sua stessa scuderia (che peraltro Rambaldo ha messo in piedi proprio a partire da lui). E’ bravo, non so se riuscirà a re-importare il successo che ha fuori confine, glielo auguro davvero. (A proposito, Vacalebre è del Mattino – lo so perchè ha speso ottime parole per noi…).
In verità, alfar caro, a me l’abolizione dell’aura non mi preoccupa tanto.
Anche se non tutte le riproduzioni riescono a bucare, senza questa neosacra abolizione sarebbe più triste la bianca parete su cui appoggi la schiena…
In verità, caro alder, neanche io escludo il caso. In mezzo a tanto caos, è sempre di casa il caso e resta escluso il cosmo.
toppo italiano per piacere agli italiani..
Risposta: per lo stesso motivo per cui Amalia Grè fa l’immigrata di lusso a New York. E’ una di quelle cose che sono così e basta.
Io qualche volta mi lascio girare cercando d’acquistare al mercato dei fuori un cuore miope abbastanza da pensarsi nato apposta
para viver um grande amor
Tutte le altre mi lascio cantare o ascolto altri lasciarmelo fare, strusciando le gonne sulla vita con
sua alma infantil, suas tristezas sem pesar, suas lágrimas sem amargor, seu silêncio sem concentração, suas alegrias sem causa, sua felicidade sem dia seguinte…
in effetti sembra interessante.. me lo ascolto sicuro. ciao!!
Ora non esageriamo. Amalia Grè meriterebbe d’aver le corde vocali strappate e rimandata a casa con una pacca sulle spalle.
‘ e d’essere rimandata’, evidentemente. ma la furia m’aveva preso le dita.
!!!
Otra vez nuestra telepatía!!!
(anfisbena)
Ciao aitan, sono Andrea Tramonte, il curatore del sito http://www.rossocuore.tk dedicato a Pippo. Mi è piaciuto il tuo “racconto”. Volevo chiederti il permesso di inserirlo anche nel sito, ovviamente linkando il tuo blog. Posso farlo? Ciao e grazie Andrea [nd1967@email.it]
provo a rispondere alla domanda finale: Pippo non emigra da musicista, più di 20 anni fa. comincia nei paesi tedeschi; qui lo conosciamo poco, ma comincia ad avere un suo piccolo circuito, che spero s’allarghi presto, ché lo merita
sono stato a Bologna a vedere lo spettacolo di teatro musicale “Ultimo volo – Orazione civile per Ustica”: splendido!