(improvvisazione jazz a due voci)
Quando ti rendi conto di essere finito anche tu in trappola, i piedi già non si possono più muovere e vai perdendo progressivamente l’uso delle mani. Vorresti gridare; ma ti resta solo un filo di voce per parlare; ne hai sprecata troppa a ripetere che tu no, non ci saresti mai caduto dentro, a te non ti sarebbe mai potuto capitare.
– Voi, amici miei, lo vedete così, con quel sorriso a 32 perle africane stampato in faccia, ma allora Tom era tristissimo, era apatico, e lo rattristava ancor di più l’idea che lui, un fottuto nero americano, potesse sentirsi così blue senza neanche uno straccio di ragione apparente. Cazzo!, i padri dei suoi nonni li avevano trascinati a forza dalla Nigeria per farli lavorare nei campi per 14 ore, 14 fottute ore ogni fottuto giorno che Dio comandi; ma loro cantavano, cantavano e lodavano il Signore.
Non si era mai visto un nero spento da tanta apatia, e nessuno sapeva cosa fosse la porca depressione, prima. Ormai niente lo eccitava, non rideva e non piangeva più, non lo commuovevano neanche le ballad di Coltrane o le carezze della figlia. E dire che la piccola gli gironzolava intorno tutto il tempo con una faccia interrogativa; sembrava imploralo, pareva che gli chiedesse cosa avesse fatto per provocargli tanto dispiacere.
Quando bussai alla sua porta, sapevo già che per fargli alzare le chiappe da quella sedia, avrei dovuto faticare come un mulo.
– Beh, sì, quando Abbie mi disse che era Jimmy, avrei voluto scomparire. Immaginavo che mi avrebbe chiesto di uscire con lui, e io non volevo, io non volevo nulla, volevo solo restarmene seduto sulla mia poltrona. Ma questo cacacazzo mi chiama alle tre del pomeriggio e mi fa: “Accompagnami, dai, datti una mossa che devo comprare un tenore per mio figlio ed ho bisogno di qualcuno che lo provi. Ho un fottuto herpes e non posso mettermi uno di quei cosi in bocca”. Ecco cosa mi disse questo sporco negro.
– Sì, sì, …in realtà gli dissi pure che lui di certo avrebbe avuto più titoli di me o di chiunque altro per scegliere uno strumento con un suono jazzy e rotondo. Ed era vero; cazzo se era vero… Dopotutto, Tom era stato per anni il miglior solista dell’orchestra. Lui era quello che pagavano meglio. Gli davano il triplo di quello che davano a me ed agli altri. Alcuni ragazzi dicevano che se non gli avessero messo tutta quella grana in tasca, avrebbe cercato anche lui modi per arrotondare, come facevamo tutti, ed avrebbe avuto meno tempo per sentirsi così giù. Sì, sì, forse avevano ragione loro. Ma vallo a sapere quello che era successo in questa maledetta sfoglia di cipolla…
– Ok, Jimmy, piantala ora, smettila di tirarla tanto per le lunghe. Mi sembri uno di quegli strizzacervelli che Abbie mi faceva girare per casa… Tutte chiacchiere e parcelle a tre zeri.
Ma torniamo a quella sera. Mi sorbì tutto il tuo assolo e dopo una decina di minuti mi trovai ad allacciarmi le scarpe, pronto a seguirti al music-shop di Harvey.
Dio mio, l’avrò raccontata cento volte questa storia.
Lì dentro mettesti sottosopra il negozio; e mi passasti per le mani un centinaio di sassofoni. “Prova questo, prova quest’altro, senti il Selmer, riprendi quell’Holton, fammi sentire ancora il Link-Holt…”
Sudavo come un maiale, e ad ogni soffio mi sentivo più scontento del suono. Ma non dipendeva dagli strumenti. Da Harvey ci trovavi i migliori sax di New York. Quel suono scialbo ero io.
D’un tratto mi ricordai di mio padre che mi aveva insegnato a stringere le labbra in un sorriso per raggiungere un sound più pulito. Una di quelle cose che fai da principiante, poi ti dimentichi e i muscoli vanno da soli intorno al bocchino come se tu e l’arnese foste una sola cosa. Me lo vidi di fronte, il vecchio, e provai ad ascoltarlo: inarcai le labbra e alzai le estremità della mia bocca verso il cielo. Da un momento all’altro mi tornò il buonumore, il sorriso che avvolgeva l’ancia, dall’esterno mi passò dentro, fino al buco del culo, fino al centro dei miei sensi, da dove ancora sorrido… Venne fuori un suono meraviglioso, suadente, come ai migliori tempi della band; ed anche il mio vecchio abbassò la testa e sorrise.
Ok, la smetto! Va bene così.
Qualcuno dei ragazzi mi aveva detto che era da tanto che non scrivevo una storia amena con un happy end bello, sano e giusto come il sorriso di un bambino o il sonno di un gatto.
Ci ho provato, sarà pure un’inutile munnezza, ed a te, magari, sembrerà triste anche questa, ma nessuno può negare che a provarci, ci ho provato, ed ho fatto pure in modo da finire con un happy end bello, sano e giusto come il sorriso di un bambino o il sonno di un gatto.