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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Stay Beautiful!

28 martedì Feb 2006

Posted by aitanblog in immagini, musiche, texticulos

≈ 32 commenti


(improvvisazione jazz a due voci)

Quando ti rendi conto di essere finito anche tu in trappola, i piedi già non si possono più muovere e vai perdendo progressivamente l’uso delle mani. Vorresti gridare; ma ti resta solo un filo di voce per parlare; ne hai sprecata troppa a ripetere che tu no, non ci  saresti mai caduto dentro, a te non ti sarebbe mai potuto capitare.

– Voi, amici miei, lo vedete così, con quel sorriso a 32 perle africane stampato in  faccia, ma allora Tom era tristissimo, era apatico, e lo rattristava ancor di più l’idea che lui, un fottuto nero americano, potesse sentirsi così blue senza neanche uno straccio di ragione apparente. Cazzo!, i padri dei suoi nonni li avevano trascinati a forza dalla Nigeria per farli lavorare nei campi per 14 ore, 14 fottute ore ogni fottuto giorno che Dio comandi; ma loro cantavano, cantavano e lodavano il Signore.
Non si era mai visto un  nero spento da tanta apatia, e nessuno sapeva cosa fosse la porca depressione, prima. Ormai niente lo eccitava, non rideva e non piangeva più, non lo commuovevano neanche le ballad di Coltrane o le carezze della figlia. E dire che la piccola gli gironzolava intorno tutto il tempo con una faccia interrogativa; sembrava imploralo, pareva che gli chiedesse cosa avesse fatto per provocargli tanto dispiacere.
Quando bussai alla sua porta, sapevo già che per fargli alzare le chiappe da quella sedia, avrei dovuto faticare come un mulo.

– Beh, sì, quando Abbie mi disse che era Jimmy, avrei voluto scomparire. Immaginavo che mi avrebbe chiesto di uscire con lui, e io non volevo, io non volevo nulla, volevo solo restarmene seduto sulla mia poltrona. Ma questo cacacazzo mi chiama alle tre del pomeriggio e mi fa: “Accompagnami, dai, datti una mossa che devo comprare un tenore per mio figlio ed ho bisogno di qualcuno che lo provi. Ho un fottuto herpes e non posso mettermi uno di quei cosi in bocca”. Ecco cosa mi disse questo sporco negro.

– Sì, sì, …in realtà gli dissi pure che lui di certo avrebbe avuto più titoli di me o di chiunque altro per scegliere uno strumento con un suono jazzy e rotondo. Ed era vero; cazzo se era vero… Dopotutto, Tom era stato per anni il miglior solista dell’orchestra. Lui era quello che pagavano meglio. Gli davano il triplo di quello che davano a me ed agli altri. Alcuni ragazzi dicevano che se non gli avessero messo tutta quella grana in tasca, avrebbe cercato anche lui modi per arrotondare, come facevamo tutti, ed avrebbe avuto meno tempo per sentirsi così giù. Sì, sì, forse avevano ragione loro. Ma vallo a sapere quello che era successo in questa maledetta sfoglia di cipolla…

– Ok, Jimmy, piantala ora, smettila di tirarla tanto per le lunghe. Mi sembri uno di quegli strizzacervelli che Abbie mi faceva girare per casa… Tutte chiacchiere e parcelle a tre zeri.
Ma torniamo a quella sera. Mi sorbì tutto il tuo assolo e dopo una decina di minuti mi trovai ad allacciarmi le scarpe, pronto a seguirti al music-shop di Harvey.
Dio mio, l’avrò raccontata cento volte questa storia.
Lì dentro mettesti sottosopra il negozio; e mi passasti per le mani un centinaio di sassofoni. “Prova questo, prova quest’altro, senti il Selmer, riprendi quell’Holton, fammi sentire ancora il Link-Holt…”
Sudavo come un maiale, e ad ogni soffio mi sentivo più scontento del suono. Ma non dipendeva dagli strumenti. Da Harvey ci trovavi i migliori sax di New York. Quel suono scialbo ero io.
D’un tratto mi ricordai di mio padre che mi aveva insegnato a stringere le labbra in un sorriso per raggiungere un sound più pulito. Una di quelle cose che fai da principiante, poi ti dimentichi e i muscoli vanno da soli intorno al bocchino come se tu e l’arnese foste una sola cosa. Me lo vidi di fronte, il vecchio, e provai ad ascoltarlo: inarcai le labbra e alzai le estremità della mia bocca verso il cielo. Da un momento all’altro mi tornò il buonumore, il sorriso che avvolgeva l’ancia, dall’esterno mi passò dentro, fino al buco del culo, fino al centro dei miei sensi, da dove ancora sorrido… Venne fuori un suono meraviglioso, suadente, come ai migliori tempi della band; ed anche il mio vecchio abbassò la testa e sorrise.

Ok, la smetto! Va bene così.
Qualcuno dei ragazzi mi aveva detto che era da tanto che non scrivevo una storia amena con un happy end bello, sano e giusto come il sorriso di un bambino o il sonno di un gatto.
Ci ho provato, sarà pure un’inutile munnezza, ed a te, magari, sembrerà triste anche questa, ma nessuno può negare che a provarci, ci ho provato, ed ho fatto pure in modo da finire con un happy end bello, sano e giusto come il sorriso di un bambino o il sonno di un gatto.

Sorbetto allo sterco di colomba

20 lunedì Feb 2006

Posted by aitanblog in versiculos, vita civile

≈ 25 commenti


(sonettando alla vecchia maniera
tra avi in aria e terra malata)

Al centro di un percorso senza fine
si trova chi fa fede all’infinito,
ma non distingue la lana dal crine
neanche chi da zero sia partito.

Scorre la mia vita a passo stanco
nel mezzo di due specchi paralleli,
corre lento il tempo sotto banco
tra mille infingimenti ed i tuoi veli.

Che dirti delle cose che non so
o di quello che voglio e tu aneli.
Che darti con parole che non ho
mentre rivolgo il mio sguardo ai cieli,

se già so di poterci sol trovare,
le ali che ci tornano a insozzare.

interludio teo-logico (piccoli pensierini in forma ipotetica)

12 domenica Feb 2006

Posted by aitanblog in inter ludi, otherstuff, versiculos

≈ 33 commenti

se dio c’è, s’è nascosto tanto bene da essersi perso anche al suo sguardo

se dio esistesse, ci avrebbe già suggerito da tempo di occuparci d’altro
se esiste un dio creatore, deve aver perso il senso del suo creato
se dio è buono e misericordioso, deve essere anche un po’ distratto
se dio è onnisciente, dovrebbe saperlo che mi sono rotto i coglioni
se dio è onnipotente, potrebbe pure aver deciso di non fare niente
se dio è in ogni cosa, dovreste intravederlo anche in queste parole

se dio c’è, sta da un’altra parte
se dio c’è, ha altro da fare

se dio c’è, spero che in questo momento sia indaffarato altrove
(dio non voglia, che fosse una di quelle divinità suscettibili…)

MR II

04 sabato Feb 2006

Posted by aitanblog in romantico, texticulos

≈ 25 commenti

Muito Romântico
secondo frammento

– Stamattina, un’illuminazione. Improvvisamente tutto mi è risultato chiaro, chiarissimo. Di un chiarore tanto improvviso e baluginante da rimanerne abbagliati, da finire accecati e non capire più nulla.

Credevo di sapere
e non so.

– …

– Non chiedermi spiegazioni alle cose che dico. Non sempre saprei cosa dirti.
A volte bluffo solo per conoscere meglio chi ho di fronte; a volte mi butto a capofitto tra le parole, tanto per vedere dove vado a parare; a volte leggo la realtà alla luce del passato ostentando il tono del veggente (piccoli giochi di prestigio, illusioni ottiche e allucinazioni che diventano più nitide nei territori desertici, in assenza di oasi o tracce viventi).
Tante volte parlo perché gli altri si interroghino sulle mie parole e trovino risposte che hanno già dentro di sé, ma non hanno la forza o il coraggio per buttarle fuori. Spesso lo faccio per il gusto di sentire il suono delle parole, l’alito che esce dalla mia bocca; oppure per il bisogno di interrompere i fottuti imbarazzi del silenzio.

– …

– Sì, hai ragione tu. Tutte queste sono solo stronzate. La verità è che sto parlando solo per distrarmi dal desiderio di baciarti e di averti nella bocca; la voglia di mangiarti e liberarti piano in un rutto per poi volarti dietro lontano lontano; e di nuovo prenderti, abitarti, e lasciare che dopo sia tu a prendermi e mangiare.
Ciascun boccone un frammento da gustare piano mantenendolo tra lingua e palato il più a lungo possibile, per sentirne ogni sfumatura e sapore, percepire ogni colore, avvertire ogni variazione;

ogni
piccola
percettibile
variazione di senso.

Il resto sono stronzate, finzioni, cose che credevo di sapere e non so,

e non so.

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