(ovvero la grandezza delle piccole cose di futile gusto)
Sono vent’anni che inseguo dischi e notizie dei Les Luthiers e, all’improvviso, qualche giorno fa, come una pioggerellina estiva o un bacio non richiesto, ho visto che la strada che percorrevo alla ricerca di questo manipolo di bizzarri musicisti argentini si incrociava in un punto, un fatidico punto, con quella di Fabrizio De André, uno degli intramontabili numi tutelari di questo ed altri blog sparsi per la rete.
Per i meno versati nelle cose rioplatensi, Wikipedia insegna: Les Luthiers è un gruppo di musica-commedia proveniente dall’Argentina. […] Si formarono nel 1967, nel momento di massimo splendore di attività dei cori delle università di stato argentine.
In pratica, si tratta di artisti della parodia dotati di una verve che ricorda Petrolini, Nino Taranto, il Quartetto Cetra, i Gufi e la Banda Osiris, tanto per fermarsi a qualche glorioso accostamento paesano; ma ad un attento ascoltatore salta all’orecchio l’ascendenza al filone ebraico che va dai Marx Brothers a Woody Allen, nonché alla popolarizzazione dell’ebreo che ride resa da Moni Ovadia per il pubblico italico.
Incidentalmente, da amante dell’umorismo ebraico, sento che questo contesto mi offre il destro, ed anche il sinistro, per rilanciare verso Israele un vecchio proclama del rabbino Marc-Alain Ouaknin che suonava più o meno così: “Faites l’humour, pas la guerre”. Sì, caspiterina, infervorati cugini israeliani, fate l’umorismo, o l’amore (come dicevasi alla vecchia maniera), non la guerra (come si fa ormai pallosamente da secoli e secoli)! Ma so già che il mio appello suonerà naif o, come usa dire, “buonista”, e tutt’al più avrà lo stessa carica di convinzione dei richiami del papa, dell’ONU e di Mafalda. Tanto per citare un altro tipico prodotto argentino come il mate, la milonga ed il debito pubblico.
Tornando alla wiki-enciclopedia, una delle principali caratteristiche dei Luthiers è la perenne presenza di strumenti musicali particolari creati appositamente per i loro show – non a caso luthier in lingua francese significa liutaio –, alcuni di essi sono estremamente sofisticati, vengono quindi abilmente impiegati nei loro recitals per produrre la musica ed i testi di alta classe e soprattutto di humor raffinato.
A questo punto, mi tocca di aggiungere un flash-back di mio pugno. Prima di essere i Luthiers questo gruppo di universitari argentini aveva assunto il nome italianizzante de I Musicisti. Poi, uno screzio – come nei Beatles, nei Pink Floyd e nelle migliori famiglie – portò alla scissione: da una parte, Mundstock, Maronna, Rabinovich e Masana, che formeranno i gloriosi Luthiers, e, dall’altra, Shussheim, Puig, Marín Durán, López e Núñez Cortés, che porteranno avanti, ancora per un paio di anni, l’attività dei Musicisti e, nel 1968, pubblicheranno anche un 45 giri (uno solo) dal titolo La música es una cosa tanto… (edizioni CBS).
Ebbene, proprio in questo disco, I Musicisti, trovandosi a corto di idee e servendosi della traduzione dello psicoanalista Carlos Iraldi, faranno conoscere al pubblico argentino una versione di una buffa ballata medievaleggiante composta da Fabrizio De André e Paolo Villaggio nel 1962: Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers.
Núñez Cortés (l’unico dei Neo-Musicisti che più tardi prenderà parte all’avventura dei Les Luthiers) racconta: “En la casa del melómano Julio Kacs habíamos escuchado una canción de Fabrizio De André, un cantante italiano, y nos había fascinado. Decidimos entonces realizar una versión libre en español. Yo me encargué de los arreglos musicales.” (Testimonianza, questa, raccolta da Sebastián Masana, figlio di Gerardo, l’ineffabile fondatore dei Luthiers morto nel ’73 a soli 36 anni).
Ecco qui, ad uso e consumo dei deandreomani più accaniti, la versione integrale del testo ispanico (gli altri, se mai fossero arrivati fin qui, saltino pure all’ultima parte del post e la smettano di imprecare contro la mia molesta pedanteria):
Narrador: Rey Carlos tornaba de la guerra
Lo recibe su tierra, ciñéndolo de honor
Al sol de la tibia primavera
Refulge la armadura del Sire vencedor.
La sangre del Príncipe y del Moro
Le tiñen la cimera de idéntico color
Y más que en el cuerpo las heridas
De Carlos son oídas las quejas del amor.
Carlos: “Si la sed de gloria y el ansia de honores
Deshace a la guerra, a los vencedores
No les concede un momento para sus amores”
“Y si el cinturón a su esposa suave
de castidad le cerramos con Trabex
en batalla corremos el riesgo de perder la llave”
Narrador: Así se lamenta el rey cristiano
Andando por el llano, entre árboles de flor
El espejo de clara fuentecilla
Refleja ya en su silla al fiero vencedor.
De pronto en el agua ve una cosa
Visión maravillosa o símbolo de amor
Imagen de cristiana belleza
Perdido entre sus trenzas un seno a pleno sol.
Carlos: “Nunca yo he visto una cosa tan bella
Que esplendoroso final de una guerra”
Narrador: Dice el Rey Carlos echando veloz el pie a tierra.
Doncella: “Por Dios, caballero, que yo soy muy grácil,
honesta, modesta y de cuerpo muy frágil,
calma tu alma sedienta en fuente más fácil.”
Narrador: Atónito por esta resistencia
No quiso hacer violencia, y Carlos no insistió
Ay, más que el honor pudo el ayuno
Y ansioso el yelmo bruno el Sire se quitó.
Ma questa era su arma secreta
Por Carlos muy usada, de gran dificultad.
La joven se quedó casi sin habla
Vio una cara de cabra, era su Majestad.
Doncella: “Si tú no fueses mi soberano.”
Narrador: Carlos se acerca y le toma la mano.
Doncella: “Escaparía enseguida veloz como un Galo.
Más ya que se ha dado un encuentro tan grato”
Narrador: Carlo se quita todo el aparato
Doncella: “Me entregaré despojada de todo arrebato”
Narrador: Él era caballero más valiente
Después del incidente, Don Carlo se cubrió
Cumplido lo cual, seguidamente
Tardó, muy torpemente, montar sobre su arzón.
Veloz, la doncella lo detiene
Y con tímido gesto, reclama a su señor
Doncella: “Tratándose de un poderoso Sire
Son cinque mila lire, es precio de favor.”
Carlo: “¿Pero es posible, qué es lo que dices?
Que las aventuras en estos países
Deban resolverse todas con las meretrices”
“También sobre el precio yo debo decir
que bien recuerdo que antes de partir
los precios eran inferiores, sin duda tres mil”
Narrador: Sintiéndose de veras enojado
Con ánimo alterado, saltó sobre el arzón
Quedando su orgullo tan herido
Por donde había venido, el Sire se alejó.
Rey Carlos tornaba de la guerra
Lo recibe su tierra, ciñéndolo de honor
Al sol de la tibia primavera
Refulge la armadura del Sire vencedor.
Specifico che quella qui sopra è una versione che ho trovato in rete (ed ho ripulito di qualche “vistosa svista” ortografica) in un sito non ufficiale dedicato a Les Luthiers. È probabile che, secondo una tecnica invalsa nei Musicisti, le parti fossero ripartite tra tre dei membri del gruppo (mentre De André era solito cantare la canzone da solo, alterando leggermente la voce a seconda che stesse facendo la parte del re, della vergine puttana o del narratore.)
Chiudo con un piccolo giallo filologico. Sebastián Masana, in “Gerardo Masana y la fundación de Les Luthiers” (Editorial Belacqva, Barcelona 2004, p.224), cita solo un paio di strofe (corrispondenti a quelle trascritte in rosso nel testo riportato qui sopra) che, però, appaiono sensibilmente diverse dalla versione trovata in rete:
Veloz lo aprisona la doncella.
y con palabra bella le dice a su señor:
¡Che viejo! ¡No te hagas el camba!
¡Son veinticinco gambas!
¡Y es precio de favor!
¡Pero es posible, malditos deslices
que las aventuras, en estos países,
deban resolverse así, con estas meretrices.”
Tendo a pensare che la versione citata nel testo di Sebastián Masana sia una ripulitura successiva meno aderente all’originale di FdA, ma più autenticamente argentina, anche per la presenza di parole derivanti dal gergo lunfardo come “gamba” (che è una antica unità monetaria) e “camba” (che qui sta per “magnaccia, mantenuto”). Tuttavia, è possibile anche che Carlos Iraldi & Co. abbiano steso prima la versione lunfarda e poi, in una seconda fase, abbiano preferito infarcire il testo di italianismi (tipo ma questa, cinque mila lire) in onore all’originale di DeAndré-Villaggio e per far combaciare meglio il metro alla melodia.
Sea como sea, trovo affascinante pensare che nei lontani anni ’60, molto prima della realtà pseudo-globale del XXI secolo, due giovani genovesi abbiano scritto un testo che ridicolizzava un re occidentalmente celebrato per aver arrestato l’islamizzazione dell’Europa (corsi e ricorsi); e che qualche anno più tardi questo testo abbia conquistato un gruppetto di argentini, molti dei quali di origine ebrea, che ne fecero il lato B di un 45 giri il cui lato A conteneva l’hit Teorema de Thales (ripreso anni dopo dagli stessi Les Luthiers):
[…] Triángulo, tetrágono, pentágono, hexágono, heptágono, octógono.. son todos polígonos
Seno, coseno, tangente y secante, y la cosecante y la cotangente
Tal es Thales de Mileto (Tal es Thales de Mileto)
Tal es Thales de Mileto (Tal es Thales de Mileto)
Que es lo que queríamos demostrar
Que es que lo que lo que queri queri amos demos demos demostrar.
Che è quello che quello che vole volev amo dimo dimo dimostar
(Ma, per carità, se siete arrivati quaggiù, non osate chiedermi che è quello che io vole- volev-o dimostrar!)