Hai un certo muso, oggi.
Giocare col mondo
facendolo a pezzi
bambini che il sole
ha ridotto già vecchi
A quel punto della storia mi immaginai un vecchio dalla barba bianca (ma nel regno della probabilità e delle teogonie possibili sarebbe potuta essere pure una vecchia dalla lunga chioma d’argento o un Apollo in gonnella e tacchi a spillo). Quel vecchio si adagiava sul giaciglio di una candida nuvola e sognava un filosofo francese che, al lume fievole di una candela sballottata come una canna al vento, scriveva: “considerando che tutti gli stessi pensieri che abbiamo da svegli possono venirci anche quando dormiamo senza che ve ne sia uno solo, allora, che sia vero, presi la decisione di fingere che tutte le cose che da sempre si erano introdotte nel mio animo non fossero più vere delle illusioni dei miei sogni. [Bravo, bravo! ‘Na cosa tipo la vida es sueño…, tutto è illusione…, noi siamo il sogno di un sogno…, lo zimbello del tempo, siamo…, una macchia d’inchiostro scritta da non so chi…, il delirio di un mentecatto et cetera et cetera.] Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. [Ma mo’ sei proprio sicuro di quello che pensi?, di quello che scrivi? Improvvisamente mi fai una deviazione verso una certezza che ho difficoltà a concepire; anche perché tu non lo sai ma io lo so che tu sei proprio un’illusione, il sogno di un vecchio che l’ho pensato io (e sarebbe pure potuta essere una vecchia o un Apollo in gonnella, se avessi voluto prendere un’altra direzione (eppure fai questi pensieri autonomi e fuori di senno, caro il mio filosofo francese dei miei golcioni.))] E osservando che questa verità: penso, dunque sono, era così ferma e sicura, che tutte le supposizioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla [Mah!?], giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo.”
Eh, stiamo freschi, se questo è il principio primo, povero Destarces…
Mulo sodo, stordisce, e non c’è discorso o metodo del cavolo che tenga a una certa ora del giorno o della notte …
Ma per cortesia, scorriate o non scorriate il suo libro, povero Castreio, la verità rivelata è relativa quanto quella trovata, perché esiste la mia verità, la tua verità e la verità di quaquaraquà! Oppure, versione ottimistica e costruttiva: esiste la tua mezza verità, la mia mezza verità e la verità tutta intera. Come le mele, come le pere (le orme, pece), come le arcane arance, come il limone, come i i meloni.
(Mi rifugio tra gli anagrammi –ma rimanga tra noi- perché in fondo non c’è più senso in tanta filosofia che in un’arte combinatoria che è come barattare coi nomi la realtà e la realtà coi nomi. E non mi chiedete cosa significhi quello che ho scritto o chi sono, ché penso e cogito di non saperlo nemmeno io, ergo nemmeno io lo so: io melmoso neon, leone mimo sono. E niente più di questo, niente più.
E lei,
lei era
un piccolo regno d’amare
solo un piccolo regno d’amare
niente più di questo… niente più…
Mi manca da morire
quel suo “merda, rompo legacci”
adesso che saprei cosa dire
adesso che saprei cosa fare
adesso che voglio
un piccolo regno d’amare
solo un piccolo regno da mare.)