Dices que te vas,
dices que te vas
para la Gomera,
dices que te vas,
pero no me llevas.
Si conoscono sulla strada che porta a una rappresentazione di marionette messicane, in un parco di Parigi.
Lei è un’isolana spagnola poco più grande di lui, ma sembra una ventenne. È snella e morena; ha due grandi occhi neri in cui perdersi. È sveglia, sensibile ed inquieta. Lavora come animatrice teatrale utilizzando musica e danza. Ha undici fratelli e decine di corteggiatori che passano e spassano davanti la porta della sua blanca casa blanca. È di modeste origini contadine. Si trasferirono dai colli in città quando aveva sette anni. Prima non aveva mai visto un treno, un cinema o una scuola. Ha una profonda coscienza sociale, un’incessante voglia di agire e un perfetto dominio del proprio corpo: canta e danza anche quando parla e cammina. Mi incantano i tuoi occhi da cerbiatta. Ma non oso dirtelo. È ingenua e perspicace, innocente e piena di esperienze. Limpida. Parla con gli occhi, con le mani e con tutto il tuo corpo sinuoso.
E il naufragar mi è dolce in questo mare…
Lui eri tu. Tu che ancora io compiango. Tu che piango e rimpiango.
Vi conosceste e parlaste per cinque giorni e quattro notti di voi, delle vostre vite, delle vostre sensazioni e segreti. Come sembrava variopinto e interessante il nostro reciproco passato concentrato così in un racconto di pochi giorni! Poche ore! Il tempo di un respiro! Il suo ultimo respiro. Il tuo ultimo sospiro…
Esplorarono Parigi insieme. Mangiarono insieme. Dormirono insieme Cantarono insieme. Guardarono insieme la luna fino a vederla sparire dietro i palazzi di boulevard Magenta. [*]
“Come è caldo il sapore delle tue labbra… Come è aspra la tua pelle scura”.
L’ultimo giorno andaste a Les Tango; c’era una festa di salsa e merengue. Danzaste e brindaste insieme decine e decine di volte. Lei era una gazzella, tu un orso in letargo risvegliato al ritmo dei suoi passi sapienti. E presto ti sentisti anche tu a tempo con la tuba e la grancassa.
“Qui è molto bello, peccato che non c’è il mare… Domani torno alla Gomera. Mi dispiace. Lo siento…”. E i discorsi sul futuro, gli impegni e bla bla bla: l’unica volta che ti assentasti dalla sue parole: sentisti e non ascoltasti, come facevi sempre anche con noi. Poi brindaste ancora una volta. L’ultimo giro di danza a Parigi.
“Mi gira la testa. Mi gira la stanza intorno. Gira Parigi. Gira tutto il mondo al ritmo pigro dei nostri passi. ”
“Non andare più a tempo con la musica di fuori. Uno-dos-Uno–dos—Uuno–Doos. Rallenta. Rallenta. Ascolta solo il ritmo lento della nostra canzone…”
Al ritorno lei gli fa da lazarillo e lui fa il cieco. [**]
Al ritorno, ti conduce per mano per le strade di Parigi e tu ti affidi completamente a lei.
Dopo quasi un’ora di perfetta sintonia, per quanto ubriachi, giungono alle porte della pensione in cui lei alloggia. Lui finalmente riapre gli occhi. Si baciano. Lei non vuole che lui salga. Tornano a baciarsi. Si abbracciano e si baciano ancora. Lei gli scrive il suo indirizzo dietro il cuoio grezzo della cintura.
“Scrivimi presto”. E lo saluta carezzandogli il viso e la mano.
Lui non dice una parola.
Per la strada facesti di nuovo il cieco. Ma senza la guida istintiva e sensuale della tua Lazarilla, ti sentivi già perso. Del tutto smarrito. Naufrago e disperato. Gli occhi chiusi, stretti, ermeticamente serrati. Attraversando Boulevard Lenoir con la borsa penzolante sulla spalla sinistra, risentisti il braccio di lei. Sorridesti. Poi un auto. Un grido. Il suono prolungato e disperato di un clacson nella notte. La fine di un’altra storia.
[*]
In realtà non c’entra niente con questo racconto, ma boulevard Magenta m’ha fatto pensare a questo segno dei tempi che imperversa per la rete. [N.d.B.]
[**]
Si riferisce al noto episodio del romanzo picaresco Lazarillo de Tormes, dove Lazarillo accompagna un mendicante cieco per le strade di Salamanca ed Escalona. Sulla scorta di questo classico romanzesco, in Spagna si chiama lazarillo tanto la persona che guida i ciechi quanto un esercizio di animazione psicomotoria in cui un accompagnatore conduce, in un percorso più o meno accidentato, un compagno bendato che deve seguire pedissequamente i suoi suggerimenti per potersi muovere in quello spazio sconosciuto.
Alla fine del capitolo col mendicante orbo, lo scaltro Lazarillo tradisce il suo padrone facendolo sbattere contro un pilastro nella piazza di Escalona. Ma non credo che questo gesto abbia qualche relazione con la nostra storia. [N.d.B.]
dal colloquiale al narrativo in girandola d’emozioni e sensazioni di rimando ad atmosfere milleriane filtrate nel sanguigno d’una sangria.
molto bello, chandleraniamente stanco e disperato.
…viaggiando di parola in parola…
…senza fine…
Un inchino.
Au revoir.
Sinceramente e teatralmente.
R.M.N.
AITAN AMORE MIO sei venuto a visitarmi.. ma che onore >|!|| leccamilick me suck me eat me
bel post
compli menti
ho dei a – miratori segreti ah ( detto in dialetto bolognese ;-)) non lo sapevo
Grande Aiutan :-))
Questa fine non mi piace.
(o forse non mi piacciono i lui che sulle porte non dicono una parola.)
#1
Grazie, cybbolo.
(Ti confesso che Chandler non l’ho mai letto; Philip Marlowe lo conosco solo via Humphry Bogart. Quei riferimenti non mi appartengono. Ma non importa. Io sono convinto che l’intentio autoris sia secondaria rispetto alle suggestioni che nascono nel lettore e che dipendono dalla sua enciclopedia personale.)
#2
Mi piacerebbe viaggiare senza fine; o almeno un po’ più di quest’anno; e nono solo “a parole”, naparto’
#3 #4
L’onore è tutto mio, lefty333boy. Un vero piacere averti qui in parole e immagini in movimento. Ma bando ai salamelecchi e alle leccate (ché la mia lingua è ruvida e scabra da far male), ti dirò che in verità in verità mi sento e sono più un a-mirador o un mirón (detto in simil-lingua española) che un a-miratore rosso.
#5
Piacciono poco anche a me i lui che sulle porte non dicono una parola, OraSesta, ma tante volte certi silenzi sono funzionali al plot narrativo.
molto bella la storia, è tua?
di recente ho pensato e usato l’espressione “essere ciechi” bisogna aprire gli occhi , sempre e dire.
Lieta domenica!
A parte il fatto che in ogni cosa che scriviamo, in ogni cosa di cui scriviamo, c’è sempre una parte di noi. “Magna” o “parva pars”, non importa. Ma questa tua storia sembra davvero storia tua. Ha il sapore delle cose scritte “a mano”, con la mano di sé, cioè con una lingua che – in questo caso – è così dolce e suadente che sembra davvero la lingua delle cose proprie.
E se non fosse tua questa storia, sarebbe comunque la storia di una storia filtrata attraverso il tremore delle tue emozioni.
Ma, come sai, non è qui
l’importanza della tua pagina, che è, invece, nel garbo narrativo che la connota, nella sua strutturazione studiata e lineare, ed anche in quel finale che lascia davvero con l’amaro in bocca. O in punta di lingua. Ed è proprio quel finale – e la tua nota esplicativa – che mi ha spinto alle considerazioni fatte in precedenza.
Dài, Aita’!
ma lazarillo era il fidanzato di lazzarella?
amore e morte
appassionato
e di grande respiro
chicca
Potrei dirti bravo, bravò
potrei dirti che sei tu e non sei tu
potrei dirti “provaci ancora ‘Tan”
potrei…
ma non lo dico
Solo, non conoscevo questa storia.
Muchas gracias.
Chandler bisogna leggerlo e le leccate di lefty no, al bando no, ne soffrirebbe l’intero web :-))))
detto questo, ahhhhhhhhhhh, ho pianto questa volta aitan, da boulevard Magenta in poi.
sei bravo(ò), non c’è cheddire!
aurevoir ;-)
A proposito di Marlowe, mi viene in mente, “triste solitario y final” di Soriano.
Struggente, anche questo.
Don Aitan, vero è che si muore a se stessi ogni volta che ci si innamora (l’amore è un rito di passaggio verso nuovi noi)
Infine, lei dimostra scientificamente quanto da tempo vado affermando, e cioé che è salubre innamorarsi solo all’interno delle aree pedonali.
bel blog
“E il naufragar mi è dolce in questo mare…” grazie per questo pezzo di vita…dove solo dall’amore si rinasce.
Fraternamente dalla mamma che ritorna
Ay que historia tan mía, tan querida!! miro el texto italiano y lo percibo en español, infinitamente hermoso en esas lineas. Busco la belleza del original y encuentro una palabra, “lei”, ¿habrás pensado que es diferente, es profundamente tierna y sensible? suena y sabe a un nocturno
Non faccio accostamenti ma è davvero uno scritto perfetto. Magari avrei concesso al lettore qualcosa in più della tempesta, della follia di sensazioni che devono attraversare le menti dei due giovani. Ma è un’inezia.
Disperata e allegra come una canzone d’autore.
Ci vorrebbe un Paolo Conte o un Leo Cohen per narrare Parigi, ma di più aveva il sapore del Dylan di “Simple twist of fate”.
Complimenti
Leggero e ho iniziato a cantare:
“Un mondo
Soltanto adesso, io ti guardo
Nel tuo silenzio io mi perdo
E sono niente accanto a te
Il mondo
Non si é fermato mai un momento
La notte insegue sempre il giorno
Ed il giorno verrà
Gira, il mondo gira
Nello spazio senza fine
Con gli amori appena nati
Con gli amori già finiti
Con la gioia e col dolore
Della gente come me”.
Perchè?
L’altro giorno ho detto alla mia lazarilla che un vero uomo, un uomo coi controcoglioni, il vero uomo che non deve chiedere mai, ha una sola risposta alla violenta Ti amo.
La sola risposta è:
Chi, io?
Riguardo il titolo del tuo blog: meno male che esistono i libri.
Avevo lasciato un commento un’ora fa sull’ordine e disordine delle emozioni…
Ma non lo vedo più :-(
Sarà una questione di disordine?
:-)))
Ok…il commento era nel post precedente. Ecco perché qui non c’è :-)
Non l’ho fatto apposta.
Parola di disordinata!!!
son tre giorni che volevo lasciare un segno.
è un’immersione fisica, palpabile.
ci sono suoni che mi pare di sentire.
bello, aitan.
#7 e #8
Sì, pervinka, è mia la storia. L’ho scritta tanto tempo fa, ma la sento ancora abbastanza mia.
Se poi tu, urraro, intendi dire che ti pare anche autobiografica…, beh sì, quel lui sono io, e naturalmente anche Lazarilla soy yo… Lazarilla c’est moi, come disse quello là, quello che scrisse del suo capolavoro: “Tutto il valore del mio libro, se ne ha uno, sarà di aver saputo camminare dritto su un capello, sospeso tra il doppio abisso del lirismo e del volgare”…
Santi numi, come mi piacerebbe saper restare in bilico su quel capello anch’io, con garbo narrativo!
#9
Sì, dido,
e je vengo apposta pe’ t’o ddì,
vicino ‘a scola d’o Gesù…
#10
La grandezza del respiro è nel ritmo di chi legge, chicca.
#11
Ci proverò ancora, elis, as time goes by…
#12
Spero, ibridamenti, che il pianto non t’abbia offuscato gli occhi, fino a farti vedere un bravo(ò) che non c’è…
#13
“Triste solitario y final” è una triade che m’ha sempre fatto venire i brividi, sabrinamanca (tanto che la cito spesso anch’io, in spagnolo e in lingua nazionale).
#14
Qualche volta, sciúr Effe, mi sono innamorato anche a un passaggio al livello, e quando è passato il treno ero già un altro, porca miseria!
#15
Grazie, presenterò.
#16
Che gentile che sei, mammagiovanna.
Bentornata!
#17
Tú, amiga mía, eres una de las dos o tres personas que han tropezado en la versión española de Lazarilla, así que no es posible confundirte a pesar de llegar aquí (involuntariamente) como anónim@.
En cuanto a aquel “lei”, te confieso que los italianos somos sordos a la musicalidad de nuestra lengua nacional.
#18
Grazie assai, Alderaban, anche per gli accostamenti che si sintonizzano sul tono di ballata di questo brano.
#19
Davvero curioso, notimetolose, la volta scorsa te ne sei venuta con una citazione dalle Intellettuali di Moliere, che io avevo precedentemente recensito, e ora mi riporti questo capolavoro kitsch che io citavo lo scorso anno tra i Frammenti di un mio discorso autoreferenziale.
#20
E lei, iva’, lei che ti ha risposto? Ti è rimasta accanto, dopo?
#21
Sì, davvero!
andare, errare. credo sia un modo di conoscere e conoscersi.
è straziantemente bella.
#28 y #29
condivido entrambe le vostre opinioni.
;o)
Lei era una gazzella, tu un orso in letargo risvegliato al ritmo dei suoi passi sapienti. E presto ti sentisti anche tu a tempo con la tuba e la grancassa.
cose che può solo l’alchimia dell’amore
molto bello
molte grazie a te
bhe’… struggente quasi… mi ha fatto venire in mente un film che ho appena visto…non so se in italia e’ gia’ uscito. in questo film lo schermo e’ sempre diviso a meta’: non per riprendere situazioni diverse in luoghi differenti, ma piuttosto per seguire le espressioni, gli sguardi, l’immaginario di due persone nello stesso luogo che sono insieme e al contempo seguono un loro percorso distinto….
#33
Many thanks, onbeauty, per il tuo commento. Questo è un racconto che stilisticamente è tutto giocato sulla moltiplicazione dei punti di vista, ma è una cosa che di solito scappa alla lettura veloce che solitamente si fa in rete. Mi fa piacere che qualcuno l’abbia notato.
Quello che dici del film che hai appena visto e non sai se è uscito in Italia (ma tu da dove scrivi?) a me ha fatto pensare ad altri vecchi film, soprattutto a uno sperimentale di una regista iraniana di cui al momento non ricordo il nome e che ho visto, proiettato sui due schermi a Kassel. Ma credo ci siano scene simili anche in film di Orson Welles, o in Smoke di Wayne Wang e in qualche film di Tarantino.
aitan, ho detto una cavolata, scusami mi scordo che era d’essai, il film e’ del 2005. e’ conversation with other women(s) di hans canosa. non e’ bello, ma mi ha incuriosito la scelta del regista e helena bonham carter e’ perfetta. c’e’ una marea di altri film che ho visto interessanti in questi mesi. io sono a meno venti gradi e a sette ore di fuso dall’italia. :) ciao
#35
Ma no che non hai detto affatto alcuna cavolata. Sono andato a cercare notizie in rete su Conversation(s) with other women e mi sono reso conto che lì la tecnica dello split screen veniva usata in modo molto più sistematico e insistito che negli esempi che avevo fatto io (salvo forse l’esempio dell’iraniana) e che assumeva una forte valenza semantica e narrativa.