Al centoquarantasettesimo stadio della sua meditazione vide una formica sorridere mestamente dall’alto di un grattacielo di New York.
Osservava tutto quel brulichio di persone, la formica, e sentiva il passo assordante degli aerei che le svolazzavano sulla testa. Al piano di sotto due umani, forse una donna e il suo uomo, gridavano come forsennati coprendosi l’un l’altro la voce. Dal groviglio di strade sottostante le automobili ingolfate in una catena di ingorghi manifestavano la loro insofferenza con strepiti di clacson e motori. Tutto questo guardava e sentiva, la formica, e pensava che nella sua prossima vita mai e poi mai sarebbe voluta precipitare nel novero insensato degli umani.
Assorta in queste considerazioni, la sventurata sentì appena il piede di John Kilby che la schiacciò di soppiatto giusto un attimo prima del crollo.
Il centoquarantottesimo stadio suonò come un’orazione, affinché si esaudisse l’ultimo desiderio della formica, ed anche quello di John Kilby, che voleva tornare a fumare.