E’ l’ora di cercar anch’io fortuna

in un sonetto bello e pien d’ardore

e dove il core rimi con amore

e dove luna rimi con laguna.

Lo scriverò di getto, ma non tanto,

e sentirommi allegro ma non troppo,

ché se mi fermerò, al prim’intoppo,

bestemmierò irato ogni santo.

O forma esatta più d’ogni altra mai

in cui il dubbio frulla e si maciulla

in mezz’a lazzi, lagne e birignai,

di te non me ne cale ormai più nulla,

se io riempio e svuoto calamai

mentre la mente no, non si trastulla.

 

P.D.

Postilla della Domenica

Due di questi versi sono integralmente gozzaniani, uno, quasi.

Piacerebbemi che qualcuno, senza ricorrere alle facilitazioni troppo comode di ricerche internettiane, provasse ad attribuire a Guido quello che è di Guido e a Gaetano quello che è di Gaetano (e se vi venisse fatto di barare, abbiate per lo meno l’ardire e l’ardore di dirlo, per Dindirindina).

(Quanto a me, l’avrete capito, mi piace mischiare le carte in tavola, la carne con la semola, il basso con l’alto, le cose mie con le tue e le sue con le nostre, e poi pure l’utile e l’inutilizzabile, la montagna col mare e il frigo con l’altare, tanto per fermarmi ai primi esempi che mi vengono in mente di tutta questa indifferenziata in cui mi sollazzo, sguazzo e mi rompo il cazzo come un napoletano tra i suoi rifiuti organici ed inorganici; anche perché si sa ovunque, nonsoloanapoli, che per ogni là c’è sempre un qua, per ogni se c’è sempre un ma, per ogni su c’è sempre un giù, per ogni men c’è sempre un più. Su e giù, su e giù, più o men, vuoto o pien, questo il mondo fa girar; e qua, lì, costì e colà non c’è antico, non c’è moderno, viva viva il postmoderno. E viva evviva anche questa globalizzazione e tutti i filistei che ogni cosa tritano macellano e maciullano ai fini di un proficuo riciclaggio funzionante dal due al tre di maggio, e chi avrà la peggio, cambi seggio e confidi nelle prossime elezioni, oppure aspetti come me un evento sovrannaturale o una catastrofe che smuova un po’ le situazioni individuali e collettive delle persone vive di questa piccola terra in cui ci trasciniamo come se nulla fosse o fosse stato.

Ed ora in coro: un du’ tre, cantate appriesso a mme: “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato,  scurdammece ’o passato: simmo e Napule, paisà!”)