Da che ho visto Il Divo, la scorsa settimana, mi sento tormentato dallo spettro dell’immagine incurvata, torva e malaticcia di Andreotti. E come se in quel corpo deforme e singolare vedessi riassunti i mali, la malattia e i misteri di questo disgraziato paese. A un certo punto ho cominciato a pensare al suo profilo ingobbito come a un punto interrogativo, un segno di domanda, il simbolo di un mistero inestricabile; e m’è venuto il ghiribizzo di rappresentare i contorni dell’enigma manipolando una stupenda foto che ho trovato in internet  e di cui, purtroppo, non sono riuscito ad individuare l’autore per tributargli il giusto credito intellettuale (ma sono pronto a farlo in ogni momento; anche perché, trattandosi di credito intellettuale, non costa nulla, come capita spesso in rete.)

l'enigma andreotti di gaetano aitan vergara (c)(c) 2008

Del film di Sorrentino, invece, ho già detto sul mio tumblr lo scorso 4 maggio.
Ma, nella convinzione che molti dei lettori di aitanblog non siano abituati a sfogliare la mia web-teca, lascio qui una rielaborazione di quel post:

Il Divo l’ho visto martedì scorso. Va visto il Divo, è un film molto intenso, molto bello; una mescolanza di stili in equilibrio instabile; un inventario di soluzioni tecniche che si susseguono in modo frenetico, ma sorprendentemente efficace. La realtà vista attraverso gli specchi deformanti dell’immaginazione diventa più chiara, e anche il nonsenso del male si fa più percepibile, quasi palpabile: il realismo grezzo della soggettività si presenta ai nostri occhi attoniti con una forza di verità che è più vera del vero, ed altrettanto enigmatica; perché solo una visione radicalmente soggettiva può riuscire a restituirci qualche scheggia di verità.
Assistere alla rappresentazione che fa Sorrentino di Andreotti, mettendo insieme immaginazione e testimonianze più o meno affidabili, è come un esercizio di psicanalisi collettiva: la moltiplicazione dei punti di vista rende omaggio alla complessità del reale attraverso un coro di voci i cui solisti sono pentiti, vittime, parenti, compagni di merenda, sodali e nepoti. Altro che post-neorealismo. In Spagna per dire impressionante, spaventoso, grottesco, si dice “dantesco”: qui siamo da quelle parti, dalle parti di Alighieri, dalle parti di Rabelais, di Valle-Inclán e di Jarry; qui siamo da quelle parti, dalle parti di Bosch, Goya, Grosz, Buñuel e Fernando Solanas. A tratti mi sembrava di assistere a un chronicle play shakespeariano con Cirino Pomicino nel ruolo di Falstaff e il potere che trascende i singoli personaggi, la loro storia, la Storia.
L’interpretazione, spesso marcatamente teatrale, di Servillo, Bucci, Buccirosso e compagnia recitante sembra essere un consapevole riflesso espressionista del teatrino tragicomico della politica. Meravigliose (e più pacatamente cinematografiche, più a tutto tondo, più umanamente donne) Anna Bonaiuto e Piera Degli Esposti.
Il montaggio alterna silenzi e strepiti, tensioni e distensioni, realtà e surrealtà, con una sapienza che sembra venire da ben assimilate lezioni di dinamica musicale. Qualche lungaggine solo nei dialoghi. L’uso del sonoro è stre-pi-to-so. Da da da!

l'enigma andreotti (dettaglio) di gaetano aitan vergara (c)(c) 2008

Aggiungo che il film di Sorrentino non è un film politico, come non strettamente politici né esclusivamente propagandistici erano i drammi storici di Shakespeare che citavo qui sopra. Il mio beneamato Juan Goytisolo ha spesso stigmatizzato l’errore di confondere l’efficacia politica con l’efficacia estetica. “Al contrario della politica – per forza di cose più diretta, più di circostanza – l’arte attua in modo profondo sulla coscienza umana. L’opera letteraria, per esempio, amplia e generalizza la nostra esperienza, arricchisce la nostra visione del mondo, illumina il nostro passato. […] La cultura è, per principio, creatrice di libertà. La sua finalità è aiutare l’uomo ad esprimersi di più, trasformando la vaga nozione del ‘destino’ in coscienza. L’intellettuale rifiuta l’automatismo del mondo.” (El furgón de cola, 1967)

Ma sto andando fuori tema. Voi, se non lo avete ancora fatto, andate a cinema. Poi mi farete sapere.
E vi consiglio di andarci in buona compagnia. Io ci sono andato con alfar e gentile germana, e questo avrà sicuramente influito sulla buona percezione della pellicola. Il senso di un testo risiede sempre anche nel contesto in cui avviene la sua percezione.