Ufffffffff
Che io ora avrei preferito parlare d’amore o discettare dei principi che reggono la struttura di un buon sonetto o la tenuta di un’improvvisazione musicale. Che io ora avrei preferito cercare il tuo amore e celebrarlo in un poema o suonarlo appassionatamente in una ballad che me ne ricordasse l’andamento sinuoso e altalenante come il battito sugli hi-hat di Max Roach e seguaci. Che io avrei preferito fare l’amore con la compiutezza formale di una strofa che ti viene fuori perfetta senza bisogno di cesellature, come un brano composto lì per lì con la forza e la veemenza della passione e l’armonia della sapienza millenaria del lato buono della historia humana. Che io ora avrei preferito essere altrove e tutt’altro fare; ma sto trascorrendo il tempo a parlare di politiche, scuola, decreti e argini contro il dilagare dell’ignoranza coatta e delle persuasioni occulte e palesi tra le menti sopite della maggioranza silenziosa degli italioti.
E ogni tanto provo anche qualche brivido che somiglia alla passione nello stare tutti insieme a difendere un’idea, a cercare di costruire un’alternativa più sana, più vera, più viva.
È successo lo scorso giovedì a Roma. L’ho già scritto da qualche altra parte, lo riscrivo qui, ora, a distanza di un paio di giorni. Quando sono più sedimentate le ragioni e meno forti le emozioni.
Lo scorso 30 ottobre era una giornata di sciopero generale in difesa della scuola pubblica. Eravamo tanti, tantissimi; tanto che si è intasato il traffico in entrata a Roma e i pullman ci hanno lasciato sul raccordo anulare. Siamo arrivati alla metro dell’Anagnina a piedi tra automobili ed autobus, intossicati ma carichi di energia buona. Eravamo tanti, tantissimi. Continuavano ad arrivare schiere di manifestanti anche quando i comizi di Piazza del Popolo erano finiti. Ma in fondo, i comizi, erano la cosa meno importante.
La verità è che non conta se eravamo 100, 100 mila o centinaia di migliaia; eravamo tanti, tantissimi, nonostante i mezzi di dissuasione post-kossighiani e il tempo che minacciava tempeste che non sono arrivate. Ed era nell’aria una potente carica di cambiamento.
Erano belle le bandiere, pacifiche le persone ed il corteo festoso e creativo, nonostante le incombenti preoccupazioni per una crisi che non è solo economica e finanziaria.
Insomma, ha piovuto poco malgrado il governo ladro e ingannevole che ci troviamo e la manifestazione è stata bella e partecipata a dispetto delle malelingue, delle malevole trappole e della cattiva stampa che fa eco alla voce del padrone.
Se questa mia testimonianza non vi basta, se non siete paghi e volete leggere anche qualche resoconto non allineato sui fatti di Piazza Navona di mercoledì, ne ho raccolto qui qualcuno (ma c’è già tanto di più aggiornato e approfondito, se cercate nella rete).
Se poi preferite soffermarvi solo sulle figure che illustrano quella splendida giornata, cliccate su questo carosello di foto.
E se volete pure la moseca, c’ho messo anche un video, girato in modo piuttosto scalcagnato e buttato un po’ alla carlona nel magma di iutùb (che là Mediaset non c’è ancora arrivata, e forse nemmeno i soci di Gelli ci hanno ancora messo le mani):
[Quelli che suonano e marciano in questo video sono gli Errichetta Underground. Li potete ascoltare e conoscere meglio nel loro spazio web. Sono giovani, sono bravi; fanno una musica klezmer molto contaminata (come è giusto che sia). Io auguro loro di continuare a divertirsi e divertirci suonando e abballando finché non muore il giorno; ogni giorno.]
Va be’, per il momento, mi fermo qui.
Arrivederci, grazie per l’attenzione e fozz’itaglia!