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A richiesta grande ma non troppo continuano le avventure di Cuccettina.
(Per chi non l’avesse ancora fatto, è possibile leggere qui il I e II capitolo.)
– III –
Cuccettina se li guardava continuamente, quei piedi che le spuntavano dalle braccia e, nel guardarseli e riguardarseli, cominciò anche a provare una certa vergogna, tanto che si allungò il maglione stringendo i polsini tra i denti per cercare di nasconderli. Ma quei maledetti ditoni, ad ogni piccolo movimento, tornavano a spuntare dalle maniche.
Fu proprio mentre era tutta intenta in questa azione di nascondimento dei suoi piedi di sopra (per così dire) che sentì quella voce:
– Se vuoi, ti aiuto…
Era un ragazzino, poco più alto di lei, piuttosto trasandato, con uno sguardo sfottente e due occhi neri neri, molto belli e luminosi.
– Ma che vuoi? Fatti i fatti tuoi! – sbottò lei, mentre lo squadrava dal capo ai piedi.
– Se vuoi…, ti do una mano…, vedo che stai un po’ in difficoltà – sorrise malizioso.
– Ma non hai proprio niente da fare, stamattina?
– Certo, certo che ho da fare. Ma non capita mica tutti i giorni di trovarsi di fronte una ragazzetta così carina. Su, dai, fatti aiutare…
Nel dire queste parole le si avvicinò lentamente e le accomodò i polsini del maglione senza toglierle lo sguardo dal volto.
Cuccettina arrossì e si chiese se lui se ne fosse accorto di quei piedoni che aveva al posto delle mani e si preoccupò anche che puzzassero come puzzavano i suoi piedi quando metteva per ore e ore scarpe da ginnastica in giorni di sole. Ma lui non le diede il tempo di annusarseli o pensare ad altro…
– IV –
Con sorprendente rapidità, il ragazzetto si tirò via dal collo una bandana bianca e rossa, prese dalla tasca un temperino, si inginocchiò, piegò al suolo la bandana e la divise in due parti che parevano identiche. Cuccettina seguiva i suoi movimenti con pari curiosità e ansia. Si chiedeva cosa stesse facendo quel ragazzo dallo sguardo sfottente, gli occhi belli e neri e le mani svelte e sapienti.
Ma lui non le diede molto tempo per continuare a pensare: si alzò, le si parò di fronte e ad uno ad uno mise i due pezzi di bandana nei polsini di Cuccettina, aggiustandoli con cura, in modo che non fossero più visibili i ditoni delle sue mani piedose.
Cuccettina lo lasciò fare, poi si osservò le sue nuove maniche, che ora sembravano anche più eleganti di prima, come un merletto di una dama dell’ottocento o una cantante americana di quelle che piacevano tanto a Mariselda, la sua cugina più grande e più trendy. Cuccettina nostra si osservò le nuove maniche merlettate di rosso e bianco, dicevo, ed accennò un sorriso, poi alzò lo sguardo verso gli occhi belli di quel ragazzetto e continuò a sorridere, colma di gratitudine.
– Io sono Cuccettina e… non capisco cosa mi stia succedendo… Tu come ti chiami?
– Io, modestamente, sono l’unica persona che ti può aiutare e mi chiamo Sicomoro.
– Sicoché? Ma che cavolo di nome è?
– Sicomoro…. Si-co-mo-ro. Mi chiamo così da che sono nato, Sicomoro, e combatto le forze del male.
– Le forze del male? Sicomoro? Non ci capisco più niente. E io che cavolo c’entro con le forze del male?
– Sì, brava, Sicomoro… Dai vieni con me, Cuccetta, e raccontami per filo e per segno cosa ti è successo.
Lei stava per correggerlo, voleva dirgli che si chiamava Cuccettina, non Cuccetta, e voleva dirgli anche che non l’avrebbe mai seguito, che lei non se ne andava in giro col primo arrivato, ma disse solo:
– E dove andiamo, ora?
Sicomoro la prese per mano e se la portò via, senza aggiungere una parola. Fu così delicato e convincente, Sicomoro, che Cuccettina nemmeno si ricordò che il braccio che gli porse aveva alla sua estremità una di quelle sue mani piedose.