Considerazioni internazionali nell’ora della digestione, dopo aver mangiato un hamburger cinese e peperoni della terra dei fuochi ascoltando un tiggì pieno di schermaglie occidentali e pseudoscontri di inciviltà.
Dopo lo scandalo Volkswagen, lo scandalo Renault. Ma se ne è parlato molto meno. I primi della classe tedeschi, sempre così precisi e pieni della loro ostentata etica protestante ed ecologista, sono più antipatici.
I risultati, però, sono gli stessi: i fabbricanti di automobili ci inquinano e ci prendono per il culo. Una volta si sarebbe parlato della spietatezza del capitalismo che ci inganna e fa delle nostre vite carne da macello. E si sarebbe colpito nel segno, una volta. Oggi si preferisce fare le guerre etniche e dare la colpa al vicino o a chi viene da lontano.
Intanto il prezzo del petrolio è sceso dai 100 ai 30 euro al barile (anche se al distributore s’è risparmiato solo qualche centesimo di euro).
Le auto, soprattutto le auto alimentate con benzina e gasolio, hanno fatto il loro tempo e il petrolio perde ogni giorno la sua centralità nell’economia mondiale. Ma facciamo come se niente fosse e fingiamo che il mondo sia ancora quello che era. Per resistere a un cambiamento che è ormai nelle cose, a Occidente le fabbriche si fanno la guerra a colpi di disonestà a carico dei clienti e dei pedoni privi di mascherina, a Oriente sia sunniti e sciiti che sunniti e sunniti si fanno la guerra per il potere e per il petrolio, mentre la povera gente continua a impoverirsi o fugge dalle distruzioni e dai conflitti. Noi, però, guardiamo dall’altra parte e preferiamo parlare di popoli ostili e scontri di religione e di civiltà e, parlando parlando e straparlando, alimentiamo l’odio e lo scontro; lo rendiamo reale.
Non ce ne accorgiamo, o fingiamo di non accorgercene, che è tutto questo modello di civiltà fondato sulla finanza e sull’oro nero che sta crollando. Meglio rispondere fondamentalisticamente al fondamentalismo imperante e continuare a scorrazzare con le nostre auto (quando non siamo fermi a imprecare contro il traffico) e a ballare in salotti riscaldati a gas o a petrolio, mentre il Titanic del capitalismo affonda. Perfino in Cina. E così la sentiamo più vicina, la Cina.
Non ho soluzioni. Ma molti segni mi dicono che solo tante persone che una alla volta cambiano il proprio modello di vita possono cambiare il mondo. Con scelte consapevoli e capacità di dialogo. Tante persone libere, capaci di muoversi senza frontiere e lasciandosi contaminare dalle cose buone giuste e belle delle culture altrui. Persone capaci di contagiare positivamente altre persone e di andare a piedi verso un mondo nuovo. Lo so che sembra ingenuo e fottutamente ottimistico parlare di mondo nuovo dall’epicentro della crisi, ma mi sembra anche più ingenuo ed esiziale l’atteggiamento di chi legge tutto nell’ottica delle guerre tra i buoni e i cattivi e arrivano_i_nostri e sia_maledetto_l’infedele_e_la_quinta_colonna_che_lo_difende.
Dopo lo scandalo Renault, lo scandalo Volkswagen, poi magari toccherà alla Fiat Chrysler o alla Rover inglese. Ma non è questo il punto. Si tratta di vedere oltre le fabbrichette e il petrolio che le alimenta. Secondo me.
“Mucha gente pequeña, en lugares pequeños, haciendo cosas pequeñas, puede cambiar el mundo” ha scritto da qualche parte Eduardo Galeano con la forza incisiva della sua capacità di sintesi.
(Ok, ora prendo la mia auto a benzina e vado a passare la santa domenica in un centro commerciale che sta ad Afragola, ma potrebbe stare uguale in Alabama, ad Ankara o in Angola. Sperando che a nessuno venga in mente di lasciarsi scoppiare tra la folla e che un rom, un sinti o un tossico di paese non mi scassi il finestrino in cerca di pane, di telefonini o di monete.)