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‘A meglia parola e’ chella ca nun se dice e nun se sente; percio’, facite cunte ca nun aggio ditto niente.
27 mercoledì Set 2017
Posted idiomatica
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‘A meglia parola e’ chella ca nun se dice e nun se sente; percio’, facite cunte ca nun aggio ditto niente.
21 giovedì Set 2017
Posted vita civile
inCari ragazzi, vi abbiamo dato tutto un mondo virtuale in cui socializzare e simulare vite intense ed esperienze estreme; vi abbiamo insegnato attraverso i videotutorial come imparare a fare qualsiasi cosa coi videotutorial ma non fare nient’altro che guardarseli, i videotutorial; vi abbiamo coinvolto in giochi e simulazioni più reali del reale; vi abbiamo fatto ammirare donnone meravigliose e splendidi stalloni impegnati in amplessi dagli intrecci sempre più straordinari e vari; vi abbiamo regalato il sogno di un successo planetario tutto realizzato da schermo a schermo, senza sentire l’alito pesante, il puzzo di sudore o il profumo persistente di altri esseri vivi; vi abbiamo dato la possibilità di sapere cosa succede nel mondo ed assistere in diretta a manifestazioni, conflitti, bombardamenti e catastrofi che avvengono fuori dalla vostra stanza… e ora vi lamentate pure, dite che volete una vita extravirtuale, una casa vostra e un lavoro… Ma a cosa vi serve un lavoro, una casa e una vita…? Tutta roba di un passato pieno di ansie, di stress e di frustrazioni e senza mai un bitcoin in carrello, un like in bacheca o un feedback di un amico che vi confermi la vostra virtuale esistenza.
Ma che caspita, non vi basta tutto quello che avete e che vi arriva quasi gratis attraverso questi schermi fin dentro i vostri letti e sulle vostre poltrone?
Ingrati che non siete altro, non vi accontentate mai, nemmeno di terreno di camposanto e di gigabyte illimitati sul tablet, sul notebook e sul vostro telefonino!
11 lunedì Set 2017
Posted idiomatica, versiculos, vita civile
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Eran le sei ed erano tanti,
non c’era spazio per tutti quanti;
pronti gli alunni per la partenza
e trenta tate in assistenza.
Un guasto tecnico ad un motore
spiegò ansimando il direttore
aveva in un attimo bello e distrutto
un progetto perfetto in tutto e per tutto.
Di due bus era giunto sol uno
e ci voleva adesso qualcuno
pronto a proporre una soluzione
per far calare l’ingente tensione.
“Prima i nostri, qui siamo a Milano!”,
gridò dal bus un padre padano
buttando fuori un bimbo lucano,
quattro ghanesi ed un indiano.
“Prima i nostri, in terra italiana”,
faceva eco una siciliana
tenendo basso il tono e l’accento
nel proferire il suo commento.
“I primi posti agli italiani,
se poi ve ne è, ai napoletani,
ai filippini, agli americani…,
ed in subordine agli africani.”
“Più spazzio al bianco e al cristiano
e a chi palla pebbene taliano,
nel rispetto della costituzzione
e di ogni nomma d’educazzione.”
“Nessun sedile per i musulmani,
i rom, i sinti e i talebani
che tiran sangue, soldi e risorse
dal nostro sangue e le nostre borse.”
“Prima i nostri, per lor non v’è posto!”,
diceva una parlando del “costo
versato dall’intera nazione
per finanziare l’immigrazione”.
“Prima i nostri e i nostri prima”,
si riscaldava sempre più il clima,
mentre stavan muti e in disparte
trenta migranti senz’arte né carte,
i figli dei quali restarono là,
nei margini bui della città,
tristi, delusi ed anche arrabbiati
per come furon tratti e trattati.
Ma càpita a volte che la sventura
si volga di scatto e cambi andatura
spingendo sopra chi era in basso
e giù per terra l’altivo gradasso.
Si volse la ruota della fortuna,
sì volse il vento, si volse la luna
che quella notte s’alzò sopra un monte
dove sbandarono prima d’un ponte
precipitando in fondo a un abisso
tate, bambini e un crocifisso
ch’aveva al collo l’autista italiano
di quel catorcio di settima mano.
Non funzionò lo sterzo ed il freno,
sprofondò il bus nel terrapieno
e con lui la storia di questo finale
che scivola triste lungo il crinale.
In breve la colpa fu attribuita
alla massa che non era partita
e senz’alcun rischio s’era salvata
da morte certa e assicurata.
Cosicché il popolo dei migranti
fu accusato dai padri ululanti
d’aver esecrato e maledetto
il sacro gruppo del popolo eletto,
che ottemperò ai propri doveri
mettendo al rogo tredici neri
per atti osceni non ben definiti,
cattivi pensieri da starne allibiti,
imprecisati ulteriori misfatti
ed altri fatti ancora più brutti
per il buon ordine della nazione
e la difesa della popolazione
di pura razza arioitaliana
e fede cieca cattocristiana.