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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Archivi Mensili: novembre 2020

“Le sette opere…” di Piera

29 domenica Nov 2020

Posted by aitanblog in recensioni, riflessioni

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napoli, Piera Ventre

“Sette opere di misericordia” è un romanzo, un romanzone, che dovete assolutamente leggere. Quattrocendoquindici pagine che rappresentano, attraverso le vicende e i ricordi di una decina di giorni nella casa e nella vita della famiglia Imparato, tutto un mondo che rimarrà per sempre impresso nella vostre memoria diventando una parte della vostra stessa vita.

La scrittura densa, sapiente e urticante di Piera Ventre la conoscevo già dai tempi della blogosfera, quando ci leggevamo reciprocamente rimbalzando con leggerezza e profondità da una pagina all’altra e poi creavamo occasioni per incontrarci anche nella vita extravirtuale.

Ma quello che mi ha meravigliato di quest’opera è l’impalcatura, la densità della storia, la costruzione architettonica dei fatti che ci mette di fronte a un intreccio di vite scandito dalle sette opere di misericordia del capolavoro sghembo di Caravaggio, in una Napoli dolente, traballante e precaria e in un’Italia attaccata al televisore, trepidante di speranza e poi sconvolta dalla morte di Alfredino, il bambino ingoiato dal pozzo.  

Il romanzo si apre e si chiude con l’episodio di Vermicino (visto prima con gli occhi di un bambino e poi attraverso lo sguardo attonito di tutto il Paese). Chi ha più di 50 anni non può dimenticarlo.

“È stata una storia come quella del primo sbarco sulla Luna: il trionfo della tecnologia allora; la sua tragica sconfitta ora, davanti al pozzo di Vermicino. Si può andare sulla Luna, ma non si può salvare un bambino caduto in un pozzo. Ne veniva un senso di angosciosa impotenza, di disperazione”. Queste le parole di Leonardo Sciascia, pubblicate a caldo sul settimanale “Epoca” il 27  giugno del 1981 e riportate anche nella “note e ringraziamenti” del romanzo di Piera Ventre.

Dal primo al 12 giugno del 1981, andando avanti e indietro nel tempo e seguendo i fatti da diversi punti di vista, partecipiamo alle ansie, ai desideri e alle disgrazie di questa famiglia napoletana trasferita da Materdei ad un’abitazione nel Cimitero di Poggioreale, dove il padre, Cristoforo, fa il custode.
Cristoforo è un “loser”, un perdente nato, un uomo che resta privo troppo presto del padre, degli occhi, del lavoro, degli affetti… Ma perdenti in quella casa del cimitero e nella Napoli precaria e pericolante di questo romanzo lo sono un po’ tutti: Luisa, la moglie di Cristoforo; i loro figli Rita e Nicola; la seducente Rosaria, compagna di classe di Rita e ospite della famiglia Imparato; il professore Guerrini che si trasferisce dagli agi di Pisa ai disagi di una Napoli terremotata e desolata; il vecchio Erminio Longobardi e il giovane Armando, innamorato di Rosaria… E altrettanto desolata e incerta appare la vita degli animali, veri e immaginari, che popolano le loro vite: il gatto Moschillo curato amorevolmente da Cristoforo e da suo figlio tra le mura del cimitero; il cardillo canterino che Luisa si porta anche al cesso e Laika, il cane di pezza, unico vero confidente di Nicola. Su tutti – uomini e animali – Piera Ventre punta il suo telescopio e, seguendo il suo sguardo, ci spostiamo dal cimitero, ai vicoli di Napoli, alla lontanissima Pisa altoborghese, su su fino alla luna… 

I fatti sono intervallati da vari flashback e ricordi, puntellati anche dalle pagine del diario del piccolo Nicola (Agosto 1980, arrivo del prof. Lorenzo Guerrini a Napoli; 5 giugno del ‘43, perdita dell’occhio di Cristoforo; novembre dell’80, terremoto; gennaio dell’81, primo incontro all’hotel Eden alla Ferrovia; e poi, ancora, l’arrivo nella casa del cimitero di Nino, il figlio del compare in procinto di emigrare in Germania; i tempi felici in cui gli Imparato vivevano a Materdei; l’arrivo in casa del cardillo…).

Di più della trama non dico per non togliervi lo sfizio di scoprire da soli i fatti ordinari e sconvolgenti di casa Imparato e del piccolo mondo che gravita intorno alle loro vite.

Aggiungo solo qualche considerazione.

Come avrete già percepito, le vite dei personaggi di questo romanzo sono pervase da una diffusa e sommessa disperazione.

Anche Rosaria – che sembra essere la figura più salda del romanzo, portatrice di una vitalità e di una carnalità che dà scompiglio – non fa che affrontare una catena di delusioni e frustrazioni. La sua stordente bellezza le dà “la sensazione di poter girare le cose” come vuole lei, ma “in realtà, erano le cose che facevano girare lei”.

In fondo, alla bella Rosaria, capita un po’ quello che capita a Napoli e ai napoletani, da sempre oggetto di desiderio e di repulsione. Qui, chi viene da fuori, viene come in una missione, in bilico tra l’ansia di espiazione e il desiderio di redimere e redimersi, ma resta irretito. Invece, chi a Napoli ci vive da sempre è scosso da continue voglie di andarsene e farsi una vita altrove.

La Napoli degli anni ‘80 che fa da sfondo al romanzo è una città puntellata da ponteggi di tubi Innocenti e impregnata da una fame atavica e insanabile. Una città immobile. Un’appendice di quel cimitero in cui la famiglia Imparato trascina la sua esistenza vedendo con un occhio solo la miseria in cerca di misericordia che li circonda. Una città cadente e decaduta in cui l’unica salvezza sembra essere la fuga. 

In ognuna delle sette parti del romanzo (1. Dar da mangiare agli affamati; 2. Dare da bere agli assetati; 3. Vestire gli ignudi; 4. Ospitare i pellegrini; 5. Curare gli infermi; 6. Visitare i carcerati; 7. Seppellire i morti) sembra risuonare il severo “Jatevenne!” di Eduardo. Ma non si riesce a fare a meno di percepire il fascino perverso di Partenope. Il richiamo della sirena.

Conoscendo qualche tratto della vita dell’autrice, non riesco a fare a meno di confrontare i suoi personaggi con la sua biografia. Piera è una napoletana che vive a Livorno da più di trent’anni. Immagino che da lontano ripensi Napoli con lo sguardo di chi ne vede tutte le imperfezioni e la traballante precarietà, ma non riesce a distaccarsene del tutto…

Ad un dato momento, Rita, la figlia maggiore degli Imparato, dichiara: “era necessario […] che io vi nascessi. Per coltivare il desiderio di lasciarla e non tornarci più se non con il pensiero.”

E più avanti quella insanabile forza centrifuga viene espressa in terza persona e in termini ancor più spietati e perentori:

“[…] Voleva andarsene da quella città che li faceva tutti malati gravi, pietrificandoli come fa la lava quando si raffredda.

[…] Se ne sarebbe andata […]. Il più lontano possibile dagli edifici rosicati, dall’eredità della sua storia millenaria fatta di peste e fasti, di opulenza sfrenata e di miseria d’accatto, con quel vulcano che la presidiava silente, eppure minaccioso, simile a un drago in letargo che bastava niente a risvegliare affinché portasse solo morte e distruzione, e col mare, sí, quel mare che era un’idea, che bisognava cercare per vederlo, avvicinarsi, rasentarlo, altrimenti neanche si intuiva nel mentre si percorrevano strade e vichi in cui a stento filtrava un’oncia di sole solo quand’era a picco, un coltello di luce sulla testa. Ci camminava, per quella città, mangiandola assieme al cibo, boccone dopo boccone, per farsela meglio entrare in corpo, digerirla per poi disfarsene.

Dovevano esserci altri luoghi, si diceva.

C’erano altri luoghi, lo sapeva, in cui vivere sarebbe stato un po’ piú semplice, senza il Vesuvio a ribollirle il sangue, senza santi, senza tufo, con il mare – un mare che si vedeva e si toccava – ei suoi venti a ripulire l’aria. […] Se ne sarebbe andata.”

Se ne sarebbe andata.

Ma non si può fare a meno di descriverla, quella Napoli. Anche da lontano. Mi pare.

Forse Napoli e i suoi vicoli oscuri penetrati da improvvisi squarci di luce sono una metafora della precarietà delle nostre stesse vite e dell’attaccamento che pur tuttavia ce ne deriva.

Clamantis Vox

27 venerdì Nov 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, texticulos

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eraclito, flusso, incomunicabilità

Ormai sono anni che vi comunico la mia incomunicabilità.
Parole che scorrono come i fiumi di Eraclito.
Uguali, mutevoli e ricorrenti.
In mezzo a un flusso incessante di gente che non sa cosa dire, ma continua a dirlo e ridirlo insistentemente che non lo sa, cosa dire; e ripete incessantemente che è pieno di gente, qui, che parla parla senza che nessuno ascolti.
Sussurri, grida, mormorii, gorgoglii e borborigmi in forma scritta.

Un altro monologo ad alta voce tra la gente che mi passa accanto e mi attraversa distratta. Come fossi un fantasma che grida in un deserto.
Parole liquide che scorrono incessanti sulla nostra retina senza lasciare null’altro che il flusso corrente e ricorrente.
Acqua che scorre senza lasciare niente.
Parole liquide scritte sull’acqua nel secchio dell’oasi di un deserto di gente distratta da chissà che.

E il secchio è uno specchio che penzola e scricchiola impiccato ad un pozzo.
Come in un film di Sergio Leone.

In et sub limine (vitae)

16 lunedì Nov 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, romantico, versiculos

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assurdo, limite

È vero, al limite potrei fare a meno della letteratura, dell’arte, del vino e della musica.

Al limite potrei fare a meno anche degli amici, del mare, delle albe e dei tramonti.

Sì, sì, non c’è dubbio, potrei farne a meno, perché in fondo in fondo potrei fare a meno anche del tuo amore o della vita mia.

Al limite…

La pandemia che è venuta…

14 sabato Nov 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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pandemia


La pandemia che è venuta
non è la prima. Prima
ci sono state altre pandemie.
Alla fine dell’ultima
ci saranno vaccinati e non vaccinati.
Fra i vaccinati la povera gente
farà  la fame. Fra i non vaccinati
farà la fame la povera gente ugualmente.

Aitan Brecht
  

Qualunquismo digitale

11 mercoledì Nov 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos, vita civile

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cittadinanza digitale, sociale

Il predominio dell’urlo sui toni pacati del ragionamento e della discussione;
l’incapacità di ascolto;
la circolazione di contenuti semplici o banali che pretendono di affrontare temi complessi attraverso gli scarsi mezzi della ipersemplificazione…;
la spasmodica ricerca di conferme alle proprie opinioni (confuse con le proprie “ragioni”);
l’altrettanto spasmodica ricerca di dati che confutino le opinioni dell’altro per schiacciarle e schiacciarlo;
la difficoltà di concentrarsi e di fermarsi a leggere un testo che superi le tre o quattro righe;
il desiderio di arrivare primi;
la tifoseria;
il rifiuto dei grovigli, dei sentieri intricati e degli gliommeri;
i tutorial su come si fanno i tutorial fatti da persone che non hanno mai fatto un tutorial;
il copia e incolla acritico;
il copia e incolla fatto senza citare le fonti;
il copia e incolla compulsivo e la condivisione priva di lettura previa;
il clickbaiting e il sensazionalismo;
la bulimia e il narcisismo;
l’oltraggio e l’offesa volgare e grossolana contro coloro che espongono argomenti che non si è in grado di controbattere;
la proliferazione rizomatica di bufale e fake news;
la smania di ottenere, moltiplicare e conteggiare consensi;

insomma,
questa fuga di massa
dal  senso critico,
dalla problematicità
e dall’empatia;

questo volersi presentare
altri da ciò che si è
per perdere nella folla
il proprio senso
di responsabilità
e autonomia

mi fanno ogni giorno vacillare
e continuare a chiedere
cosa ci faccio qua
in tempi in cui è obiettivamente
difficile incontrarvi altrove

e nel frattempo ricado nel paradosso
di postare sul social par excellence
la critica al social par excellence

e mi confondo con questo
imperversante e crescente
qualunquismo digitale
tanto incosciente
da farmi stare male

…


P.s. Aggiungo a questa lista di doglianze digitali la ricerca di frasi ad effetto che è di certo anche un mio difetto e il vizio dell’autoreferenzialità e della autocitazione:

https://aitanblog.wordpress.com/2020/11/11/qualunquismo-digitale/

Ode al Sole

09 lunedì Nov 2020

Posted by aitanblog in immagini, versiculos

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sole

Sole, fa tua questa terra
Inondaci dei tuoi raggi
Salvaci con i tuoi frutti

Ricordaci chi siamo
e dove stiamo andando
a finire

Jesce Sole
Jesce

Immunizzaci col tuo calore
Accarezzaci col tuo tepore
Avvolgici nel torpore
e illuminaci

Jesce Sole
Jesce
Nun ce fa’ cchiù suspirà

Via maledetta macchia!

07 sabato Nov 2020

Posted by aitanblog in idiomatica, immagini, riflessioni, texticulos

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Macbeth, mani, manie

(Le distanze da Lady M.)

Distanziamento
Distanziamenti
Distanzia menti
Di ansia e menti
Di ansia ansia ansia
e di lamenti

Lavati le mani
Le mani le mani

Out, damned spot!

Le mani
Le mani
Le mani
Le mani

Le manie

Saranno mai pulite queste mani?

All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand.

Non basteranno
Non basteranno tutti i profumi d’Arabia

Ahi
ahi
ahi

Basta
Fermo
Stop it

Annika Boris's Lady Macbeth

È proibito respirare in pubblico
È proibito respirare

E che te lo dico a fare

Mo comme mo
come stanno le cose
non se ne parla propio
Non se ne parla
Non se ne parla proprio
di stanziamenti

di stanziamenti

Distanziamenti

Se chiude ‘o sipario
È fernute ‘o tiatro

Pneuma 2020

06 venerdì Nov 2020

Posted by aitanblog in idiomatica, immagini, texticulos

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pneuma, zona gialla

“Lo pneuma dei greci, la ruah degli ebrei, il soffio vitale…, il segno della vita, l’anima, lo spirito, l’aria che viene fuori dalla nostra bocca…”

– Aheja!
– Ma c’a’ ditto? Nun ‘o penza’… Stute ‘sta cosa e stamme vicino…
– …!?
– Jamme bello, ja’, viene cca, statte zitto zitto e damme ‘nu vaso…
– Patatrac!

“In talune religioni lo pneuma viene associato all’esalazione dell’anima, lo spirito che abbandona il corpo, l’ultimo respiro…”

– Seh, Seh…!
– Aaaaaaah! Viene cca’!
– Aspe’, stongo a ffa’ ‘o giallo!
– Vabbuò, mo ‘a stute je ‘sta sfaccimna ‘e televisione…
– …
– E levatella sta mascherina… E dammello ‘nu vaso…
– ‘Nu vaso, ‘nu vaso. Ma ‘e ‘ntiso bbuono…?


Un po’ di vocabolario per i lombardo-veneti e zone collegate:

▪️Ma c’a’ ditto? > Ma cosa ha detto?
▪️Stute > Spegni
▪️Jamme bello > Forza, Suvvia, “Come on”
▪️Vaso > Bacio
▪️Stongo a ffa’ ‘o giallo > Mi sto facendo sotto dalla paura
▪️’Sta sfaccimna ‘e televisione > Questa caspita di televisione
▪️Ma ‘e ‘ntiso bbuono > Ma hai sentito/capito bene

Giorni precari in una città traballante

03 martedì Nov 2020

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covid19, Piera Ventre, terremoto

Stamattina, immerso nella lettura di un romanzo (molto bello) ambientato a Napoli ai tempi del terremoto,* mi è venuto in mente che all’epoca, per mesi, neanche noi siamo andati a scuola.

Caravaggio, "Sette opere di Misericordia"

Io frequentavo il ginnasio, a quei tempi, e la vecchia struttura che ci ospitava risultò inagibile per molti mesi.
Va be’, la mia classe dopo un po’ si organizzò e cominciò a recuperare qualche ora di lezione, ospite in uno stanzone verandato della villa di un nostro compagno di classe.
Ma la stragrande maggioranza fermò del tutto la sua attività didattica; e non c’era nemmeno il soccorso della DAD in quei favolosi anni ’80.
Poi cominciarono le lezioni nei sottoscala di palazzine antisismiche e i doppi turni con i ragazzi dell’Istituto Commerciale di Frattamaggiore (lo stesso in cui ora svolgo la mia attività di insegnante).

Insomma, per almeno un anno, le lezioni non furono per niente “regolari”; eppure per me, e credo anche per molti altri della mia generazione, quello fu un periodo molto formativo.

La scuola è indispensabile; ma non passa solo per i banchi la formazione dell’individuo.
E non mi riferisco solo all’università della strada che ho frequentato poco e con scarsi risultati.

Io avevo la fortuna di avere in casa una biblioteca sterminata, e non ho mai più letto tanto come in quei giorni.
Chi non ha, o non sa cogliere, la fortuna di avere molti libri in casa, oggi ha a disposizione (nella rete e nei canali radiotelevisivi) una fonte inesauribile di dati, opere d’arte e di ingegno, brani letterari e musicali, informazioni e notizie.
Bisognerebbe solo (si fa per dire) che acquisisse un po’ di senso critico per imparare a distinguere il grano dal loglio e trarre i frutti migliori dall’immensità di questo mare magnum costituito dai dati disponibili nel Web.

Una parte cospicua della didattica a distanza si dovrebbe dedicare a questo. Non possiamo lasciare sole le nuove generazioni di fronte a queste acque immense e infide.
Altrimenti rischiamo di trovarci al cospetto di un’altra generazione di fruitori passivi e di disseminatori acritici di bufale, fandonie e fake-news.

_________

Il romanzo che ha scatenato in me questo domino di pensieri è “Sette opere di misericordia“.

Piera Ventre, "Sette opere di Misericordia"

Lo ha pubblicato quest’anno, con Neri Pozza, la mia amica Piera Ventre, una napoletana che vive a Livorno da più di trent’anni e guarda Napoli con lo sguardo di chi ne vede tutte le imperfezioni e la traballante precarietà, ma non riesce a distaccarsene, perché distaccarsene è come perdere un pezzo di sé. Ma magari questa è solo una mia visione e Piera, in realtà, si sente del tutto avulsa da Napoli e dalla sua immobilità cimiteriale, dai suoi eterni ponteggi di tubi Innocenti e dalla sua fame atavica e insanabile.
Magari, a romanzo concluso, glielo chiedo se dentro di lei agisce con più forza la repulsione o l’impossibilità del distacco.


È un tema che sento con molta partecipazione emotiva in questi giorni in cui mi dibatto tra la voglia di buttarmi in strada e fregarmene delle direttive ministeriali e l’esigenza di rintanarmi tra le pareti protettive della mia casa e dei miei affetti.

Interludio visionario

03 martedì Nov 2020

Posted by aitanblog in inter ludi, texticulos

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visioni

Alla fine restarono solo i vecchi e i professori. E i vecchi passarono il resto della loro vita a cercare di insegnare ai professori qualcosa di pratico.


Mi sono svegliato stamattina con queste parole che mi rornzavano in testa.

O sto diventando anch’io vittima del produttivismo capitalistico o mi hanno installato un chip nel cervello che cerca di convincermi che è meglio soccombere che fermare il treno in corsa.

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

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