Qualche principio di cittadinanza digitale ai tempi del covid 19
Pare che in qualche modo la pandemia stiamo riuscendo a contenerla. Oppure è solo un caso che ci siano meno morti per covid. Magari la curva discendente è indipendente dai vaccini. Oppure ci propinano dati falsati: non stiamo contenendo un bel niente. Oppure ci stiamo illudendo che la pandemia si stia riducendo perché guardiamo solo la nostra bolla nazionale, ma non ci rendiamo conto che abbiamo chiuso la porta e il virus rientrerà dalla finestra. Oppure non abbiamo contenuto proprio niente di niente perché il virus non esiste e non è mai esistito e stiamo vivendo tutti in un Truman Show della comunicazione.
Insomma, dicevo, probabilmente la pandemia stiamo riuscendo a contenerla. Quella che invece continua a dilagare e a crescere è l’infodemia sul virus, la dilagante mole di informazioni e controinformazioni che rimbombano e riecheggiano sui social, nei bar, nelle scuole, sui treni, nelle aule del parlamento, sui giornali e nei telegiornali; controinformazioni e informazioni, per lo più non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi sull’argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.
I fatti reali si mescolano con i fatti inventati. Il verosimile diventa verità assoluta. I dati vengono manipolati o estrapolati ad arte per rafforzare la posizione dell’uno o dell’altro. E quando qualche nuova notizia afferra la nostra pancia, siamo presi da un incontenibile desiderio di condividerla e contaminare la nostra rete di relazioni con le nostre verità rivelate. Siamo commossi, divertiti o arrabbiati e vogliamo farlo sapere a tutto il mondo, indipendentemente dalla realtà, dalla vericidità o dalla razionalità dei fatti.
Giusto un anno ne fa parlavo qui nel blog:
Infodemia-e-distorsione-dei-dati-e-delle-informazioni
Affermavo, in buona sostanza che il meta-mondo di internet è così vasto e così zeppo di dati, informazioni e notizie più o meno vere e più o meno false che, se ti metti a cercare, trovi conferma a qualunque tua ipotesi, anche la più strampalata, fantasiosa o creativa.
In tempi di crisi, poi, è storicamente plausibile che vengano fuori le voci forti, i rumors, le delazioni, le calunnie, gli stregoni, le streghe, le credenze e i cacciatori di streghe e di stregoni.
Solo che prima di ora non c’era mai stato un amplificatore di sciocchezze così potente come la grande rete.
Nel 2002 Gunther Eysenbach in un articolo intitolato “Infodemiology : the epidemiology of (mis)information” (in American Journal of Medicine, vol. 113, n. 9) sosteneva che, nel valutare la qualità delle informazioni riguardanti la salute esistenti in Internet, si debba essere ben vigili e fare della sana infoveillance (da information e surveillance) prendendo in considerazione una serie di elementi che trovo così riassunti su Wikipedia alla voce Infodemiologia:
– aggiornamento recente e continuo
– citazione delle fonti
– scopi espliciti e intenzioni del sito web
– rivelazione degli sviluppatori e degli sponsor
– interessi rivelati e che non possono influenzare l’obiettività (per esempio, interessi finanziari)
– contenuto equilibrato che elenca vantaggi e svantaggi
– etichettatura con metadati
– livello di prova indicato.*
* Purtroppo, le omologhe voci inglesi e spagnole di Wikipedia non contengono questo interessante elenco che avrei voluto confrontare in altre lingue. Ma quando avrò più tempo mi riservo di cercare l’articolo originale di Eysenbach.
Aggiungo alcune semplici regole di base per fare infoveglianza che provengono dalla mia esperienza personale come formatore e come animatore digitale scolastico:
– verificare l’attendibilità dei dati e delle notizie prima di diffonderle frettolosamente sui nostri account social (esistono appositi servizi antibufale online che vagliano le notizie sospette)
– controllare l’URL, ossia l’indirizzo della pagina da cui proviene la notizia o il dato: spesso capita che siti di fake news, per confonderci, utilizzino URL simili a quelli più accreditati conosciuti dagli utenti (tipo il Corriere della Notte o il Corriere della Sega, invece del Corriere della Sera)
– verificare l’attendibilità dell’autore che ha scritto il post, accertare se ha firmato altri articoli che possano accreditarlo come esperto dell’argomento (per esempio, su Google Scholar è possibile verificare il numero di pubblicazioni che un autore ha scritto e che hanno ricevuto almeno dieci citazioni; oppure è possibile cercare il suo curriculum su LinkedIn o su siti istituzionali, quali università, policlinici o scuole di specializzazione).
– controllare le date, soprattutto quando si narrano fatti e accadimenti. A volte, si spacciano per nuove notizie vecchie che, in un contesto diverso, assumono tutto un altro significato.
– verificare il linguaggio e lo stile comunicativo utilizzato (imparando a dubitare dei toni altisonanti e assertivi tipici degli imbonitori e dei detentori delle verità assolute)
– controllare la fonte dei dati e delle notizie raccolte e fare ricerche su eventuali interessi o posizioni ideologiche dei siti su cui siamo rimbalzati (un sito del Ku Klux Klan potrebbe essere meno attendibile del sito istituzionale del MIT – Massachusetts Institute of Technology – su questioni di genetica)
– non fermarsi alle apparenze. Spesso ci si sofferma solo sul titolo-bomba, che si condivide immediatamente. Meglio però leggere tutto l’articolo. A volte ci si accorge che il testo non ha nulla a che fare con il titolo o che la notizia è chiaramente falsa perché non esistono prove a sostenerla.
Ma più di tutto, di questo tempi, occorre tenere sotto verifica la nostra propria pancia e chiederci le motivazioni che ci spingono a diffondere determinate notizie e, magari, dare un po’ ascolto a quella vocina interiore che sussurra che potremmo non avere ragione noi o che gli altri potrebbero non avere tutti i torti.
E poi fare almeno un po’ di fact checking (verifica dei fatti, dei contro-fatti e delle fonti) prima di condividere qualsiasi cosa, rischiando di contribuire a rendere virali informazioni false o falsate ad arte.

Non si tratta di autocensura.
Si tratta di autocontrollo.
Si tratta di diventare cittadini digitali consapevoli.
L’unico modo per dare sostanza all’articolo 21 della nostra Costituzione senza combinare altri guai e senza contribuire alla propagazione del virus della cattiva informazione.
