Dunque, non era ancora il momento di eleggere una Presidentessa residentessa della Quirinalessa…
(Se non altro con questa conferma del vecchio che avanza risparmieremo sulle foto istituzionali.)
Che poi a me, da napoletano quale sono e fui, questo “presidentessa” mi fa scattare per riflesso condizionato l’idea di un presidente con la fessa (nel senso italiano e dialettale di fessura, participio passato del verbo fendere e sostantivo indicante un’apertura stretta e lunga in muri, rocce e corpi femminili).

Al limite, al prossimo giro, se sarà il caso, mi piacerebbe che si eleggesse una “presidenta” più che una “presidentessa”, come tendono a dire i cugini spagnoli (non ci posso fare niente, “presidentessa” mi suona volgare e persino deridente e denigratorio, come “sindachessa” e “giudicessa“, che era il modo in cui veniva chiamata una mia lontana parente per la sua tendenza a impicciarsi dei fatti altrui e ad esprimere giudizi non richiesti).
Aggiungo che l’origine del termine “presidente” dal participio presente del verbo latino praesideo, mi farebbe preferire su tutte la forma invariabile (la terza via): insomma, presidente è colei o colui che presiede come residente è colui o colei che risiede e consenziente è chi consente ed acconsente.
O no?
Parimenti, credo che saremo davvero un Paese a parità raggiunta quando la smetteremo di sentire l’esigenza di eleggere e nominare nei posti di rilievo una donna in quanto donna; quando le scelte saranno veramente “invariabili” e non soggette né a veti né a quote; quando, insomma, saremo in grado di scegliere le persone in quanto persone adeguate al ruolo cui sono destinate, a prescindere da quello che è il loro genere di appartenenza; e magari a prescindere anche dalla loro ascendenza, dal censo e dall’orientamento sessuale che manifestano o nascondono.
Ma mi rendo conto che è ancora troppo presto, anche se molto tardi.