Concorso scolastico a quiz
Due anni dopo il bando previsto dal Decreto Dipartimentale n.499 del 21 aprile 2020, si sta tendendo in questi giorni il concorso ordinario per diventare insegnanti di scuole medie e superiori, il lavoro che svolgo con molte soddisfazioni e qualche frustrazione da più di trent’anni.
Leggo di tanti candidati (oltre 400 mila) per i circa 26 mila posti disponibili.
Leggo di un’altissima media di respinti alla prima prova: si parla di percentuali che oscillano tra l’80% e il 90% di non idonei al test preselettivo, sostenuto al computer con domande a risposte multiple basate su argomenti inerenti alla classe di concorso, alla lingua inglese ed alle nuove tecnologie. La modalità, insomma, è sul modello dei quiz per la patente.
Ed è proprio questa modalità di selezione ad essere ora sottoposta al vaglio della critica.
Ma io credo che non ci si possa soffermare solo su questo versante della questione. Credo che questo quizzone sia solo lo specchio di una crisi più generale, la punta dell’iceberg di un sistema che si sta dissolvendo.
Credo che siamo arrivati a un corto circuito di un maledetto circolo vizioso in cui giriamo da decenni. Il classico cane che si morde la coda.
Perché, alla fine dei conti, ogni Paese ha la scuola che merita.
(Le scuole dovrebbero formare il Paese. Ma non possono essere il problema e la soluzione.)
Va be’, ci sto girando intorno.
Torno all’attualità.
Questi quiz hanno le loro criticità, ma pure loro non sono buoni o cattivi in sé. Se si usano in funzione preselettiva, come prima scrematura per verificare il possesso delle coordinate e delle competenze minime per svolgere una determinata mansione, beh, ben vengano. Ma io ho sentito parlare di domande assolutamente nozionistiche e fondate sulla ricerca del pelo nell’uovo. E leggo anche (senza aver verificato in prima persona, in verità) di opzioni di risposte multiple pressoché sovrapponibili (tipo aggettivi del tutto simili usati in opzioni di risposta diverse oppure date con pochi giorni, pochi mesi o pochi anni di differenza che possono essere scelte solo in virtù di una memoria prodigiosa o a caso o a culo). Ho letto perfino di domande formulate con dati errati o scritte in un italiano incerto e traballante.
Ovviamente tutto questo non va per niente bene e di certo non aiuta a selezionare la migliore classe docente a disposizione di questo scalcagnato Paese. Peraltro, conosco personalmente candidati preparati e divorati dal fuoco della passione formativa che sono stati fatti fuori per una manciata di punti (ma in fondo questa era anche una lotteria).

Poi ci sono molte altre cose che non vanno bene in questa storia, ma, insisto, sono tutte cose assolutamente inserite in un sistema Paese che presenta sempre di più le sue gravi lacune e contraddizioni. Non si tratta di una semplice e spiacevole eccezione, purtroppo.
Tanto per farvi indignare ancora un po’, elenco qualcuno di questi punti problematici che vengono messi in evidenza da questa bocciatura di massa:
– Università pubbliche che sfornano vagonate di laureati (molti dei qualche con voti di fascia alta o anche coronati con lode) che poi, in concorsi pubblici, rivelano che in larga maggioranza non sono in grado di superare un quiz preselettivo.
– Insegnanti precari che non riescono a “confermare” il proprio ruolo di insegnati, ma che il sistema continuerà a utilizzare tra i banchi di scuola.
– Candidati all’insegnamento che sono diventati docenti a tempo determinato acquistando crediti con ridicoli e scandalosi corsi a pagamento.
– Candidati che svolgono anni di precariato in squallidi diplomifici al solo scopo di acquistare punti e punteggi (magari dopo essersi pure diplomati e laureati in una di queste fabbriche di titoli di ogni livello o in università estere che sono costate alle famiglie fior di quattrini, e magari hanno pure vissuto l’esperienza fuori porta come una specie di vacanza premio).
– Disparità di risultati tra i candidati del Nord e quelli del Sud (non l’ho ancora verificata sui numeri, ma la ritengo probabile, in base a una disparità di formazione che comincia già dai giardini di infanzia e dalle scuole elementari, quasi tutte a tempo prolungato al Nord, quasi tutte solo mattutine al Sud).
– Scarsa attenzione, già in questa fase preselettiva, per le competenze (ed anche per le conoscenze) relative alle metodologie didattiche che chi insegna dovrebbe utilizzare per permettere ad ogni studente di raggiungere il massimo successo formativo.
– Futuri insegnanti che non sono in grado di accendere un computer che si preparano a lavorare in una scuola e in una realtà sempre più digitalizzata.
– La scarsa considerazione sociale per questo mestiere che porta molti a sceglierlo solo per avere un posto sicuro, per godere di un cospicuo numero di giorni di vacanza e per assicurarsi una pensione di anzianità. (Salvo rendersi conto, dopo aver conquistato il posto in cattedra, che la vita di un insegnante può essere meno comoda di quanto sembrasse dal di fuori).

Mi fermo qua, l’elenco sarebbe più lungo di così. Ma, ribadisco, si tratterebbe solo di uno specchio (magari un po’ deformato) di una società complessivamente in crisi.
La scuola dovrebbe servire da volano per cambiarla e migliorarla questa società.
Ma bisognerebbe fare un serio sforzo per uscire dal circolo vizioso.
Bisognerebbe investire più risorse (umane e materiali) e metterci tutta la volontà politica per agire il cambiamento.
“Investiremo per prima cosa in educazione, per seconda cosa in educazione e per terza cosa in educazione. Un popolo istruito è in grado di scegliere nel migliore dei modi, nella vita, ed è molto difficile che lo ingannino i corrotti e i bugiardi.”
Questo lo ha detto José ‘Pepe’ Mujica, ex Presidente dell’Uruguay, dal quale ci sarebbe molto da imparare. In Italia, invece, la tendenza di ogni governo – di destra, di centrodestra, di sinistra, di centrosinistra, di sedicente aldilà del bene e del male e oltre la destra e la sinistra… – è sempre la stessa: tagliare fondi alla scuola. Un’ignobile costante.
Sarebbe il caso che facessimo un’indagine nazionale, un esame di coscienza collettivo per chiederci cosa vogliamo dalla scuola e capire dove stiamo sbagliando.
Dai ministri ai dirigenti, a tutto al personale della scuola e agli stessi genitori.
Stiamo dando poca centralità alla formazione delle nuove generazioni. Stiamo svalutando la scuola anche agli occhi dei nostri figli.
Invece di svecchiarla (perché anche di questo ci sarebbe bisogno) la stiamo affossando.
Io, da parte mia, certe cose le dico da tanto tempo (avevo 22-23 anni quando ho cominciato a lavorare nella scuola come animatore teatrale), sto invecchiando a forza di ripeterle; ma lo so bene che le mie parole hanno la stessa forza di persuasione dei miei richiami alla giustizia ed alla pace nel mondo.
