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Vida, milagros y culto de San Pascual Baylón
Oggi, 17 maggio, la chiesa, la tradizione e il culto cattolico celebrano San Pasquale Baylon, il frate francescano nato e morto in Spagna nel giorno della Pentecoste (1540-1592).
Era di origini umilissime, Pascual Baylón Yubero; un piccolo pastore di pecore, diventato, in piena controriforma, pastore di anime e strenuo difensore del principio della presenza reale del Cristo nel sacramento eucaristico, che si voleva incarnato in ogni consacrazione attraverso le parole pronunciate dal sacerdote durante la messa. La fede incrollabile nella parola (“in principio era il verbo”) che Pascual aveva il bel coraggio di andare a sostenere fin dentro le case dei calvinisti francesi.
Oggi, però, San Pasquale, più che come patrono dei pastori e difensore dell’eucarestia, viene ricordato come protettore delle donne in attesa di un figlio o di un marito che non arriva.
Ma da dove viene questa novella specializzazione verso il mondo femminile?
È possibile che questo ruolo di santo sostenitore di donne insoddisfatte si sia sedimentato nella prima metà del ‘700, circa cento anni dopo la sua canonizzazione, proprio qui a Napoli e dintorni; da dove io scrivo ora.
Pare che Don Carlo III di Borbone e sua moglie Doña Maria Amalia di Sassonia, visto che non riuscivano a dare un erede al Regno delle Due Sicilie, si rivolsero a un tale frate Serafín de la Concepción, e pare che questi consegnò ai monarchi una reliquia del santo spagnolo-aragonese. Passarono solo cinque giorni e già la regina sentì tre piccoli colpi nel ventre: poco meno di nove mesi dopo sarebbe nato il sospirato erede, il primo di 13 borboncini.
Tuttavia, come osserva il mio amico Pasquale Vergara, è molto più probabile che questo Pasquale Bailonne protettore delle donne sia scaturito dalla facilità della rima in –onne, più che dai problemi di proliferazione dei re Borboni.
Infatti, nel sud Italia c’è tutto un affastellarsi di invocazioni e formulette magico-miracolistiche al santo in cui risuonano rime di questo tono e suono:
San Pasquale Bailonne,
protettore delle donne,
trovatemi un marito
bianco, rosso e colorito.
Come voi, tale e quale,
o glorioso San Pasquale.

Non so quanti di voi ricordano che nel 1976 Luigi Filippo D’Amico diresse una commedia all’italiana intitolata: “San Pasquale Baylonne protettore delle donne”. Il film raccontava le peripezie di un tale Giuseppe Cicerchia, interpretato da Lando Buzzanca, che si proponeva come intermediario boccaccesco tra le donne e il santo.
Ebbene, in una scena della commedia una processione di donne canta proprio una di queste celebri invocazioni (opportunamente reinventata):
San Pasquale Baylonne,
protettore delle donne
sei il più bello de li santi,
ogni femmina accontenti.
San Pasquale Baylonne,
protettore delle donne
esaudisci le tante preghiere
di chi figli ancora non può avere.
San Pasquale Baylonne,
protettore delle donne,
facce diventà più belle
alle povere zitelle.

In America Latina, invece, la figura di San Pascual Baylón è associata soprattutto all’arte culinaria.
Fin dai tempi delle prime colonizzazioni pare che le cuoche latinoamericane si rivolgessero a lui come “santo protector de los fogones y de los accidentes en las cocinas” (santo protettore dei fornelli e degli incidenti in cucina) e lo invocassero in formule di questo tipo:
San Pascual Baylón,
báilame en este fogón.
Tú me das la sazón,
y yo te dedicó un danzón.
che traduco piuttosto liberamente:
San Pasquale Baylón,
volteggiami tra i fornelli.
Tu ci metti i mattarelli
e io ti dedico un danzón.
(Nell’originale sazón sta per condimento; mentre il danzón è un ballo di origine cubana. In ogni modo, anche qua è probabile che tante invocazioni siano scaturite da questioni di rima; come ho detto anche prima.)
Per estensione, in molti Paesi di lingua spagnola, ogni volta che si desidera qualcosa ci si può rivolgere al buon Pasquale in questi termini:
San Pascual Bailón, San Pascual Bailón,
… [Qui si dice quello che si desidera dal santo
tipo: acaba con esa destrucción
ovvero: falla finita con questa distruzione].
Si me lo concedes, te bailo un danzón
o te canto una canción”.
Naturalmente, se il desiderio si compie, è d’uopo danzare e cantare così come promesso nell’invocazione.
(Io direi di provarci.)
In Messico c’è chi assicura che rivolgendosi al nostro santo mentre si cucina (“San Pascual Bailón, ilumina mi sazón”), il piatto comincia ad assumere un aspetto appetitoso e arriva a piena cottura in tempi miracolosamente brevi.
Similmente, in Colombia, si celebra una festa danzante in suo onore nella cittadina di Monguí caratterizzata dalla formula rituale:
San Pascualito, San Pascualito,
tú pones tu granito
y yo pongo otro tantito.
D’altra parte, anche in Italia, molti ricordano San Pasquale come il protettore dei cuochi e dei pasticceri e perfino c’è chi lo considera l’inventore dello zabaione.
Una tradizione piemontese vuole che Pascual inventò questo dolce nella chiesa di San Tommaso a Torino, e, proprio per questo, i torinesi avrebbero denominato questa santa crema prima San Baylon e poi Sanbajon, fino ad arrivare all’odierno zabaione.
Un’altra versione racconta che il Nostro portò la ricetta dell’uovo sbattuto con zucchero e vino passito dalla Spagna a Napoli e consigliò alle donne di prepararla per i loro mariti al fine di rinvigorirli e predisporli alle gioie dell’amore (soprattutto quando li trovavano un po’ pigri e inappetenti).
Sia come sia, pastore, predicatore, protettore delle donne, inventore dello zabaione, cuoco e pasticciere, a me piace ricordare di San Pasquale soprattutto questa frase tramandata di monastero in monastero e arrivata a me attraverso le maglie inesauribili della rete Internet:
“Nunca hay que negar el pan a nadie. Cuando hay generosidad y ganas de compartir, siempre se produce el milagro.”
“Non bisogna mai negare il pane a nessuno. Quando c’è generosità e voglia di condividere, sempre si ravviva il miracolo.”
E chesto e’.
Con tanti auguri ai Pasquali, alle Pasqualine e pure a quelli che si fanno chiamare Paco o Paquito non sapendo che in Spagna questo è un diminutivo di Francisco, di cui ho già detto altrove e non mi voglio dilungare (si fa per dire).