Scivolo pericolosamente verso la consapevolezza dell’inutilità di tutte le cose. Metto in fila pensieri in forma di parole per cercare un senso o una direzione. Ma resto intrappolato in una serie di frasi che non producono coscienza o sensazione.
Provo a smettere di pensare. Per interrompere il flusso, mi ripeto il mantra dell’insensatezza.
Guardava la sua candida cipolla bianca come se fosse il teschio di Amleto e, lentamente, la sfogliava come fanno gli innamorati con le margherite. Uno per uno sbucciava i teneri petali, scrutando ogni filamento e ogni piega di quel bulbo perlaceo. Attraverso un’analisi attenta, voleva raggiungere il significato ultimo di quella nitida chiarezza, penetrare nella profondità del pezzo di lucida realtà che teneva tra le mani, cogliere l’essenza stessa della cipollinità. Strato per strato si sentiva più vicino alla conclusione, e piangeva, piangeva, piangeva forte fino a trovare un vuoto completo nella sua mano, una cicatrice senza perimetro né fondo. Se l’avesse mangiata, invece di analizzarla, avrebbe avuto l’alito schifoso e la pancia piena di gas puzzolente.
Forse anche mio padre, se quel giorno fosse stato più puzzolente, non avrebbe ingravidato mia madre; e io ora non starei qui, con una cipolla in mano, a girarla, a guardarla e rimirarla come se fosse il teschio di Amleto.
Intanto, mentre la guardo, vedo gli strati del mio corpo che si staccano uno a uno in cerca di senso: dalla bocca al culo siamo fatti di vuoto, solo aria che gravita dentro gli orifizi e intorno agli ombelichi.
Poi sono là che continuo a piangere e a singhiozzare come un bambino appena nato; fino a che non mi rassereno e decido di tornare all’innocenza della mia cipolla bianca.
Passo dopo passo, comincio a togliere il manto, a sbucciare i teneri petali che la avvolgono e le danno consistenza, a irritarmi di nuovo gli occhi e la mente in cerca di senso. Scruto ogni filamento e ogni piegatura, mentre una lacrima, una lacrima senza dolore, scivola lungo la cicatrice vuota del mio ventre.
…
Siamo fatti di un tutto avvolto intorno al niente. Siamo il pensiero di un dio che non c’è. Siamo le parole che si disperdono nel vento. Siamo il vento che dissipa le parole. Siamo il silenzio che dà vita al rumore.
Siamo un tutto fatto di niente.
Il 15 luglio del 2002, giusto 20 anni fa, mandai un brevissimo racconto in lingua spagnola intitolato La Cebolla al CONCURSO DE ANIVERSARIO (XXXV) DEL TALLER DE MINIFICCIONES di Ficticia, città virtuale di racconti e storie. Lo pubblicai con lo pseudonimo di Abenamar (uno dei tanti che usavo a quei tempi insieme ad Astor, Ágata, Charlot, El Iscariote, ravager, Giles Ravager, Viejo Payaso, VP…). Stamattina ho deciso di tradurlo e riadattarlo in italiano dopo una conversazione con Ma.Da. in cui lei sosteneva di vedermi come una cipolla che sotto ogni strato nasconde (e rivela) un altro strato. Io la ascoltavo e ripensavo che alla fine di tutto c’è sempre il vuoto, crogiolandomi nella mia sostanziale inconsistenza.
Forse tutti siamo tutto, un tutto avvolto intorno al niente di niente.
Auguri e consigli non richiesti per le vacanze estive
#/:o)X
Leggete, viaggiate e moltiplicatevi.
“El fascismo se cura leyendo y el racismo se cura viajando.” (Miguel de Unamuno)
Auguro ai miei compatrioti un’estate e una vita piena di buone letture, bei viaggi e recuperi di buon senso. Ed estendo il mio augurio anche a quelli di altri lidi, siti, sponde e bandiere.
Viaggiate, leggete e moltiplicatevi. Con gente di ogni razza e colore. E fatelo senza dolore (se non è il dolore quello che vi diverte).
E poi, sentite Coltrane. Mettete voi stessi in tutto quello che fate. Non siate superficiali. C’è del divertimento nell’essere seri.
no no stavo bene stavo bene stavo tanto bene che scoppiai di salute in un giorno di primavera al tavolino di un bar di un centro commerciale dopo aver preso l’ultimo caffè della serata
il bus delle 22 e 30 invece lo persi per sempre
Il Nazareno – Tre Studi.
Il primo, quello a matite e pastelli, è dell’86. Gli altri due sono digitalizzazioni attuali.
Credo che non abbiano molta attinenza con il testo che è un’appendice a Lo scrittore è un medium – Sette voci dalla collina pubblicato, su questi stessi schermi, lo scorso 15 luglio. Ma in qualche modo mi pareva che questi volti un po’ santi e un po’ santoni ci stavano bene in questo post(o).
il fatto è che credete ancora ai maghi agli elfi alle fate ed ai draghi
ma presto tutti zitti e tutti buoni a prendere carote tra i meloni
al suono delle trombe e dei tromboni dei nunzi delle prossime elezioni
….
Illustrazione tratta da una mia vecchia agenda scolastica (anni ’80). Il testo dice: “Volare oh ho. …Ma arò? Arò vaje si ‘i strade so’ ‘ngulfate e chiene ‘e fuosse?Aro?
…
signore e signori ecco a voi le nuove e rinnovate coalizioni che spolperanno gli ultimi bocconi e lasceranno le ossa agli avvoltoi
signore e signori ecco a voi i nostri nuovi super supereroi attaccherete i carri ai loro buoi e verrà di nuovo gas nei serbatoi
non ci sarà guerra né povertà canteremo balleremo e trallallà in pace giustizia e sanità e chi vorrà vederlo lo vedrà
(per gli altri le solite frustrazioni sotto forma di post e di canzoni che espongono tra fruste e frastuoni l’inconsistenza dei poteri buoni)
Sai quando sei in ascensore, in un edificio di ventisette piani, con uno sconosciuto che ha preso l’ascensore con te, devi arrivare al quindicesimo piano che ti debbono diagnosticare un male incurabile, lo sconosciuto ti fissa, ha anche lui delle carte in mano, non sapete cosa dire, e poi vi trovate a parlare del tempo che fa e qui fa un caldo che non si respira, signora mia? Ecco, io oggi vi parlo del clima.
Con la capoccia protetta dal sole, grazie ai benefici effetti dell’ombra del Vesuvio che incombe sulle nostre vite, mi chiedo spesso che relazione intercorra tra l’ambiente e il clima (da una parte) e i comportamenti, la storia e la cultura dei popoli che in quel clima e in quell’ambiente sono immersi (dall’altra).
Pare che i tedeschi siano inclini a concepire e distruggere grandi sistemi filosofici, perché il chiuso e la solitudine delle fredde case del Nord spinge alle profondità della riflessione. Soprattutto se, mentre pensi, fissi, in assoluta solitudine, il fuoco crepitante di un camino.
È risaputo che tutti le grandi civiltà del passato remoto sono nate nei pressi dei fiumi e dei mari. Egizi, sumeri, assiro-babilonesi (ma pure le grandi civiltà indiane e cinesi del lontano Oriente) bevevano, annaffiavano, ricavavano argilla, trasportavano merci, si sciacquavano le palle e riflettevano sul fluire della vita grazie alle acque di un fiume.
[un mio disegnino del 1984]
Il mare, poi, separa e fa incontrare i popoli, mischia le carte in tavola e porta sempre qualcosa di nuovo.
Penso alla Grecia, crocevia tra l’Oriente e l’Occidente; penso al Mediterraneo nostrum; penso all’Inghilterra e all’Olanda dei pirati, degli schiavisti e dei coloni; penso alla Spagna sospesa entre dos aguas; penso al Portogallo posizionato alle spalle dell’Europa e di fronte a un infinito liquido e fragoroso… E penso alla mia Napoli, aperta ad ogni invasione, scambio, compenetrazione e contaminazione.
… Biate a cchi s’a piglia, Michelemma’ Michelemma’.
Si dice che i napoletani non abbiano voglia di fare niente perché il sole sfiacca, il mare distrae e la lava del Vesuvio vanifica ogni progettualità. Siamo lucertole immobili sotto i raggi cocenti. O cicale che cantano al sole.
E ‘o sole, ‘o sole e ‘o Sole mio sta ‘nfronte a tte.
Qui ci squagliamo e ci annulliamo da migliaia di anni in un nichilismo esistenziale che non ha bisogno di impianti teorici o giustificazioni. E se il sole non bastasse, ci dissolviamo nel magma lavico del vulcano.
[un altro disegnino dell’84]
È opinione diffusa che pure gli africani di ogni latitudine non sappiano fare niente perché hanno il cervello bruciato dal sole e trovano dappertutto cocchi “ammunnati e bbuoni“.
Ho letto che molti islandesi sarebbero tendenti alla depressione a causa dei loro lunghi inverni di buio. Pare, poi, che gli scandinavi, assaliti da un freddo raggelante, abbiano dovuto inventarsi che non esiste il mal tempo, esiste il mal vestire. Il che aiuta a essere ben organizzati, efficienti e operosi come un industriale del lombardo-veneto o uno schiavista del Nord America.
Gli argentini, infine, se guardi il mappamondo, vivono con i piedi piantati per terra e la testa penzolante. Stanno al revés, “a sott’e ‘ncoppa“… Per questo non riescono mai a raggiungere uno sviluppo da primo mondo: stando sottosopra, le idee gli cadono giù dalla testa.
Questa l’ho citata alla buona dalla Mafalda di Quino, da cui rubo da sempre un sacco di buone idee. E con questa Passo e Chiudo e torno a riposare al caldo di un sole indecente. Che voglia ‘e fa niente!
Da ascoltare a voce bassa, bassissima, quasi inesistente.
Era da tanto che non prendevo in mano una chitarra. E si sente! Un paio di giorni fa l’ho fatto e mi è venuta fuori una melodia un po’ malinconica e un po’ sghemba. Una cosa semplice. Ci ho improvvisato subito sopra un testo e, per non dimenticarmene, ho registrato la mia “esecuzione” del povero brano col telefonino. Eccola qui. (Solo per stomaci forti.)
Rivedo solo te, immantinente
Non contento, ho provato a cantare su quella stessa melodia un mio sonetto scespiriano, con qualche leggero adattamento per rispettare il ritmo e la metrica della musichetta. È tutto qua, se c’è la fate a sentire ancora.
Persone felici (desiderio in forma di canzone)
Aggiungo il testo e gli accordi, nel caso qualcuno volesse provare a farne una versione meno indecente. Io, comunque, quello che vorrei, è vedere persone felici, ma finisco inevitabilmente per ammorbarvi per qualche lunghissimo minuto. Mannaggia!
G———————C———-Em—–Em vorrei vedere persone felici ——G——————C————-Em—–Em che vanno avanti a piedi o in bici Em———– F————————–Em tra le campagne oppure in città Em————-F—————–Em senza pensare alla felicità
Em—————–F——————Em ma solamente esser vivi vivendo Em————–F———————–Em come fa il mare o come fa il vento Em———-F———————-Em che spiri forte o che spiri lento Em———-F———————–Em——-Em spira spirando ed esiste esistendo
Em—————Am6 perché se la pensi Gm6———————Em la contentezza si spezza Em—————Am6 perché se la senti Gm6——————–Em come un filo si spezza
Em—-F e tu resti —————————Em con i due capi in mano Em———F solo disperso ————————-Em e da te stesso lontano
Em—————-F come il mio piede ——————Em dal tuo deretano Em———–F e katmandù —————————Em da casoria o da arzano Em———–F e katmandù ————————–Em da crispano o caivano Em———–F come stai tu ————————Em da me stesso lontano lontano lontano
Em——Am6———Gm6—-Em e solamente esser vivi vivendo Em———–Am6——–Gm6Em come fa il mare fa o come fa il vento Em———-F———————-Em che spiri forte o che spiri lento Em———-F————————-Em spira spirando ed esiste esistendo Em———-F——Em-Am7-Em spira spirando e resiste… e resiste…. e resiste
….
N.B. Pubblico questi due video, anche se Stefania, giustamente, mi ha detto e ripetuto che sono incredibilmente “cringe”. Magari provate a toglierlo proprio l’audio e seguite solo i testi. Suppongo che sia quella la parte migliore di entrambi i brani. Il resto viene dalla noia ed alla noia ritorna.
Carmine, Carmelo, Carmela, Carmen, Melania e derivati. Questo nome è il più diffuso della mia famiglia da nonni a nipoti. E lo portano anche tanti miei amici e conoscenti. Un nome sacro e profano che ricorda un monte, la poesia, il carme, la madonna e la più avvenente delle gitane andaluse.
Il rebus (ormai “sgamatissimo”) è mio, l’illustrazione una litografia di Marc Chagall del 1966 per una rappresentazione del capolavoro di Bizet che ci ha insegnato che l’amour est un oiseau rebelle.
Ma ascoltiamola l’habanera della Carmen, in una versione della divina Maria Callas.
Senza ombra di dubbio, si tratta di una delle più celebri arie del repertorio lirico. Bizet la compose ispirandosi ampiamente a “El Arreglito“, un brano del compositore basco Sebastián de Yradier (1809-1865), noto anche come autore de “La Paloma“, un’altra habanera spagnola di influenza cubana.
(Pare che all’inizio Bizet pensasse che si trattasse di un motivo di tradizione popolare, ma poi, quando si rese conto di aver saccheggiato una habanera d’autore, riconobbe i diritti di Yradier. Nel senso che aggiunse il nome del musicista spagnolo sui margini superiori dello spartito; non credo che nel XIX secolo si mettesse mano alla tasca, in casi simili.)
Ma, oltre alla musica – trascinante -, l’habanera consiste anche di un testo di grande e romantica modernità che Bizet scrisse in collaborazione con i librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Ne riporto qui una mia traduzione (piuttosto libera) che prova a restituire la forza dirompente dei versi originali. Leggetela e lasciatevi scuotere.
L’amore è un passero ribelle e nessuno lo potrà mai domare Inutile continuare a invocarlo Quando decide di andarsene non c’è minaccia o preghiera che lo smuova Uno parla parla l’altro tace ed è l’altro che io preferisco Non ha detto niente ma mi piace L’amore L’amore L’amore L’amore
L’amore è uno tzigano ignaro di ogni legge Se tu non mi ami io ti amo se io ti amo stai attento a te Sta attento a te se mi ami
L’uccello che credevi di rinchiudere batte le sue ali e vola via L’amore è lontano e tu sei là che aspetti Non l’aspetti più e lui è là Tutto intorno a te veloce veloce viene se ne va e poi ritorna Se credi di tenerlo lui ti evita Se credi di evitarlo lui ti tiene L’amore L’amore L’amore L’amore
L’amore è uno tzigano ignaro di ogni legge Se tu non mi ami io ti amo se io ti amo stai attento a te Sta attento a te se mi ami
E con questo iperromantico teorema amoroso, vi lascio, rinnovando i miei auguri a tutte e a tutti i portatori di questo nome carmico.
C’è vita prima della morte? C’è vino dopo la morte? C’è vita dietro quelle porte?
Sento voci distorte che arrivano chiare dalla collina.
Prima voce Il giorno che mi ammazzai i treni subirono qualche minuto di ritardo. Il tempo di spazzare il mio corpo dai binari.
Seconda voce Sono morto nel sonno. Tranquillo. Eravamo in cinque. Gli altri che erano in macchina con me gridavano come degli ossessi.
Terza voce Bussarono. Bussarono. Ma io non potevo aprire. Quando decisero di buttare giù la porta, ero già saltato giù dalla finestra.
Quarta voce “Per evitare sorprese, devi sempre aspettarti tutto da tutti “, disse mio padre prima di trafiggermi il cuore con la forchetta ancora unta dell’olio di un’insalata condita male.
Quinta voce All’ultima riga mi gettai giù dalla torre. Pensavo che lui fosse sul punto di abbandonarmi. I miei pollici coprivano un NON e un MAI che racchiudevano quel maledetto TI LASCERÒ come un’insulsa parentesi.
Sesta voce Quando mi disse che l’importante è essere belli dentro, non avrei mai potuto pensare che mi avrebbe squartata viva.
Settima voce Con una lunga falce tra le mani, mi si avvicinò e mi chiese: – Se potessi scegliere una sola cosa, che vorresti prima di morire? Gli dissi – Un minuto ancora. In loop… Fece finta di non aver capito.
A tutto c’è rimedio, mi dicono. A tutto ci son rime, dico io! Al rotto c’è rammendo, aggiungono. A lutto anche il regime, dio mio!
[Un putto mostra il medio ed il fio distrutto dal tedio, eziandio, distante dagli uomini e da dio.
Ma a tutto c’è rimedio, ripetono.] A tutto, a tutto, riecheggia lo zio che è il fratello di tutti i vizi ed il padre di tanti sfizi da percorrere e ribaltare senza contare le sillabe o fare eco alle parole sì come il cuore desidera et tradizione vuole.
Ma il traduttore si perderà tra i suoni che non suonano e la rima che non rima sì come rimava prima, nella versione originale.
Se i versi vi suonano troppo ostici, soffermatevi sul disegnino. Oppure abbandonatevi al suono. Come se fosse una canzone di Panella e Battisti da ascoltare senza musica.
Io, dal canto mio, volevo parlare di rime, rimedi e problemi di traduzione.