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((( aitanblog )))

~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

((( aitanblog )))

Archivi della categoria: da lontano

Cambiamento

01 domenica Gen 2023

Posted by aitanblog in da lontano, immagini, riflessioni

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Anno Nuovo, cambiamento, eraclito, ricorsività

anno nuovo, vite vecchie

Sono anni che vado ripetendo in giro ad ogni fine e ad ogni principio che il nuovo anno sarà veramente nuovo se sapremo rinnovarci, se sapremo rinnovarlo; che bisogna cambiare il sistema, non il calendario; che le cose non possono andare meglio se ripercorriamo sempre gli stessi passi.
Il tempo è un flusso continuo che noi cadenziamo sugli orologi, sulle agende e sui calendari. Le cose non cambiano al ritmo della nostra scansione del flusso temporale.
Dobbiamo essere nuovi noi, non l’anno.

Perché, in fondo, ognuno di noi è ciò che fa per cambiarsi, per diventare altro. Non esiste e non può esistere un sé statico, immobile e immutabile. Siamo la pioggia che scorre sulla nostra pelle e il modo in cui ce la lasciamo cadere addosso o ci proteggiamo dalle gocce. Siamo la voglia che ci spinge a distruggerci e costruirci. Siamo il vento che leviga le nostre rughe e le creme che mettiamo o non mettiamo sul viso per cercare di arrestare i segni del tempo e le aggressioni degli specchi. Somos las gotas del río de Heráclito. Siamo la capacità di adattarci all’ambiente ed alle circostanze che ci girano intorno; ma anche la tensione ad adattare a noi circostanze e ambienti. Dovremmo capirlo, una buona volta, che non è possibile trasformare il mondo senza trasformare noi stessi, senza cambiare almeno una scheggia della nostra propria realtà; dovremmo capirlo, finalmente, che ogni nostro minuscolo cambiamento si riverbera nella stanza, nei vicoli della città, per le strade del paese e su tutta la terra!
Siamo l’attimo in cui viviamo e quello che vivremo l’attimo dopo.

Somos lo que hacemos para cambiar lo que somos. (Eduardo Galeano)

Siamo quello che facciamo per cambiare quello che siamo.

Siamo il nostro cambiamento.

Siamo niente e siamo evento.


Cfr.

Siamo le gocce del fiume di Eraclito

1 ottobre 2007




E questo è un ignobile video-spot di un lustro fa che ripete più o meno le stesse cose che vado dicendo da anni e ho ripetuto qua.



Mi ripeto, dico sempre le stesse cose e ripeto le mie ripetizioni, predicando il cambiamento che non c’è.

E intanto, ad ogni anno nuovo, la mia vita si fa più vecchia e mi resta meno tempo.
Questo è sicuro.

SOLO

14 lunedì Nov 2022

Posted by aitanblog in da lontano, immagini, versiculos

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libertà, solitudine

Da una mia pagina analogica degli anni ’80 dello scorso millennio



SOLO, FINALMENTE SOLO, ASSOLUTAMENTE SOLO,
SENZA PIÙ NIENTE NÉ NESSUNO.

POI UN FILO DI LUCE
CON I VINCOLI DELL’ OMBRA.

LA LIBERTÀ ASSOLUTA
È UN’IDEA CHE PRESTO SCORRE VIA.

Quasi vent’anni

25 domenica Set 2022

Posted by aitanblog in da lontano, recensioni

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anniversario, autoreferenziale, blog


Oggi il mio blog di periferia compie 19 anni di onorata carriera.

Questi i miei primi due post pubblicati il 25 settembre del 2003.



aitanblog.wordpress.com/2003/09/


Da allora sono trascorsi quasi 20 anni in cui ho intasato il mio pubblico diario con testi, disegni, qualche foto e, di tanto in tanto, pure con qualche ignobile composizione sonora che mi suonavo e cantavo da solo. (Il mio è sempre stato un blog autarchico, eclettico e poco allineato. Prima o poi mi metterò pure a ballare e a tiktokkare mostrando labbra a culo di gallina.)

Nel corso di queste 76 stagione c’è stato un cambio casa (nel 2011, quando traslocai baracca e burattini da Splinder a WordPress) e un periodo di semi-isolamento dovuto al trasferimento di molti vecchi amici prima su Facebook, poi su Instagram o su altre reti e trappole sociali.

Nel primo decennio del XXI secolo i lettori erano tanti e si fermavano a scambiare idee ed opinioni che spesso avevano più valore dei post stessi.
Oggi restano 4 o 5 fedeli e poche decine di avventori occasionali e silenziosi che dedicano un po’ di attenzione a queste pagine e danno senso alla sua esistenza. Ma i più ammazzano diversamente il loro tempo.

‘A Staggione – Un altro anno se ne va

29 lunedì Ago 2022

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estate, inferno, pietre, stagioni

Corsi e Ricorsi


In napoletano l’Estate si chiama ‘a Staggione.
Perché l’estate è la stagione per eccellenza.
Alla luce del suo sole, l’autunno, l’inverno e la primavera scompaiono.
E insieme a loro tra qualche giorno scompaio anch’io.
In attesa del prossimo sole.

La voce della traccia audio è di Nelson. Il frammento è il classico dei Righeira che ci ricorda da 37 anni che L’estate sta finendo. I disegni sono dello stesso periodo del brano (prima metà degli anni ’80) e, come il brano stesso, sono stati revisionati nel nuovo millennio.


Corsi, ricorsi, caddi e mi rialzai pronto a cadere un’altra volta e a sbucciarmi le ginocchia già sbucciate. Convinto che la prossima volta sarei caduto meglio e sarei inciampato in una pietra migliore.

L’uomo è unico animale che inciampa due volte nella stessa pietra, convinto che la prossima volta andrà meglio o che questa volta si trova davanti a una pietra migliore.

L’uomo è l’unico animale che quando scompare il sole è convinto che questa volta è più pronto ed attrezzato per affrontare il prossimo inferno con tutte quelle strade lastricate di buone intenzioni e pietre su cui inciampare e cadere sulle ginocchia già sbucciate.

Corsi. Corsi e ricorsi.
E continuo a correre ancora.
Ma ormai sono quasi senza fiato.

Transformer 1985-2022

25 giovedì Ago 2022

Posted by aitanblog in da lontano, immagini

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trasformazioni

Un disegno del 1985 ripreso, digitalizzato, trasformato e ritrasformato nel 2022.

Questa è la sua provvisoria versione definitiva.

Chiazz(a) Mantan(o) Jazz

18 giovedì Ago 2022

Posted by aitanblog in da lontano, idiomatica, immagini, musiche, recensioni, riflessioni, vita civile

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Frattamaggiore, jazz

Momenti di riconciliazione, abbattimento e ricostruzione



Ormai da qualche giorno sono rientrato a Fratta, nel quartiere di Chiazza Mantano, dove sono nato e vivo da più di mezzo secolo.
Dopo il bagno di mare e civiltà dei giorni trascorsi a Blanes, sono stato assalito da un senso di vuoto e di inappartenenza. Nostalgia per una città di mare ben organizzata, attenta alla difesa dei beni comuni, piena di verde e di spazi pubblici attrezzati; una città senza traffico, nonostante la marea di turisti riversati sul lungomare.
Qui, invece, tutto come lo avevo lasciato, e io sono tornato a sentirmi un po’ più straniero nella terra dove sono nato, come quando ero ragazzo e cominciavo a esplorare l’Europa in cerca d’altro e di un presunto me stesso che non era altro che quello che facevo per cambiare quello ero, in funzione di quello che mi sarebbe piaciuto diventare (per quanto, allora come ora, non sappia dire cosa).
Poi, mentre mi arrovellavo nei miei pensieri e nelle mie malinconie, come manna giunta dal cielo pigro di internet, mi sono imbattuto in questo video che sto ascoltando in loop come un antidepressivo che mi sta aiutando a uscire dall’astenia e dal torpore per ritrovare l’amore per la mia terra e per riappropriarmi dei miei sogni per cambiare Fratta e me stesso. Un modo, anche, per ritrovare l’amore per la mia terra e riappropriarmi dei miei sogni di rifondazione e cambiamento.

Link al video dei TProject



Il video si intitola Jazz Mantana, ed è uno splendido omaggio alla mia terra e al mio quartiere, Chiazza Mantano, che un tempo fu la periferia di Frattamaggiore sorta nei pressi di una palude di fango e acque stagnanti (un pantano, appunto) da cui, nel secolo scorso, è venuta fuori tanta musica contaminata col jazz e con gli altri suoni provenienti dai bassifondi angloamericani e, più tardi, anche con le sonorità provenienti dal resto del mondo.*



Il brano è stato composto, arrangiato e suonato dai TProject di Gino Frattasio (basso e programmazione) e Pasquale Marchese (batteria e percussioni), con il suggestivo e avvolgente intervento al sax tenore di Giovanni Sorvillo e con la produzione di Ciro Bianco (ingegnere del suono). Apprendo dalla rete che “Jazz Mantana” è la prima di undici tracce di un album di prossima uscita su cui i TProject stanno lavorando da quattro anni.
Le foto del video che raffigurano le strade di Via Roma, Via Croce San Sossio e Via Vittorio Veneto (il cuore di Chiazza Mantano) sono state in gran parte prestate dall’Istituto di Studi Atellani e selezionate da Marino Landolfo. Si alternano e si sovrappongono con le immagini di grandi jazzisti internazionali (tra gli altri, Lester Young, Charles Mingus, Elvin Jones, Sonny Rollins, Chet Baker, John Coltrane e Charlie Parker) e con le foto di alcuni musicisti locali (i fratelli Munari, che cominciarono la loro carriera suonando il jazz per gli americani delle basi NATO, Franco Del Prete, cofondatore degli Showman e dei Napoli Centrale, e Larry Nocella, il grande sassofonista di Battipaglia che a Chiazza Mantano era di casa). Di tanto in tanto le immagini si animano con qualche frammento video dei musicisti del TProject nell’atto di suonare e registrare il brano che stiamo ascoltando.
Se vede pure ‘a casa mia, comm’era e comm’è, e quella di Franco Del Prete! Siamo entrambi talmente chiazzamantanesi che Franco, da ragazzo, lavorava nel bar di mio nonno materno e per tutto il resto della sua vita ci incontravamo e salutavamo con affetto dappertutto, in salumeria, dal giornalaio, dal fruttivendolo, nel bar Mastrominico dove suonava fino a tarda notte con Larry Nocella, fuori casa sua e fuori casa mia. Ed io ricordavo che nel juke-box del bar del nonno risuonavano sempre le sue canzoni…



Da un punto di vista più strettamente musicale “Jazz Mantana” è un bel brano di jazz rock dall’andamento lento e suggestivo che ricorda il Miles Davis degli ultimi anni (soprattutto quello anni ‘80 degli album arrangiati e prodotti da Marcus Miller), ma ha anche una sua mediterraneità (riscontrabile fin dalle prime battute di uno strumento a corde che potrebbe essere un oud o una mandola) che ci riconducono alle produzioni di Chick Corea, John McLaughlin e Al Di Meola, ed anche dalle parti del Perigeo e dei Napoli Centrale, of course. In ogni modo, i riferimenti significano poco ed hanno il vizio della soggettività (per il tappeto sonoro elettronico, caldo e ipnotico avrei potuto parlare anche del jazz scandinavo di un Nils Petter Molvær o di quello inglese di John Surman, tano per moltiplicare gli esempi). Quello che conta è che il brano ha una sua personale forza evocativa e il suo incedere fluisce in modo liquido e insinuante nelle orecchie e nell’animo dell’ascoltatore, grazie anche al recitare ruvido di Pasquale e alle note graffianti del sax di Sorvillo. Potente e suadente la linea di basso che percorre i 5 o 6 minuti di musica.


Ascoltandolo mi sto un po’ riconciliando con la mia terra e sto facendo pace con questo invadente me stesso in perenne abbattimento e ricostruzione. Come il cemento del mio quartiere e della mia città.


Tre Note


* Ricordo, a piè di pagina, che prima dell’unità d’Italia e ancora fino al primo dopoguerra, Frattamaggiore era divisa in chiazze – quartieri storici – che presumibilmente si svilupparono a raggiera intorno al centro della città, denominato Chiazza d’Agno, dove “agno(lo)” vuol dire “angelo”. A Chiazza d’Agno (oggi più comunemente definita ‘Mmiezzo ‘e Fratta) c’era la chiesa di San Sossio, risalente agli ultimi anni dell’Alto Medievo, e più tardi anche la sede del Municipio.
Gli altri punti nevragici della città erano popolarmente conosciuti come Chiazza Pertuso (un “pertugio” alle spalle della chiesa); Abbascio all’Arco (oggi Piazza Riscatto); ‘Nmont’Accetta (zona residenziale più moderna sviluppata ai tempi del fascismo; come si evidenzia dall’accetta di questo suo toponimo che pare essere una rievocazione dell’ascia del fascio littorio effigiata su un muro di quella che è oggi Via Padre Mario Vergara); Sfasciacarrozza (oggi Voltacarrozza, zona lungo il lato destro della provinciale per Afragola, così chiamata perché la strada era così malridotta da rompere le ruote dei carri).
E ancora; ‘Nmonte San Giuanne (oggi Via Genoino), Abbascio a’ Cupa (tra via Matteotti, sede storica del Liceo Durante, e via Cumana); ‘Ngoppe ‘e filatore (Via Fiume); ‘Aret’a Iacciera (Via Carmelo Pezzullo, sede di una ghiacciera); ‘Ngoppe ‘a Muntagnella (zona rialzata di Chiazza Mantano, parallela a Via Vittorio Veneto); ‘Ngoppe ‘e Filangieri (tra Via Vergara e la provinciale Fratta-Afragola, sede storica della ragioneria); ‘Nmonte ‘Icienzo (Via Amendola); ‘Ngoppe ‘a Carantonia (Via Biancardi); ‘Nmonte ‘e Scieme (zona periferica in cui negli anni ‘30 il dottor Tropeano fece costruire Villa Laura per ospitare persone con problemi psichici e psichiatrici); Abbascio ‘a Palla (via XXXI Maggio); ‘A Torre ‘e Palumme (torretta, ormai cadente, priva di parte dei merli, situata nella zona di Chiazza Mantano più vicina alla piazza centrale di Chiazza d’Agno)… E di certo dimentico qualche altro toponimo caratteristico della mia città, “sola abbandonata / invisibile spiata / fiera disprezzata / feroce incontrollata / ma è la mia città”.**
“Ma che bella città – ah, ah, ah, ah.
Sento l’acqua alla gola – ah, ah, ah, ah.
Forse è un colpo di mano – oh, oh, oh, oh.
Forse è stata la scuola – ah, ah, ah, ah, ah.
Io venivo di là… Ah,
ma che bella città… Ah!”***

** Da “La mia città“, brano di Edoardo Bennato dall’album “Pronti a salpare” del 2015.

*** Da “Ma che bella città“, brano di Edoardo Bennato dall’album “I buoni e i cattivi” del 1974. Come passa il tempo! Come sono lente a cambiare le cose dalle nostre parti.


Contraddizioni in salsa catalana

12 venerdì Ago 2022

Posted by aitanblog in da lontano, riflessioni, vita civile

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blanes, Catalogna, indipendentismo, sovranismo, utilitarismo


La Casa del Popolo di Blanes

A Blanes, tra il Passeig de Cortils i Vielta e il Passeig de Dintre, c’è questo edificio modernista neoclassico (né bello né brutto, in verità) costruito negli anni ’20 del secolo scorso come centro culturale, sociale e ricreativo. Si chiama la Casa del Poble (la Casa del Popolo), ma durante il lungo periodo della dittatura franchista dovette cambiare nome e destinazione d’uso e fu chiamato Residencia de Trabajadores Luis Rodríguez Ballou.


Sulla facciata principale un richiamo ai valori repubblicani ed agli ideali democratici di igualtat, llibertat i fraternitat attraverso una scultura raffigurante la Marianne, tradizionale personificazione della Repubblica e della Rivoluzione Francese.

Tuttavia, più che sulla scultura, oggi lo sguardo cade su un enorme striscione che campeggia sul balcone e sulle insegne di un grande negozio che occupa tutta la facciata del piano terra.
Lo striscione indipendentista e repubblicano definisce Blanes come un municipio della Repubblica Catalana in un Paese da 600 anni monarchico (salvo un paio di brevi parentesi storiche nell’800 e nel ‘900).
Con tutta probabilità sono stati i militanti del partito Esquerra Republicana Catalana (dove esquerra vuol dire sinistra) a mettere lì quella scritta antimonarchica, visto che l’ERC ha la sua sede politica proprio nella Casa del Poble.
Insomma, si tratta di uno dei molteplici esempi, tipicamente catalani, di insubordinazione allo Stato centrale espresso sulla facciata di un palazzo istituzionale.

Ma il bello è che il negozio che sta sotto lo striscione è del marchio Springfield, catena di negozi di abbigliamento appartenente al gruppo Tendam. Ora è il caso di spiegare che il gruppo Tendam è stato fondato nell’odiata Madrid alla fine dell’800 col nome di Cortefiel e, attualmente, nel settore tessile, risulta inferiore in fatturato solo alla Mango – di origine catalana – ed al megagruppo Inditex (quello di Zara, Bershka, Stradivarius, Pull and Bear, Tempe, Oysho, e Massimo Dutti, nato a La Coruña, in Galizia, e diventato in pochi anni il principale produttore di abbigliamento del mondo). Insomma, quando parliamo di Springfield e di Tendam stiamo parlando di una piccola e antica multinazionale dell’abbigliamento spagnolo e sovranazionale nata nel bel mezzo della penisola iberica. Quanto di più madrileno e globalista si possa immaginare. Altro che Cataluña sovrana, autonoma e repubblicana!

Insomma, al piano di sopra l’indipendentismo e il sovranismo catalano, al piano di sotto il centralismo di Madrid e la forza globalizzatrice del capitale. L’importante è che paghino l’affitto!
La Catalogna è così.
Piena di contraddizioni.
Come me e come voi.

Da una parte, una civiltà post illuministica democratica, tollerante e solidale e, dall’altra, la ricerca spasmodica del benessere materiale e del profitto.
Costi quel che costi.

Flamenco hotelero blandense y catalán

09 martedì Ago 2022

Posted by aitanblog in da lontano, idiomatica, musiche, riflessioni, stefania, vita civile

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Barcellona, blanes, catalani, contraddizioni, flamenco, gentrificazione

La Catalogna tra democrazia, tolleranza, utilitarismo, indipentismo e sovranismo



Per la seconda volta in una decina di giorni, ieri, nell’hotel che ci ospita a Blanes, nel pieno della Catalogna indipendentista, uno spettacolo di danza flamenca.
Come se fossimo in Andalusia, nel profondo sud della penisola.

Il popolo catalano è un popolo tollerante, democratico e civile, ma è anche un popolo concreto, capace di sfruttare i propri talenti e quelli altrui per farne mercato; un popolo pronto a vendersi tutto il vendibile per aumentare il proprio benessere materiale; fino agli estremi della gentrificazione che hanno trasformato interi quartieri popolari di Barcellona in zone spersonalizzate, piene di migranti e turisti, con conseguente aumento del prezzo degli affitti, degli immobili e dei beni di prima necessità. Lucía Lijtmaer, nel romanzo che sto leggendo in questi giorni di mare e rilassamento, osserva che già una ventina di anni fa Barcellona si stava trasformando in una grande Lloret de Mar…

“In due anni qui si è riempito di guiris [turisti stranieri] come se fosse Lloret, dice qualcuno, ed è vero, il centro è como la Lloret della mia infanzia, lo stesso odore di cipolla fritta e waffle riscaldato, lo stesso mare di pelli bruciate, la stessa sensazione di nausea e stordimento per la quantità di gente e sole, combinati, gente e sole, gente in scatole di latta, sole in scatola, la latta che ti brucia la pelle quando cerchi di sederti sul cofano di una macchina vicino alla spiaggia e tua madre ti diceva: togliti di lì, non vedi che ti stai per scottare, togliti di lì, ti dice ora il tuo istinto e non tua madre, ogni volta che scendi dalla ronda di Sant Pere.”
[Lucía Lijtmaer, “Cauterio“, 2022, p.81. La traduzione è mia.]

Ma torniamo allo show Flamenco e alla capacità dei catalani di sfruttare a più non posso tutti i luoghi comuni del turismo iberico per farne una redditizia fonte di guadagno.

In Catalogna hanno abolito la corrida ed hanno trasformato l’Arena di Barcellona in un mega-centro-commerciale, eppure continuano a vendere tori di plastica a orde di turisti in cerca di sapori autentici e prodotti tipici e topici. In Catalogna si sentono altri dal resto della Spagna, ma poi, a ben vedere, è tutto un proliferare di ventagli, banderillas, chitarre, nacchere, paellas valencianas, sangría e gazpacho andaluso. A Barcellona e nel resto della comunità autonoma, hanno in spregio i “charnegos” (gli spagnoli che vivono in Catalogna, ma non sono figli di catalani), ma hanno catalanizzato Picasso, un genio di Malaga (Andalusia) vissuto per la maggior parte della sua vita in Francia.

Il finto tablao flamenco di ieri, che ho solo sentito da lontano perché la bambina non è voluta scendere e ha preferito tenere a sottofondo delle sue letture, è parte di questo sfruttamento mercantile dell’idea di Spagna sedimentata nelle teste degli stranieri che da due o tre secoli cercano la Carmen in ogni angolo o anfratto della penisola iberica (allo stesso modo in cui i gondolieri veneti cantano “‘O sole mio” e “Simme ‘e Napule, paisà” ai turisti tedeschi e giapponesi che questo vogliono sentire, per avere la sensazione di trovarsi in acque italiane e vivere le emozioni del popolo degli spaghetti, della pizza, delle tarentelle, delle mafie, dei Sorrentino, dei pulcinella e della camorra di Gomorra).

D’altronde, la relazione della Catalogna col flamenco viene da lontano.
Già alla fine dell’800 proliferavano a Barcellona spettacoli di danza gitana in café chantant che spesso, non a caso, avevano nomi che si richiamavano alla realtà andalusa, come Café Sevillano, Café Concierto Sevilla e Café Concierto Triana. Tuttavia, è innegabile che, col tempo, si formò una vera e propria tradizione flamenca catalana. Carmen Amaya, una delle più grandi e innovative danzatrici di flamenco del secolo scorso, era una gitana nata a Barcellona nel 1913.

Questo attiene, insomma, anche alla capacità dei popoli mediterranei di assimilare culture estranee e lasciarsi contaminare dall’altro.
La cucina catalana è un’ulteriore riprova di questa tendenza ad aprirsi a gusti, a prodotti e a sapori provenienti da mondi vicini e lontani.



Insomma, niente di male, per carità. Un po’ di flamenco, anche incelofanato, non fa male a nessuno. Anzi. A me piacciono pure i Gypsy King, gitani andalusi residenti in Francia che hanno inventato una versione pop e commerciale della rumba flamenca. Questa è una musica nomade, che probabilmente ha mosso i primi passi nella lontana India e poi si è andata mischiando con i suoni di mezzo mondo già prima di approdare tra Cordova, Siviglia e Granada. E da quel momento il processo di contaminazione e commercializzazione non è mai finito.*

Sento solo qualche nota stridente tra questa musica senza frontiere e la Catalogna autonomista, indipendentista, sovranista e (vivaddio) pure, sempre e comunque, antifa e antifascista.

Ma la Spagna e il mondo intero si nutrono di queste contraddizioni. E io pure, che sono del Mediterraneo e sento che questi e solo questi sono i tre colori della mia bandiera (insieme col giallo del sole, il verde degli ulivi e il rosso del sangue e della lava vulcanica).

“Mi contraddico“, “contengo moltitudini“. (W.W.)


_____

Se volete saperne di più del nomadismo del flamenco, leggete qua.

https://aitanblog.wordpress.com/2019/08/31/flamenco-contaminazione-e-nomadismo/

Le docce di Blanes

06 sabato Ago 2022

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beni pubblici, costa brava, mare

Il mare è di tutti. La Costa Brava tra pubblicità e pubblica realtà.

Scorcio di cemento con doccia pubblica.

A Blanes le docce pubbliche sono frequentissime e del tutto gratuite.
Ce ne è una ogni centinaio di metri su un litorale privo di lidi concessi a privati e tenuto lindo e pinto dall’amministrazione comunale.
È dato in concessione (a seguito di asta pubblica) solo l’affitto di ombrelloni e sdraio, che costano 6 euro ciascuno a giornata (da quello che ricordo è lo stesso prezzo anche nel Maresme, i poco più di 50 chilometri di costa che vanno dal Nord di Barcellona alla Costa Brava).

Blanes, scoglione con doccia pubblica.

La Costa Brava ogni estate (salvo nel periodo della pausa pandemica del 2020-21) ospita poco meno di 20mila stranieri e, in tutta la Spagna, prima del covid, le entrate derivanti dal turismo oscillavano tra l’11 e il 12% del PIL nazionale.

Anche a Blanes, tra giugno e settembre, arrivano migliaia di turisti, in maggioranza francesi, ma le spiagge non sembrano mai troppo affollate. Inoltre, i parcheggi pubblici sono gestiti perfettamente, il servizio di bus e i trenini turistici funzionano a meraviglia e gli automobilisti sono molto disciplinati (non ho mai sentito un clacson suonare né visto un veicolo sfrecciare in città o un’auto fuori posto; oltre al fatto che, prima ancora che imbocchi le strisce pedonali, loro si fermano già per lasciarti passare). Sul lungomare, ampli spazi per pedoni e biciclette. Ovunque grande attenzione per chi si muove a piedi (i semafori segnano i secondi per aspettare il verde; le strade scolastiche hanno il limite di 20 all’ora e sono chiuse al traffico veicolare negli orari di entrata ed uscita degli alunni). Il risultato è che, nonostante l’affluenza di stranieri, anche ad agosto non sembra esserci traffico o caos veicolare sia nel centro che nella periferia della città.

Il semaforo che segna i tempi di attesa.
Strada a priorità pedonale.

Frequenti, invece, gli spettacoli nelle piazze e nei locali (frequentissimi e molto frequentati in ogni quartiere di Blanes).
Ovunque, ville comunali con giochi, attività e attrezzature sportive per bambini e adulti.
Biloteche aperte anche d’estate, schiere di bancarelle notturne, bar, pub e bodegas adatti ad ogni tipo di clientela.

Piazzetta davanti a una celebre birreria cittadina. I bambini giocano, gli adulti bevono e chiacchierano. Lo striscione autonomista ricorda che solo il popolo salva il popolo.

Ah, il mare è pulitissimo e la sabbia mischiata di minuscoli sassolini che rendono più facile pulirsi i piedi quando si lascia la spiaggia.

Dice: perché fai tanti chilometri per farti qualche bagno quando hai tanta costa balneabile in Italia? Dice…


P.s. Quando viaggiamo l’occhio fa la sua parte, e anche gli altri quattro sensi e la nostra sensibilità fanno la loro parte, insieme con la nostra enciclopedia personale, il nostro punto di vista sulla realtà e la cultura in cui siamo imbevuti.
Per questo, al ritorno da un paese lontano o da un viaggetto fuori porta, ognuno di noi porta con sé un’altra impressione dell’esperienza vissuta. Le foto di due persone che hanno visitato gli stessi luoghi nel medesimo tempo non saranno mai le stesse foto. È il vizio imprescindibile della soggettività. Nessuno mangia mai lo stesso piatto, guarda lo stesso panorama o ascolta la stessa musica.
Ecco, mi sono svegliato che volevo dire una cazzata e la volevo condividere con voi. L’ho detta. Ma sono certo che i vostri sensi, la vostra sensibilità e la vostra cultura la sapranno riempire di significato e daranno senso a queste mie povere e scarne parole nate in un bel giorno di mare e di sole.


P.S. In questi primi 15 giorni di agosto, la temperatura non ha mai superato i 30 gradi; un paio di volte ha anche piovigginato e, di notte, sarebbe utile anche avere un pigiama.

Doccia con sfondo di cessi pubblici.

Blanes, Barcelona, Bolaño, guiris y Lijtmaer

04 giovedì Ago 2022

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Barcellona, blanes, libri, mare, napoli


Primi giorni di mare e vergogna in Costa Brava

…

Dal 31 luglio sono a Blanes, con la piccola, in Costa Brava.
Nel pullman dall’aeroporto del Prat all’hotel ci sono persone di ogni provenienza, ma si sente solo parlare napoletano. La solita orda di adolescenti convinti di venire a conquistare un popolo da cui è sempre stato soggiogato.
In tutta l’ora e mezza del tragitto sbraitano, bevono, urlano e cantano, e in ogni frase, muggito o mugugno appare due o tre volte la parola Napoli o suoi derivati. Due o tre volte l’autista li riprende, ma loro continuano imperterriti a bere e a disturbare. Me ne vergogno. E non è solo vergüenza ajena. Mi vergogno proprio di essere italiano e napoletano come loro. Anche Stefania esprime la stessa vergogna e lo stesso disagio.
Quando arrivo a destinazione mi scuso con l’autista in loro vece. Lui si mostra comprensivo e rassegnato. Sono anni che accompagna questi flussi scostumati di ormoni a Tossa e a Lloret de Mar.
Per fortuna, vanno tutti negli stessi posti in cerca di droga, figa, cazzi e discoteche. Basta evitarli. Loro e i posti che frequentano.
Spero che si divertano, comunque, senza fare troppi danni a se stessi e agli altri.
Per fortuna, qui sono tutti abbastanza indulgenti con questa guagliunera. Come l’autista. Ma non so dire se sia più tolleranza o convenienza.

In ogni modo, dopo questo brutto avvio, i primi giorni di vacanza in Costa Brava scorrono sereni, allegri e senza incidenti.
Il mare è bello, le passeggiate mostrano scorci incantevoli, la ricezione alberghiera è impeccabile e gentile.

Blanes

Alla partenza, non ho messo nessun libro in valigia. Ho deciso di comprare qui qualche romanzo da leggere in spiaggia, sul balcone o al rientro a casa.

“Blanes se parece a sus playas, en donde se tuestan cada verano todos los valientes de Europa, los de aquí y los del otro lado de los Pirineos, las gordas y los gordos, los feos, los esqueléticos, las chicas más guapas de Barcelona, los niños de todo pelaje, las viejas y los viejos, los enfermos terminales y los resacosos, todos semidesnudos, todos expuestos al sol del Mediterráneo y a la mirada comprensiva de la torre de San Juan, y el olor que se desprende de las playas (es bueno recordarlo ahora, en el largo invierno) es el olor de las cremas corporales, de los bronceadores, de las pomadas de protección solar, que huelen a eso, evidentemente, pero que también huelen a democracia, a historia, a civilización.”
Roberto Bolaño, “La Selva Marítima” in El
El País, Gennaio 2000.

“Blanes somiglia alle sue spiagge, dove ogni estate si mettono all’arrosto tutti gli arditi d’Europa, quelli di qui e quelli dell’altro lato dei Pirenei, le chiattone e i chiattoni, i brutti, gli scheletrici, le ragazze più belle di Barcellona, i bambini di ogni provenienza e aspetto, le vecchie e i vecchi, i malati terminali e gli sbronzi, tutti seminudi, tutti esposti al sole del Mediterraneo e allo sguardo comprensivo della torre di San Juan, e l’odore che sprigiona dalle spiagge (è bene ricordarlo ora, nel pieno dell’inverno) è l’odore delle creme corporee, degli abbronzanti, delle pomate di protezione solare, che odorano di quello che sono, evidentemente, ma che sanno anche di democrazia, di storia, di civiltà.”

La traduzione è mia. Il testo di Roberto Bolaño.
Stamattina sono stato alla libreria Sant Jordi. La libreria che lo scrittore sudamericano frequentò negli ultimi anni della sua vita.
Dal 1985 al 2003, Bolaño si stabilì qui a Blanes con la moglie e i due figli. Prima che gli arrivasse il successo che meritava aprì anche un negozietto di bigiotteria.

In sottofondo due frammenti di “Blind” dei Talking Heads (1988)

In una guida che gli ha dedicato l’ufficio turistico cittadino leggo che voleva essere ricordato “come uno scrittore surdamericano più o meno decente, che visse a Blanes, e che amò questo paesino” di 30.000 abitanti fondato dai romani duemila anni fa e poi frequentato da persone di ogni tipo e colore.

Blanes, vista dal Jardín Botánico Marimurtra
Apparizioni a Blanes

Nella libreria c’è ancora Pilar Pagespetit i Martori, con cui lui si intratteneva a parlare mentre vagava tra i libri. O almeno, dalla veneranda età che dimostra nel suo fisico minuto e curato, a me piace immaginare che sia lei.
Le chiedo se hanno disponibile qualche testo di Ernesto Cardenal, poi mi metto a curiosare tra i libri ammucchiati in colonne in ogni angolo della stanza. Per un momento credo di aver osato identificarmi con R.B.
Dopo una lunga ricerca scelgo un testo di recente pubblicazione di Lucía Lijtmaer, scrittrice quarantenne nata in Argentina e cresciuta a Barcellona. Avevo sentito parlare del suo acume sia come romanziera che come critica letteraria e specialista di studi culturali.

Nelle prime pagine la voce narrante immagina un suicidio e vagheggia un’inondazione di Barcellona provocata dal cambio climatico e dallo scioglimento dei ghiacciai polari.
È una descrizione potente e delirante.

A un certo punto mi rivedo in queste parole che mi riportano sul bus dell’arrivo a Blanes.

” […] primero morirán los pobres, los taxistas paquistanís del Raval, las chicas filipinas de la panadería de la calle Sant Vicenç, la señora Quimeta y su mercería, los guiris de la Barceloneta, todos, absolutamente todos, los holandeses, los franceses, los ingleses y los italianos -nadie echará de menos a los italianos-.”
Lucía Lijtmaer, “Cauterio“, 2022

Traduco, non senza essere di nuovo assalito dalle fiamme della vergogna.

” […] prima moriranno i poveri, i tassisti pachistani del Raval, le ragazze filippine della panetteria di calle Sant Vicenç, la signora Quimeta la sua merceria, i turisti della spiaggia di Barceloneta, tutti, assolutamente tutti, gli olandesi, i francesi, gli inglesi e gli italiani – nessuno sentirà la mancanza degli italiani.”

Ecco qua.
Ci siamo meritati pure questa.


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