Da bambino rompevo gli specchi per vedere cosa c’era dall’altra parte e cercavo il tempo tra le pagine dei calendari e gli ingranaggi degli orologi. Più grande allungavo le mani per afferrare la luna e fare luce ai miei giorni bui.
Oggi ce la metto tutta per trovare il bene in chi mi fa del male e rinvenire qualche attimo di gioia nella persistenza del dolore. Oggi ce la metto tutta, per ritrovare un po’ di pace tra le tempeste. Oggi ce la metto tutta per evitare la disperanza, nonostante anni ed anni di delusione e frustrazioni.
Oggi c’è la metto tutta, tutta ce la metto, ma non è mai abbastanza.
Una delle cose più importanti nella scrittura è capire dove e quando mettere il punto
Similmente nella vita quotidiana
Nella realtà delle cose
Tra una cosa e l’altra
E nel giusto punto
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Appunto
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Oggi, nella messaggistica scritta, sempre in bilico tra la scrittura e il parlato, terminiamo raramente le nostre frasi con il punto. E quando lo facciamo, veniamo letti come trancianti o, peggio, come artificiali. Se metti un punto vuol dire che non vuoi più parlare con me. O che non sei spontaneo. Vuoi tenere tutto sotto controllo. Perfino la sintassi e il tono emotivo della conversazione. Con uno così meglio metterci un punto
Appunto
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Per due punti passa una sola retta Ma ciascuno dei due punti per i quali passa una sola retta è attraversato da un’infinità di rette A loro volta formate da innumerevoli punti
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Per due punti passa una e una sola retta Ma ciascuno di essi è attraversato da infiniti fasci di rette disposte radialmente Due mondi paralleli fatti di rette che si fanno cerchi Due buchi neri in cui mi perdo passo e chiudo
Sono anni che vado ripetendo in giro ad ogni fine e ad ogni principio che il nuovo anno sarà veramente nuovo se sapremo rinnovarci, se sapremo rinnovarlo; che bisogna cambiare il sistema, non il calendario; che le cose non possono andare meglio se ripercorriamo sempre gli stessi passi. Il tempo è un flusso continuo che noi cadenziamo sugli orologi, sulle agende e sui calendari. Le cose non cambiano al ritmo della nostra scansione del flusso temporale. Dobbiamo essere nuovi noi, non l’anno.
Perché, in fondo, ognuno di noi è ciò che fa per cambiarsi, per diventare altro. Non esiste e non può esistere un sé statico, immobile e immutabile. Siamo la pioggia che scorre sulla nostra pelle e il modo in cui ce la lasciamo cadere addosso o ci proteggiamo dalle gocce. Siamo la voglia che ci spinge a distruggerci e costruirci. Siamo il vento che leviga le nostre rughe e le creme che mettiamo o non mettiamo sul viso per cercare di arrestare i segni del tempo e le aggressioni degli specchi. Somos las gotas del río de Heráclito. Siamo la capacità di adattarci all’ambiente ed alle circostanze che ci girano intorno; ma anche la tensione ad adattare a noi circostanze e ambienti. Dovremmo capirlo, una buona volta, che non è possibile trasformare il mondo senza trasformare noi stessi, senza cambiare almeno una scheggia della nostra propria realtà; dovremmo capirlo, finalmente, che ogni nostro minuscolo cambiamento si riverbera nella stanza, nei vicoli della città, per le strade del paese e su tutta la terra! Siamo l’attimo in cui viviamo e quello che vivremo l’attimo dopo.
Somos lo que hacemos para cambiar lo que somos. (Eduardo Galeano)
Siamo quello che facciamo per cambiare quello che siamo.
Vagheggio una fine senza botti nelle terre dei fuochi e un 2023 senza bombe in Ucraina e in altri luoghi di conflitto. Ma forse è volere troppo rispetto ai dati di realtà che mi attraversano gli occhi, le orecchie e la pelle. Speriamo che almeno piova, questo capodanno, sui roghi di monnezza che trasformeranno questo letamaio in un inferno di seconda mano; e che nessuno ci lasci le dita, gli occhi, un braccio, la cute o la vita.
Qui a Napoli e zone collegate abbiamo con il fuoco un rapporto inscindibile e contraddittorio. Viviamo con l’inferno sotto ai piedi pronto a venire fuori dalla bocca del vulcano o dalle viscere della terra. I campi ardenti della zona flegrea, la lava del Vesuvio, la porta degli Inferi nel Lago d’Averno, la terra ribollente della Solfatara, la liquefazione del sangue del santo, i roghi tossici e i fuochi d’artificio che rimbombano nell’aria per tutto l’anno, fino all’apocalisse dell’ultimo giorno. Siamo costantemente sotto l’assedio dell’artificio dei fuochi. Come se stessimo mettendo in scena una rituale evocazione delle catastrofi che ci aspettiamo da un’imminente eruzione del Vesuvio o dall’apertura della porta degli inferi. Come se volessimo farci noi stessi vulcano e perpetrare un lento, quotidiano suicidio di massa; la fragorosa deflagrazione di un diffuso desiderio di dissoluzione! la volontà di autodistruggerci e scomparire tra il fuoco, i fumi e le fiamme.
Vabbè, il giorno si avvicina. Buona fine!
E miglior principio…
Vi auguro un anno meno funesto, in un mondo magnifico come questo.
Interludio digitale in due versioni e alcune visioni
È triste amare senza essere amato, ma è più triste chiudere Word senza aver salvato.
Con Workspace, invece, il problema è fugato.
Tutto ciò che hai scritto resta scritto e memorizzato.
Automaticamente e senza cliccare niente.
Si salva da solo proprio tutto, tanto il bello come il brutto.
Pure una stronzata come questa che è pure meglio se non resta.
Le foto sono mie, il sottofondo recitato e musicato è di FdA e Mauro Pagani, che il cielo li abbia in gloria.
Questa qui sopra l’ho scritta io per spiegare come Google Workspace ti permette di salvare i tuoi documenti automaticamente, senza doverli salvare manualmente come in Word di Office.
In Word di Office, ogni volta che scrivo un documento nuovo devo ricordarmi di salvare, altrimenti rischio di perderlo.
Ma con Google Workspace, non c’è bisogno di preoccuparsi, perché i documenti vengono salvati in modo automatico, senza intervento umano.
Non devo più pensare ai salvataggi, posso concentrarmi solo sullo scrivere, e se per caso dovessi chiudere il browser, non c’è rischio di perdere il mio lavoro.
Grazie a Google Workspace, posso scrivere senza pensieri, e non devo più preoccuparmi di salvare, posso solo concentrarmi sulla bellezza della poesia.
Tutti abbiamo da augurarci qualcosa e tutti abbiamo bisogno di auguri. Tanti.
Io ve li lascio qua. In duplice versione video.
I disegnini li ho fatti io; la canzone di sottofondo èJingle Bell Rock, arcinoto brano natalizio di Joe Beal e Jim Boothe, inciso nel 1957 da Bobby Helms.
Lo so che la maggior parte di voi preferisce vedere disegnini animati e ascoltare musichette e canzoncine, piuttosto che leggere…
Una mia ipersintetica versione del canto natalizio di origine austriaca Stille nacht, heilige nacht (Joseph Mohr, testo, risalente al 1816, Franz Xaver Gruber, musica del 1818). Ma il brano è più diffusamente conosciuto nel mondo come Silent Night, mentre in Italia è diventato Astro del Ciel e nei paesi di lingua spagnolaNoche de Paz, Noche de Amor.
Va be’, tante belle cose a tutti e ad ognuno e più pace e più giustizia in ogni luogo!
Dite tutto quello che volete e avete ragione di dire sui social, ripetete che si sostituiscono alla realtà, che rubano il nostro tempo, che ci fanno perdere i contatti umani e le relazioni uno a uno. Tutto questo è vero o relativamente vero. E non è tutto. Diciamolo, diciamolo senza riserve che Facebook è l’incarnazione del male assoluto in cui ci dibattiamo, e diciamo pure che lo diciamo continuamente su Facebook che Facebook è il male assoluto. Diciamo pure che anche Instagram e TikTok sono il male assoluto.
Ma ammettiamo anche che qualche volta questi maledetti social network servono pure ad ampliare lo spettro delle nostre possibili conoscenze, dandoci l’occasione di venire a contatto con persone che hanno il nostro idem sentire o con artisti che suscitano il nostro interesse e la nostra partecipazione emotiva. È il caso della conoscenza che ho fatto prima su Facebook e poi in presenza con Enzo Crispino, sensibile artista nato qui a Frattamaggiore, nella stessa terra in cui sono nato io, un paio di anni prima di me, ma trasferitosi all’età di 15 anni a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia (socc’mel, Bibbiano!)
Personalmente, sono rimasto subito incantato dai suoi lavori fotografici. Ricordo ancora distintamente la sua prima foto che ho visto in rete. Eccola qua.
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Mi ha lasciato senza fiato la ricerca cromatica di questa perfetta composizione che campeggia anche sulla copertina del suo libro fotografico: “La bellezza perduta”, pubblicato nel 2018 da Corsiero Editore.*
In ogni modo, solo qualche mese dopo aver visto le sue prime foto sui social, ho saputo che si trattava di un artista di origini frattesi trapiantato a Reggio Emilia, che, è il caso di ricordarlo, è il centro propulsore di tanti artisti della fotografia (a partire dall’antesignano Luigi Ghirri) oltre ad ospitare, dal 2006, un importante festival internazionale intitolato alla Fotografia Europea.
E in quella terra fertile di immagini impresse, mentre lavorava come tornitore metalmeccanico,** Enzo Crispino ha coltivato il suo talento che gli ha fatto meritare una nomina a Maestro di Fotografia Artistica all’Accademia Internazionale d’Arte Moderna di Roma. Ed è di tutta evidenza che Enzo un Maestro e un Artista lo è a tutti gli effetti. Le sue opere sono esposte in vari musei e gallerie d’Europa e d’America e gli hanno dedicato articoli e pubblicazioni alcune delle principali riviste specializzate di mezzo mondo. Ma è soprattutto la qualità del suo sguardo a contraddistinguerlo. I titoli e le onorificenze vengono dopo.
Insomma, per una volta si celebra nel controverso spazio di Villa Laura, un evento degno di un bene comune di valenza culturale, quale potrebbe essere questo storico edificio frattese ristrutturato con denaro pubblico ed ora dato in fitto ad un’università privata.
In realtà, questa è la seconda volta che Enzo espone a Fratta, ma io, colpevolmente, mi sono perso la prima mostra tenuta a dicembre del 2019 nella Sala Consiliare del Comune. Ieri, invece, liberandomi da ogni impegno, sono corso alla prima di questa nuova esposizione dedicata ai siti archeologici di Paestum e di Pompei. E mi sono trovato di fronte a due splendide collezioni di pittorismo fotografico.
L’una, quella dedicata a Pompei, caratterizzata da cieli saturi di colore che risaltano come un fondale teatrale nello spazio scenico dei ruderi della nostra memoria; l’altra, quella incentrata su Paestum, contrassegnata da colori diafani, fantasmatici, in cui il verde della natura sembra affiorare come una apparizione tra i resti dei templi. Due serie di lavori molto diversi tra loro, ma accomunate da una grande e certosina ricerca cromatica e compositiva che si iscrive nella tradizione del vedutismo inglese.
Le foto di Paestum sono dichiaratamente ispirate agli acquarelli dell’artista ed archeologo anglosassone Edward Dodwell, ma anche nei paesaggi pompeiani riecheggia lo sguardo della pittura dei neoclassicisti e dei romantici inglesi.***
Quello di Enzo Crispino è uno sguardo poetico che ricrea la realtà, citando lo sguardo degli artisti del passato che lo hanno ispirato e nutrito (non a caso, seguendolo in rete, ho scoperto che il fotografo frattese/emiliano si dedica anche alla scrittura di poesie e partecipa a concorsi in cui risulta spesso tra i premiati).
Aggiungo che ieri ho avuto anche modo di parlargli, di conoscerlo da vicino e di scoprire la bella persona che contiene il grande artista: una persona modesta e riflessiva che presenta le tracce di chi è partito da umili condizioni ed ha sudato per fare di se stesso l’uomo e il maestro d’arte che è oggi. Una persona che porta dentro di sé il senso delle sue radici (che si diverte a rievocare e sentire rievocare dai suoi amici dei tempi in cui, ragazzo, lavorava ‘ncoppa ‘e filatoie), ma ha saputo anche mettere a frutto le esperienze maturate in una nuova terra che lo ha cambiato, non senza prima fargli soffrire le pene della migrazione.
Peraltro, ho saputo da lui medesimo che ha a regalato le sue opere esposte a Villa Laura alla Città di Frattamaggiore, che spero sappia valorizzare e apprezzare questa generosa donazione per tutto quello che rappresenta e per il valore artistico che contiene ed emana.
* Facendo un’ulteriore ricerca in rete ho scoperto che quella stessa foto è stata anche scelta da un gruppo rock francese, i Valparaiso, per illustrare la copertina del loro primo album intitolato “Broken Homelands”.
** Non a caso il secondo libro fotografico di Enzo Crispino, sempre edito da Corsiero, è dedicato allo spazio industriale visto con gli occhi di chi lo ha conosciuto dall’interno e si intitola significativamente “Otto ore”.
*** In altre mostre che possiamo ammirare nel suo ricco portfolio, l’artista frattese si è dichiaratamente ispirato a due numi tutelari della pittura romantica inglese: John Constable e William Turner.