Dove provo a illustrare cosa diamine sia mai l’esperpento con l’aiuto di Francis B. e di Francisco G.
#arte #goya #bacon #valle-inclán #francisbacon
Specchi che deformano la realtà per renderci più chiari e comprensibili i brividi che ci percorrono la schiena e le emozioni che ci salgono mute alla bocca come bava di lumaca. Urla che sussurrano nuove chiavi di lettura e l’evenienza di altri mondi dentro e fuori di noi. Deformazioni che rendono intellegibili le assurdità delle nostre esistenze ed il degrado in cui intrecciano i loro logori fili. Riflessi di una irrealtà possibile.
Esperpento.
“Gli eroi classici riflessi negli specchi concavi danno l’esperpento. Il senso tragico della vita spagnola può darsi solo con un’estetica sistematicamente deformata. […] La Spagna è una deformazione grottesca della civiltà europea. […] Le immagini più belle in uno specchio concavo sono assurde. […] Deformiamo l’espressione nello stesso specchio che ci deforma le facce e tutta la vita miserabile della Spagna.” Per ridirlo con le parole del moribondo Max Estrella nella XII scena di “Luces de Bohemia” (1920).
“Los héroes clásicos reflejados en los espejos cóncavos dan el Esperpento. El sentido trágico de la vida española sólo puede darse con una estética sistemáticamente deformada. […] España es una deformación grotesca de la civilización europea. […] Las imágenes más bellas en un espejo cóncavo son absurdas. […] Deformemos la expresión en el mismo espejo que nos deforma las caras y toda la vida miserable de España.” (Ramón del Valle-Inclán, l’autore)
tu non puoi sapere quanto ho sofferto per scavarmi dentro un verso che mi portasse fuori dalla disperazione nell’arco lungo e irto della sua costruzione
e a volte dura una notte che più di una vita dura anche una parola sola che cerca spazio tra una parola e una parola
Ma poi ci sono quelli che non ne vogliono e quelli che non ne possono mangiare
Al Nord e al Sud del mondo madri disperate perché i figli non mangiano si struggono simmetricamente
simmetricamente si struggono e non mangiano
Comunque ovunque et iniquamente
A chistu munno chi ha avuto tanto e chi nun tene niente A chistu munno tene troppo pane chi nun tene ‘e diente A chistu munno sta senza pane e chine ‘e pene troppa gente
E je parle parle ma nun dico niente.
In sottofondo, banale come il pane appena sfornato e sempre buono da mangiare, Erik Satie Gymnopédien.1.
A te che mi insegnasti che non ho bisogno di nessuno A te che non ti sembrava mai abbastanza A te A te che mi volevi indipendente da tutto e da niente A te A te che mi portasti a scoprirmi e a scoprire cose che nemmeno sapevo di voler sapere
A te che mi dicesti non sai quanto vali A te che mi tenevi a bada i coccodrilli e gli squali A te che colpivi sempre all’incrocio dei pali ma insegnavi lo stesso che non vengono a nuocerci tutti i danni i malvagi i malanni ed i mali
A te Alle tue malie ed alle tue manie A te che non ti sembravano mai abbastanza le mie autonomie
A te A te di cui ora ho un immenso bisogno che non conosce ragione rimedi o ricette esistenziali ma solo ferite vuoti ed assenza
A te di cui non oso fare senza
A te a te e a te
A te che mi insegnasti che non ho bisogno di niente A te che mi vedevi anche a distanza lontano da te o persa in un’altra stanza A te A te che mi volevi innamorata di tutto e di niente A te A te che mi portasti a sentirmi e a sentire cose che nemmeno sapevo di voler scoprire A te che mi dicesti non sai quanti mali volano via e si disperdono nel vento dopo che gli metti le ali
A te Alle tue malie ed alle tue manie A te che non ti sembravano mai abbastanza le mie antinomie
A te A te di cui ora ho un immenso bisogno che non capisce ragione ricette o rimedi convenzionali ma solo ferite vuoti ed assenza
New Edition (ulteriormente ridotta, rammendata e riacconciata)
È primo maggio ed è pure domenica. Nun tengo voglia ‘e fa niente.
Vi riciclo i miei auguri di un anno fa che riciclavano quelli di due, tre, quattro e cinque anni fa diretti a tutti coloro che il lavoro lo creano, lo fanno o lo cercano. Aggiungo le miei maledizioni per quelli che il lavoro lo distruggono, lo disprezzano o lo sfruttano. E dedico le mie parole a chi di lavoro, pure quest’anno, è crepato.
Rap/sodia del Primo Maggio
Il lavoro mi piace mi incanta m’agguanta
Me ne starei ore ed ore ed ore davanti ad un cantiere a guardare la gente che fatica suda e travaglia
o le fimmine che fanno la maglia mentre gli uomini si allisciano la coglia tra le pieghe della vestaglia
È una storia antica Chi magna e chi fatica
La cicala e la formica
E io che sogno un primomaggio di lavoro veramente intelligente No di chi fa tanto e di chi non fa niente e ci guadagna pure tanto ed eccessivamente sulla schiena della povera gente che fatica suda sfuma si sfoglia trasuda rancore e travaglia
Dignità e Rispetto Lavorare per vivere e non vivere per lavorare
Dignità Rispetto e Sicurezza Lavorare per vivere e non morire per lavorare
Dignità Rispetto Sicurezza e Giustizia Distribuire i pesi e tutti equamente ricompensare
Lavorare bene e nessuno il lavoro d’altri sfruttare
Aprile è stato crudele Speriamo in un maggio migliore Ma di speranza non vogliamo morire
E nemmeno di lavoro di non lavoro o di lavorare
Grazie assai a T.S. Eliot, a Jerome K. Jerome a Enzo Del Re ed anche a me stesso per avermi dato inconsapevolmente in prestito qualche parola buona e giusta e qualche altra, di certo, un po’ meno (tra queste ultime, le mie di me medesimo, immagino).
Cognome mio e cognome tuo in ricordo del nostro amor
In Spagna il doppio cognome è legge dal 1889, ma già dal XV secolo era costume, soprattutto tra i nobili, dare ai propri figli il primo cognome del padre insieme con il primo cognome della madre. Ciò anche per distinguere le tante persone che avevano cognomi uguali o simili (nel mondo ispanofono esistono milioni di García, di Rodríguez, di González, di Fernández, di López e tanti altri cognomi per lo più terminanti con il suffisso –ez, che a sua volta deriva dal genitivo latino –is: in pratica, i cognomi in -ez erano dei patronimici che indicavano che quella determinata persona era figlia o figlio di… Rodrigo, Gonzalo, Fernando, Lope…). Inoltre, dare il secondo cognome poteva dimostrare che la madre non avesse un cognome di ascendenza ebraica in un Paese che gli ebrei, dal 1492, li aveva espulsi o obbligati alla conversione. Ma più in là dei genitori non si poteva andare perché, in pratica, fino al secolo scorso, di norma, i padri e le madri che non facevano parte dell’antica nobiltà ispanica passavano ai propri figli solo il primo cognome, quello paterno e, pertanto, in genere quasi nessuno aveva più di due cognomi. In questo modo, si andavano perdendo anche eventuali origini ebraiche rintracciabili nei cognomi delle madri. Nel nuovo millennio, invece, con il proliferare delle rivendicazioni di genere, sono arrivati i sacrosanti cambiamenti nell’ordine dei due cognomi dei neonati spagnoli (e nel mentre, per fortuna, si è persa l’esigenza di tenere sotto controllo l’eventuale presenza di sangue semita negli abitanti del regno spagnolo). In pratica, già a partire dal 2000, era permesso registrare i figli anteponendo il cognome della madre a quello del padre, previa richiesta al Registro Civil e dichiarazione di mutuo accordo tra le parti. Dal 2017, poi, le cose sono ulteriormente cambiate in direzione di una piena uguaglianza di genere: entro tre giorni dalla nascita del figli@, è diventato un obbligo scegliere l’ordine dei cognomi (altrimenti la scelta avviene d’ufficio secondo criteri fonici, o alfabetici, o di gusto dell’impiegato di turno…). Inoltre, con questa nuova legge, i maggiorenni possono anche decidere di cambiare l’ordine dei propri cognomi o perfino di unirli e farli diventare un cognome composto (ciò al fine di caratterizzare cognomi troppo comuni oppure per fare in modo che non sparisca uno dei due nomi di famiglia passando solo il primo di padre in figlio).
In questi giorni anche l’Italia sta imboccando la direzione del doppio cognome e magari, retroattivamente, anch’io potrò cominciare a firmarmi Vergara De Vita (o viceversa) e mia figlia potrà decidere se chiamarsi Iavarone Vergara o Vergara Iavarone.
Tuttavia, in un Paese causidico come l’Italia, già immagino che, su questa giusta decisione della Corte Costituzionale, si ordiranno discussioni, contenziosi, lotte familiari e separazioni.
E poi smettetela, per favore, di fantasticare di cognomi che crescono esponenzialmente da 2 a 4, da 4 a 8, da 8 a 16, da 16 a 32 e così via, ad infinitum; per lo più nessuno avrà più di due cognomi e le firme continueranno ad entrare nello spazio di un rigo.
A meno che non vi chiamate Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso (pare che fosse registrato così all’anagrafe il più grande pittore spagnolo del XX secolo) oppure Fernández de Córdoba Espinosa de los Monteros (che ho inventato io mettendo insieme due cognomi composti spagnoli).
Mi viene in mente la mia gatta (l’unico animale che ho avuto in casa, una siamese). Si chiamava Gatilla Exposita Encontrada de Madrugada, ma la chiamavamo Faní.
Concludo osservando che questi matrimoni possono dare alla luce tanti binomi fantastici e divertenti. Scorrendo l’elenco telefonico spagnolo si possono trovare curiose combinazioni, tipo:
– Salido del Pozo (Uscito dal Pozzo) – Fuertes de Barriga (Forti di Stomaco) – Toro Bravo (Toro Selvaggio) – Tetas Planas (Tette Piatte) – Verdugo de Dios (Boia di Dio) – Gallo Enamorado (Gallo Innamorato) – Comino Grande (Fico Grande, ma anche, ehm, Cazzo Grande)
E infine, Calavera Calva (Cranio Calvo), che un po’ mi rappresenta. Più del comino.
I 15 secondi di musica che accompagnano questa mia clip li ho rubati ai DakhaBrakha, un gruppo musicale di avanguardia nato all’interno del Dakh, Centro teatrale d’Arte Contemporanea di Kiev.
Come vorrei che i DB potessero continuare a sperimentare il loro ethno-caos che pesca nel folclore ucraino con l’aggiunta di sonorità contemporanee e innesti della musica africana, bulgara e ungherese.
Una colomba con i colori di un eclectus, di un’ara o di un pavone.
Una colomba che resiste ingabbiata, ma deve tornare a volare.
L’immagine è una frettolosa rivisitazione di una celebre cartolina realizzata da Joan Mirò nel 1937 per raccogliere fondi per il fronte popolare, ai tempi della sanguinaria guerra civile spagnola.
La musica di sottofondo è un mio campionamento della tromba di Tom Harrel tratto dalla versione di “Silence” contenuta nell’album di Charlie Haden, “The Montreal Tapes: Liberation Music Orchestra” (1989).
I dubbi sono tutti miei e mi paralizzano la coscienza, anche se continuo a scrivere e a cazzeggiare con i segni e con i suoni. Perché non so fare altro.