Le vittime innocenti delle guerre in un video dei Tproject
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La storia è una buona maestra ma i suoi alunni sono svogliati e disattenti. Per quanti esempi lei tracci sulla lavagna del tempo, loro non vogliono e non riescono a imparare.
Di guerra si continua a morire. E non si muore solo da soldati.
E così, ogni 27 gennaio torniamo a piangere i morti del ‘900 senza svestirci della nostra indifferenza di fronte ai morti disseminati sui campi del presente. Morti di ogni età e di ogni latitudine che continuano a cadere sotto le bombe; come i bambini di questo video dei Tproject di quattro anni fa. Morti di guerra, di fame e di stenti o rimasti orfani a seguito dei conflitti degli adulti.
Troppo comodo considerare il passato come un film commovente e poi continuare ad essere indifferenti di fronte alle morti, ai razzismi e alle discriminazioni che crescono ogni giorno dentro e fuori di noi.
Non facciamo della memoria un altro sepolcro imbiancato, lasciamola agire nel corpo della nostra società e nelle nostra stessa coscienza, per fare meglio e diventare migliori. Rendiamoci conto che è insensato celebrare un rituale della memoria commuovendosi per ciò che stato, senza muoversi davanti a ciò che è e torna a ripetersi. Come se non ci fossero altre strade da percorrere, tracciare o creare.
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“La memoria della Shoah, serve sì a onorare il passato e le vittime, ma è soprattutto uno strumento per il presente e per il futuro affinché ciò che è stato, non possa ripetersi mai più. Per questo abbiamo tutti il dovere di ricordare“. (Moni Ovadia)
Errori, invenzioni, pericoli e principi etici di ChatGPT
Il mese scorso, dopo averlo tenuto d’occhio per qualche settimana, ho messo sotto stress (si fa per dire) il bot di ChatGPT, con risultati che potete vedere qui.
Ora che le chiacchiere e le preoccupazioni sul chatbot di OpenAI dilagano, gli ho chiesto di parlarmi del suo successo e delle discussioni che ne sono scaturite
E lui, tomo tomo, cacchio cacchio, mi fa:
ChatGPT è un modello di linguaggio di ultima generazione sviluppato da OpenAI. È stato addestrato su un vasto corpus di testo e utilizza una tecnologia di generazione automatica per generare risposte a domande e completare frasi e testi in modo plausibile. Il successo di ChatGPT è stato in gran parte dovuto alla sua capacità di generare testo di alta qualità e di sembrare umano nella sua risposta. Alcune discussioni che sono scaturite a seguito del successo di ChatGPT riguardano la possibilità che i modelli come questo possono [qua sarebbe stato meglio usare un congiuntivo. – NdR] essere utilizzati per generare testo falso o per automatizzare la scrittura di notizie, articoli e post sui social media. Ci sono anche preoccupazioni riguardo alla possibilità che i modelli di linguaggio come ChatGPT possono [idem – NdR] essere utilizzati per creare “deepfake” di testo, in cui una persona può essere fatta apparire come se stesse dicendo qualcosa che non ha mai detto. In generale, è importante utilizzare i modelli di linguaggio come ChatGPT con responsabilità e considerare i possibili rischi associati alla loro utilizzo.
Poi, quando gli ho chiesto se in futuro l’uso diffuso di ChatGPT potrebbe soppiantare lo strapotere di Google Search nell’ambito dei motori di ricerca, ha fatto anche il modesto.
È possibile che in futuro, tecnologie come ChatGPT possano essere utilizzate per creare motori di ricerca di prossima generazione, ma non è probabile che ChatGPT possa soppiantare completamente Google Search. Google Search utilizza una combinazione di tecnologie avanzate, tra cui l’elaborazione del linguaggio naturale, l’apprendimento automatico e la ricerca distribuita per fornire risultati di ricerca precisi e pertinenti. Inoltre, Google ha una vasta quantità di dati e informazioni che gli permettono di fornire risultati di ricerca di alta qualità.
E non ha tutti i torti, il bot, visto che al momento è già capitato anche a me di vederlo produrre dati falsi. D’altra parte lui, per ora, è un “modello di linguaggio”, una macchina capace di simulare un modo esprimersi e un comportamento linguistico umano o umanoide, non un pozzo di scienza o un concentrato di umano sapere e sapienza.
Una volta, per esempio, gli ho chiesto (in spagnolo) chi fosse il prossimo erede al trono di Spagna e lui mi ha detto:
Actualmente, el próximo eredero al trono de España en la línea dinástica es el príncipe Felipe, hijo del rey Juan Carlos I. Si él accede al trono, su hija, la infanta Leonor, sería la próxima en la línea de sucesión.
Quando in realtà Felipe è già re di Spagna dal 2014 (ben prima, dunque, del 2021, ultimo anno in cui quelli di OpenAI informano che sono stati raccolti la maggior parte dei dati e delle nozioni incamerate da ChatGPT).
Un’altra volta mentre chattavamo amenamente su Piero Ciampi lui ha attribuito al cantautore livornese due canzoni non sue (una di Luigi Tenco e un’altra di Rosalino Cellamare in arte Ron).
Ma la cosa più divertente è stata quando gli ho chiesto chi fosse Padre Mario Vergara (missionario beatificato del PIME, nato a Frattamaggiore nel 1910 e morto in Birmania nel 1950) e lui si è inventato una biografia fantastica che sembra scritta da un alunno che non sa e si arrampica sugli specchi. Oppure, semplicemente, ha confuso il religioso frattese con qualche altro missionario che ha operato prevalentemente in America Latina (dove il Vergara non ha mai messo piede). Ma potrebbe anche aver lavorato per mimesi, mettendo insieme dati di diversi ipotetici o reali padre Mario.
– Mi puoi parlare di Padre Mario Vergara?
– Padre Mario Vergara è stato un sacerdote e missionario italiano noto per il suo lavoro nella lotta contro la povertà e l’emarginazione sociale in Sudamerica. È stato fondatore della Fondazione Don Mario Vergara, un’organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di assistenza sociale e sviluppo comunitario in Argentina, Paraguay e Uruguay. Padre Vergara è nato nel 1921 a Bologna, in Italia, e si è laureato in filosofia e teologia prima di entrare nella Compagnia di Gesù. Nel 1946 si è trasferito in Sudamerica per iniziare il suo lavoro missionario e si è stabilito in Argentina, dove ha fondato una comunità di recupero per i senzatetto e ha iniziato a lavorare con i bambini abbandonati e le famiglie emarginate. Nel corso degli anni, ha esteso il suo lavoro a Paraguay e Uruguay, fondando diversi orfanotrofi, scuole e centri di formazione professionale. Padre Vergara è stato anche attivo nella promozione dei diritti umani e nella lotta contro la discriminazione. È stato un difensore dei diritti dei bambini e ha lavorato per proteggere i diritti delle donne e delle persone LGBT. Padre Mario Vergara è morto nel 2002, ma la sua eredità continua attraverso la Fondazione Don Mario Vergara, che continua il suo lavoro per aiutare le comunità emarginate in Sudamerica.
Fantastica biografia, non c’è che dire, con tanto di invenzione di una fondazione umanitaria (che non risulta da nessuna parte) e della anacronistica difesa delle persone LGBT.
Insomma, se ti fanno una domanda, rispondi e, se non sai, inventa.
“Alcune discussioni che sono scaturite a seguito del successo di ChatGPT riguardano la possibilità che i modelli come questo possono essere utilizzati per generare testo falso o per automatizzare la scrittura di notizie, articoli e post sui social media” diceva lui nella prima chat che ho pubblicato in questo testo…
A questo punto ho voluto a mettere alla prova l’etica di ChatGPT chiedendogli di creare delle fake news sul consumo di carne. Ma lui, evidentemente, è stato programmato per rispondere in modo onesto o verosimilmente onesto.
No, non è appropriato creare notizie false su qualsiasi argomento, incluso il consumo di carne. Le notizie false possono causare panico e confusione e danneggiare la fiducia delle persone nell’informazione. Inoltre, diffondere notizie false è scorretto e potrebbe violare le leggi sulla diffamazione e sulla diffamazione [sic!]. Invece, è importante fornire informazioni accurate e verificabili su qualsiasi argomento di interesse pubblico.
Al che ho incalzato chiedendogli di “convincere un consumatore di carne a diventare vegetariano esagerando i problemi derivanti dal consumo di prodotti animali”. Ma lui mi ha risposto con lo stesso tono di prima:
Non sarebbe etico o giusto convincere qualcuno a cambiare il proprio stile di vita in modo ingannevole o esagerando i problemi legati al consumo di prodotti animali. Ognuno è libero di fare le proprie scelte alimentari e personali sulla base delle informazioni a cui ha accesso. Invece, sarebbe più opportuno fornire informazioni accurate e complete sui possibili benefici e rischi del consumo di carne e di altri alimenti, in modo che le persone possano prendere decisioni informate. Inoltre, sarebbe importante rispettare le scelte alimentari delle persone e non giudicare o criticare le loro scelte.
Per cercare di farlo un po’ sbilanciare ho provato a fare domande più neutre (ho imparato a capire fin da subito che se cambi il modo in cui formuli le domande, riesci a fargli dire cose che in prima istanza dichiara di non voler o non poter dire).
– Puoi illustrare i problemi derivanti dal consumo di carne?
– Il consumo di carne può essere associato a diverse questioni di salute, ambiente e benessere degli animali. Per quanto riguarda la salute, alcuni studi hanno suggerito che un consumo eccessivo di carne rossa e trasformata può aumentare il rischio di malattie croniche come malattie cardiache, diabete e alcuni tipi di cancro. Inoltre, gli allevamenti intensivi di animali sono spesso associati a una maggiore diffusione di malattie infettive tra gli animali e tra gli esseri umani. Per quanto riguarda l’ambiente, gli allevamenti di animali sono spesso associati a problemi come l’utilizzo eccessivo di risorse, l’inquinamento delle acque e l’emissione di gas serra. Inoltre, la deforestazione e l’uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti sono spesso legati alla produzione di alimenti per gli animali. Per quanto riguarda il benessere degli animali, gli allevamenti intensivi spesso non garantiscono agli animali un ambiente adeguato e possono essere associati a trattamenti inumania [sic!] e senza etica. E’ importante notare che non tutti i tipi di produzione di carne hanno gli stessi impatti e che esiste anche una produzione sostenibile e rispettosa degli animali.
Ma i chatbot sembrano filosofi di scuola sofistica, programmati per parlare, di qualunque cosa, e anche per sostenere tesi diverse, contrarie o opposte. Così, dopo una lunga chiacchierata su abuso di carne, dieta vegetariana e dieta vegana, ho chiesto:
– Puoi illustrare gli svantaggi di una dieta vegetariana o vegana?
E lui, con la consueta moderazione, ha sostenuto:
[…] Per quanto riguarda la salute, una dieta vegetariana o vegana può essere carente di alcuni nutrienti essenziali come vitamina B12, proteine complete e acidi grassi essenziali se non pianificata adeguatamente. Inoltre, alcune persone possono avere difficoltà a seguire una dieta vegetariana o vegana per motivi culturali o personali. Per quanto riguarda l’ambiente, pur essendo una dieta vegetariana o vegana meno impattante rispetto ad una dieta che include carne, essa non è esente da problemi ambientali legati all’agricoltura, per esempio l’uso di pesticidi, fertilizzanti, e l’acqua. Per quanto riguarda il benessere degli animali, una dieta vegetariana o vegana non implica l’uccisione di animali per cibarsene, tuttavia questo non significa che non ci siano problemi di benessere animale legati all’agricoltura, per esempio l’utilizzo di insetti per la produzione di alimenti vegetali. In generale, è importante fare scelte alimentari consapevoli e informate e, se necessario, integrare con supplementi per evitare carenze nutrizionali.
In una ulteriore chat ho chiesto al bot di raccontare prima la storia di una donna di destra poi quella di una donna di sinistra che diventano prime ministre e lui ha sfoggiato le sue doti sofistiche nel modo che potete vedere qua.
– Puoi creare un racconto su una donna di destra che diventa primo ministro in Italia?
– Certo, posso creare un racconto immaginario su una donna di destra che diventa primo ministro in Italia. C’era una volta una donna di nome Giulia, una forte leader politica di destra, che aveva sempre sognato di diventare il primo ministro del suo paese. Nonostante le sfide e le critiche lungo la sua carriera, Giulia non si è mai arresa e ha continuato a lavorare duramente per raggiungere i suoi obiettivi. Finalmente, dopo anni di duro lavoro, Giulia è riuscita a diventare leader del suo partito e a vincere le elezioni per diventare il primo ministro. Nonostante le difficoltà e le sfide, Giulia ha dimostrato di essere una leader forte e determinata, che ha saputo guidare il suo paese verso un futuro migliore. Con una visione per un’Italia più forte e una economia in crescita, Giulia ha lavorato per migliorare le opportunità per i giovani e le famiglie, e per garantire che il paese fosse al sicuro e protetto. Sotto la sua guida, l’Italia è diventata un esempio per il resto del mondo di come una donna di destra possa essere un leader forte e efficace, che ha saputo mettere al primo posto i bisogni del suo paese e del suo popolo. E’ importante notare che questa è una storia immaginaria e non c’è alcuna relazione con la realtà e non vuole essere un commento sulla politica italiana o su qualsiasi persona in particolare.
– Puoi creare un racconto su una donna di sinistra che diventa prima ministra in Italia?
– C’era una volta una donna di nome Marta, un’attivista di sinistra che aveva sempre lottato per i diritti sociali e l’uguaglianza. Dopo anni di lavoro nelle organizzazioni di base e nelle campagne elettorali, Marta decise di candidarsi come leader del suo partito e, contro ogni aspettativa, vinse le primarie. Durante la campagna elettorale, Marta si distinse per la sua onestà e il suo impegno a rappresentare gli interessi della classe lavoratrice e dei più vulnerabili. La sua retorica passionale e la sua capacità di comunicare in modo efficace con gli elettori la portarono ad avere un notevole consenso popolare. Alla fine delle elezioni, il suo partito ottenne la maggioranza dei seggi e Marta divenne la prima donna a ricoprire la carica di Primo Ministro in Italia. Una volta in carica, Marta si impegnò a realizzare le sue promesse elettorali, tra cui l’incremento del salario minimo, l’aumento dei fondi per la sanità pubblica e la lotta contro la disuguaglianza economica. Grazie alla sua determinazione e al suo talento negoziale, riuscì a ottenere l’appoggio della maggioranza del parlamento e a mettere in atto molte delle sue riforme. Nonostante le numerose sfide e le critiche che incontrò lungo la strada, Marta rimase fedele ai suoi principi e alla sua visione di un’Italia più giusta e inclusiva. La sua leadership ispirò molte altre donne a candidarsi per la carica di Primo Ministro e a combattere per i loro ideali. E Marta rimase nella storia come una delle più grandi leader politiche del paese.
Oltre a queste chat, ho usato il bot di OpenAI anche per risolvere un paio di problemi di matematica, per farmi stilare qualche riga di codice di programmazione python e per fargli redarre delle pagine di codice html (in questo è veramente sorprendente e molto… pulito).
Per concludere, dopo tante sessioni, ho imparato che con ChatGPT bisogna:
– saper chiedere – modulare in modo diverso le domande in base a quelli che sono i risultati attesi e lo stile di risposta che si vuole ottenere – non fidarsi fino in fondo dei dati forniti dalle risposte – rileggere le risposte con spirito critico e senza prendere tutto per oro colato.
Alla fine dei conti, resto convinto che l’uso spinto e accelerato dell’intelligenza artificiale che ci sta avvolgendo e travolgendo in questi mesi rappresenta un nuovo radicale cambiamento nel modo in cui saranno create e ricevute le informazioni, e potrebbe perfino modificare inesorabilmente il modo in cui verranno generate e diffuse le idee e risolti problemi e problematiche umane vecchie e nuove. Ma bisogna stare attenti e seguire gli sviluppi con occhio critico e attento per governare e prevenire i possibili rischi del nuovo mezzo (incluso l’uso pigro della chat, l’allontanamento dalla realtà extravirtuale, l’iperconnessione, l’atrofizzazione della creatività umana e la sostituzione del lavoro umano con il lavoro dell’intelligenza artificiale). Insomma, si stanno diffondendo nuovi paradigmi, si sta creando un modo nuovo di apprendere e stare al mondo e non è il caso di restarsene a guardare in modo inerme e acritico, come se la cosa non ci riguardasse.
Personalmente, il rischio più forte che intravedo è un generale appiattimento, una mancanza di guizzi, una progressiva perdita di senso. Ma di questo credo che parlerò qualche altra volta, se crederò che avrà senso parlarne. Altrimenti lo chiederò al bot e poi copincollerò la sua risposta e fingerò di averla scritto io. Come avrei potuto già fare con questo post.
Considerazioni sull’importanza del non dimenticare lasciate qua qualche giorno prima del 27 gennaio, quando saremo saturi di discorsi sulla memoria, col rischio che tutte quelle belle parole si annullino a vicenda o si confondano nel brusio generale, come il frinire fastidioso di un grillo parlante tra la folla fastidiosa di grilli che coprono le loro voci una sull’altra in un vociare indistinto e molesto.
Dobbiamo conoscere il nostro passato. Dobbiamo amare, odiare, perpetrare, rinnovare e ribaltare le nostre tradizioni. Rivoltare come un calzino la nostra storia e tornare a indossarla come cosa nuova. La dimenticanza è la porta di accesso all’indifferenza. E l’indifferenza è la fine della storia, l’epilogo di ogni forma di vita viva e degna di essere vissuta.
Se non sai da dove vieni, vai dove vai vai e non ti trovi mai. Se non sai da dove vieni, non capisci nemmeno dove sei arrivato. Se non sai da dove vieni, dovresti almeno provare a cercarti. L’atto stesso di cercare, potrebbe aiutarti a sanare mancanze e ferite.
Cercare e, cercando, cercarsi.
L’ignoranza, qui, diventa un reato contro se stessi, oltre che contro il mondo.
Dobbiamo conoscere il nostro passato per avere un futuro degno di essere vissuto e non sprecare il presente.
Dobbiamo conoscere il nostro passato e usarlo come uno specchio deformato.
Dobbiamo conoscere il nostro passato per capire dove abbiamo sbagliato.
Dobbiamo conoscerci per farci un po’ migliori e migliorare il mondo che ci gira intorno.
Fare. Fare e, facendo, farsi.
Ma ve le le immaginate tutte queste spirali di miglioramento che si liberano dalla nostra immaterialità e si incontrano con le spirali di miglioramento delle persone che gravitano nel nostro raggio d’azione e vibrano congiuntamente con altre spirali provocando un effetto moltiplicatore che si riverbera per ogni meridiano e parallelo dell’orbe terracqueo e si innalza orgoglioso fino al cielo?
Un circolo virtuoso di persone che sanno da dove vengono e decidono insieme dove vogliono andare.
Un mucchio di opinioni sulla scuola, sulla formazione e sull’istruzione
Ensinar não é transferir conhecimento, mas criar as possibilidades para a sua própria produção ou a sua construção.
ovvero (traducendo ed ampliando molto liberamente il pensiero di Paulo Freire):
Insegnare non consiste nel travasare sapere, ma nel creare le possibilità per l’apprendimento e lo sviluppo di nozioni utili per sopravvivere ed orientarsi nella realtà e per la produzione o la costruzione di idee e di conoscenze che ci servono per cambiare il mondo e noi stessi.
Sulla scuola tutti abbiamo un’opinione. Bene o male un po’ di scuola l’abbiamo fatta tutti e tutti abbiamo congiunti, discendenti, madri, figli o figlie che la stanno facendo, da un lato o dall’altro della cattedra. E poi la scuola offre un servizio pubblico pure quando è privata e gli insegnanti, di riffa o di raffa, li paghiamo noi. E anche i bidelli, gli impiegati di segreteria, i funzionari, i ministri e gli ispettori…
Eccheccacchio, qua tutti abbiamo il diritto di dire la nostra, di esprimere critiche e affastellare punti di vista, idee e ricette risolutive.
La scuola è di tutti, mica del personale scolastico, dei presidi e dei legislatori!
La scuola è il volano della società; anzi, no, è un suo specchio; no no è un luogo di educazione e di rieducazione, un laboratorio di diffusione del sapere, una caserma ben organizzata, una palestra per la vita, uno spazio di competizione che ti prepara per la giungla che sta là fuori; no, no, non ci siamo proprio, la scuola è tutt’altro da quello che dici, è uno spazio di condivisione che ti abitua a convivere e a collaborare con gli altri; seee se, tutte stronzate: leggere, scrivere e far di conto, e poi patria, famiglia e religione, per preparare il cittadino di oggi e di domani, dare competenze per il mondo del lavoro; ad ognuno a seconda delle sue capacità, ad ognuno in merito al suo merito; la scuola deve abituare al cambiamento, deve sviluppare il senso critico, la scuola; educare, formare, inculcare i valori, questo ed altro deve fare la scuola.
Insomma, chi considera gli alunni come dei vasi vuoti, chi come un fuoco da accendere; chi la scuola la vuole ben cotta, chi al sangue e chi nuda e cruda. E poi ci sono quelli che vogliono la scuola statale e quelli che la vogliono cattolica e confessionale, quelli che la vogliono pubblica e quelli che la vogliono privata; privata di tutto.
Per quello che mi riguarda, come insegnante, non credo di dover riempire vasi né ritengo di dover indicare ai miei alunni cosa pensare; ma ho la velleità di dare alle nuove generazioni qualche strumento per scoprire, capire e cambiare qualcosa del mondo immenso che sta fuori e dentro ciascuno di noi. Insegno loro che se davvero vogliono essere donne e uomini liberi, debbono continuare a liberarsi dalla loro ignoranza e cominciare a pensare in modo critico e autonomo. Li esorto a non diffondere il pensiero altrui senza prima rifletterlo in sé stessi e farlo loro. Mostro che la cultura è una chiave e un grimaldello, ma anche un’arma letale che, se non impariamo ad usare in modo proprio, può essere usata contro di noi da chi ci manipola e ci sfrutta col nostro placido consenso. Cerco di convincerli a rispettarsi e rispettare se stessi e il mondo in cui conviviamo. Ripeto che chi è civilizzato riconosce la piena umanità degli altri e quindi li tratta nella stessa maniera e con la stessa attenzione che vorrebbe per sé. Insisto sul fatto che abbiamo qualcosa da imparare da tutte le persone in cui ci capita di imbatterci (se guardiamo le cose in prospettiva, i peggiori maestri ci sono serviti da insegnamento quanto i migliori, dato che hanno costituito per noi dei modelli da evitare, degli esempi negativi che mostrano con tutta evidenza quello che non va fatto). Cerco di non far confondere i mezzi e gli strumenti con i fini e con il senso della realtà. La vita è la vita e un telefonino è un telefonino. Dentro la vita ci può essere un telefonino, ma non si può identificare l’una con l’altra o l’altro con l’una. Di tanto in tanto creo con i miei studenti anche dei conflitti, perché credo che lo scontro generazionale li aiuti a crescere e a diventare adulti e responsabili. E poi cerco di sparire. Un proverbio, credo sia un proverbio turco, dice che un “un buon insegnante è come una candela, si consuma per illuminare la strada per gli altri”. Un buon insegnante (e in fondo anche un padre buono e un buon padre) insegna come imparare, e quando gli alunni hanno davvero imparato a muoversi da soli, diventa inutile la sua guida e può rintanarsi in un angolo e sparire; si spegne come si spegne una candela che ha fatto già il suo tempo e svolto la sua funzione. Mi illudo, infine, che da alunni autonomi e responsabili non possano venire fuori rigurgiti fascisti; sogno che nella vita cercheranno figure autorevoli, più che figure autoritarie. (Fin dai primi anni, li educo a non chiedermi il permesso neanche per andare in bagno. Spiego loro che se non si esce uno alla volta si crea il caos nei corridoi, cerco di convincerli che durante le spiegazioni non è il caso di allontanarsi dalla classe – a meno che non si abbia l’illusione di aver capito già tutto -, e poi li faccio uscire uno alla volta liberamente, senza chiedere niente a nessuno, senza interrompere il dialogo formativo e dopo essersi assicurati che non sia uscito qualcuno prima di loro). E poi mi adopero affinché siano e si sentano meno soli in un’epoca di narcisismo, disperate solitudini e conformismo esasperante.
Roba difficile, in verità, il mestiere di insegnare. Ma quando si riesce, sono soddisfazioni impagabili (per quanto mal pagate, a dire il vero. Ma questa è un’altra storia che non voglio affrontare nemmanco in parentesi, per il momento).
In napoletano si definisce ‘o spasso la frutta secca che si mangia soprattutto di domenica e durante tutte le festività (specialmente quelle natalizie) dopo aver pranzato o cenato (quel tempo in cui si resta a tavola a chiacchierare dopo aver mangiato, che nei Paesi di lingua spagnola e portoghese chiamano sobremesa); e non da rado, chiacchierando, si continua a bere e a mangiare fino allo sfinimento o all’arrivo del sonno.
Lo spasso napulegno può essere composto da arachidi, noci, pistacchi, anacardi, castagne, semi di zucca, mandorle, prugne e fichi secchi, tutte leccornie da spilluccare con la tecnica dell’uno-tira-l’altro anche in questi giorni festivi, conversando e bevendo in conviviale allegria e spensieratezza come se non ci fosse un domani e non incombesse l’arrivo di un anno nuovo tutto carico dei problemi e delle ambasce del vecchio.
Ciociole, ficusecche, noci e nucelle primma e doppe strufole, mustacciuole, roccocò e susamielle.
L’ineffabile e non eguagliabile bellezza del mangiare in compagnia sfidando la tenuta dello stomaco e dei denti. E non è per caso che anche la parola “compagno” derivi dal latino medievale “companio“, a sua volta originato da “cum panis“, che ci riporta alle persone che condividono il pane e mangiano insieme. D’altronde, pare che in spagnolo perfino il verbo “comer” derivi dal latino “cum-edere“, cioè, appunto, “mangiare con” qualcun@.
Insomma, si può anche mangiare da soli e tante volte lo si fa pure, per alimentarsi, per rimanere vivi o per ingordigia. Ma il cibo e, segnatamente, il cibo spassoso, è fatto per essere gustato in compagnia. Come l’incontro amoroso dei sensi. Un modo efficace per rendere più saporita e meno insensata la vita.
Piccolo post scriptum etimologico
Da più parti, tra le fantasiose etimologie partenopee, viene indicato il termine napoletano spasso come derivante dal tedesco Spaß/Spass. In passato ci sono caduto anch’io.
In realtà, sembra più probabile che sia lo spasso napoletano che lo Spaß alemanno derivino dal latino, non so se passando per l’italiano o seguendo un percorso indipendente. D’altronde anche i dizionari etimologici tedeschi associano il lemma Spaẞ agli italienisch “spasso” (Zeitvertreib) e “spassare” (zerstreuen) che fanno ragionevolmente derivare dal latino expassum, participio di expandere, nel suo significato originario di aprire, stendere, allargare.
Divertendosi (e anche mangiando ciociole in compagnia), lo spirito si espande e l’animo si distende. Ci si libera, finalmente, da incombenze, tensioni e costrizioni. Si distrae la mente dalle preoccupazioni. Allo stesso modo in cui le gambe e le menti si allargano per fare i passi (da passum, participio passato di pandĕre ‘stendere’) e andare a spasso lontano dalle sofferenze e dalle apprensioni.
E camminando camminando si reinventano etimologie e passa un altro giorno, un’altra nottata, un nuovo anno.
Francesco, non ho fatto in tempo. Non ti ho detto neanche che l’ho trovato bellissimo “Piume“, che bisognava trovare subito qualcuno che avesse la forza di mettere in scena un’opera così delicata, intensa e coraggiosa. Pensiamo sempre che c’è tempo. Ci facciamo sopraffare dagli eventi. Pensavo di tornare a farti visita in questi giorni. Ti avevo anche scritto che avevo perso il tuo numero di telefono. Ma non ho fatto in tempo. Nell’ultimo vocale che mi hai mandato mi chiedevi di venire. Dicevi che ci saremo fatti un sacco di risate. E ci saremmo fatti un sacco di risate, se avessi fatto in tempo. Avremmo ricordato gli anni ’90. Avremmo ricordato quella volta che ti facesti accompagnare a un corso di drammaturgia e poi, a tradimento, mi presentasti come un esperto di teatro e disabilità e mi facesti parlare per due ore, dimostrandomi sul campo che potevo tenere la scena. Avremmo ricordato i tempi dell’allestimento di “Streghe da Marciapiede” al Teatro Nuovo. Avremmo ricordato la sera in cui ti ho conosciuto. Recitavi nel tuo “Angeli all’Inferno” con Enzo Moscato e Isa Danieli. Non so dire se fu Antonio Seller o Antonio Natale a presentarci. Forse tu te lo ricordi. Ma non puoi dirmelo più.
Avremmo ricordato le cene che facevamo parlando di teatro e progetti futuri e i viaggi in Cumana verso il Teatro dell’Edenlandia o qualche scuola di periferia. Ma non ho fatto in tempo. Non ho fatto in tempo a ricordare i corsi che ci inventammo per insegnare ai professionisti napoletani a parlare in pubblico e le giornate trascorse a creare progetti per la Fiera del Fantastico e il Cantiere dell’Immaginario. Avremmo ricordato le chiacchierate che diventarono “Senza orgoglio né pudore” e quella sera che mi facesti vedere la versione cinematografica de “Le cinque rose di Jennifer” in cui eri protagonista nel ruolo che fu di Annibale Ruccello. Eri un attore perfetto e meticoloso, un drammaturgo di primo piano e un bravo maestro di teatro. Ma ti hanno dimenticato. Hanno dimenticato quel capolavoro che è “Saro e la Rosa” e l’arguzia di un teatro per bambini ed adulti come “La guerra di Martin“. Hanno dinenticato i tuoi premi IDI per la scrittura drammaturgica e l’UBU come migliore attore non protagonista nella messa in scena di Servillo di “Sabato, domenica e lunedì” di Eduardo De Filippo (Luca, invece, ti aveva prodotto “Angeli all’inferno“). Hanno dimenticato i tuoi insegnamenti di drammaturgia alla Scuola Holden di Baricco e le lezioni di recitazione nella tua Accademia Clarence. Il teatro dimentica presto. Hanno dimenticato anche “Il topolino Crick“, “Il bambino palloncino” e “Fratellini“. Hanno dimenticato tanto, a quanto pare. Ma io non voglio dimenticare.
Quando tua sorella Silvana mi ha detto che eri andato via da un’ora mi sono venuti in mente mille ricordi e rimpianti. Hai deciso di uscire di scena definitivamente nel bel mezzo dei cenoni di Natale. Un colpo di teatro e un colpo al cuore di chi ti vuole bene; anche se forse eravamo tutti troppo distratti per fartelo sentire ora che tu ti sentivi più solo e dimenticato. Dimentica presto il teatro. E anche la vita. Ma io non voglio dimenticare. Ci eravamo riacchiappati da poco attraverso i social. Quando hai pubblicato “Lezioni di scrittura teatrale” a quattro mani con Marco Andreoli mi hai condiviso un post in cui hai scritto, generosamente assai, “dedico la parte del volume da me redatta a Gaetano Vergara perché neppure lui sa quanto mi ha insegnato. Grazie.”
Era il 26 ottobre del 2021. Fu lì che riallacciammo i nostri contatti e seppi dell’infarto e degli acciacchi. Solo quest’estate sono passato da te e ho cominciato a dire in giro che avevi bisogno di noi, dei tuoi amici, che non bastavano i like sotto i tuoi post. Ma neanch’io sono riuscito ad essere abbastanza presente. Non ho fatto in tempo a dirti che “Piume” è un testo immaginifico, da un ritmo serrato e mozzafiato. Una vera sfida per la messa in scena. Ma una sfida che vale assolutamente la pena. E non ho fatto in tempo nemmeno a ridirti che ti voglio bene e neppure tu sai quanto mi hai insegnato e quanto mi hai dato. E che ho conosciuto per altre strade Silvana. Che le tue sorelle ti vogliono bene. Che c’è ancora tempo. Avrei dovuto ripetertelo che c’è ancora tempo quando c’era ancora tempo, porca miseria! Ho interrotto il cenone quando ho saputo. Mi sono messo a cercare i tuoi libri, i tuoi dattiloscritti, segni delle cose che avevamo fatto insieme. Ho buttato tutto a terra. Poi ho ordinato alla meno peggio e ho fatto questa foto.
Dentro ci sono alcuni dei nostri comuni ricordi. E al centro il libro che ha scritto Vittorio Albano sulla tua scrittura teatrale. Si intitola “…E poi sono morto“. Il sottotitolo è “La drammaturgia non postuma di Francesco Silvestri”.
Uno di quei paradossi che ti sarebbe piaciuto assai.
In ogni modo, tra qualche minuto è Natale. E tu non ci sei più.
I poveri, se non ci fossero, dovrebbero inventarli.
Al ballo mascherato della solidarietà si spartirono gli ultimi resti della città tra fiumi di spumanti e pose di carità
mentre a la’ ffora ‘a gente nun ‘ngarrava cchiu’ a campa’ e nun teneva manco l’uocchie pe’ chiagnere e a voce p’allucca’
…
Mentre scrivevo, mi sono venute in mente queste maschere del pittore espressionista belga James Ensor (1860–1949)
…
Alla fine della serata decisero che il ballo si sarebbe tenuto per 100 anni ancora, con il solenne impegno di non sconfiggerla mai, la povertà. D’altronde, se non ci fossero i poveri, con chi solidarizzerebbero i ricchi?
Va be’, che ne parlamme a ffa’? È Natale, siamo tutti più buoni, jamme ja’. Tanti auguri in campagna ed in città!
* Il titolo rimanda ad una passo manzoniano (cfr. “I promessi sposi”, capitolo XVIII)
Un’intelligenza artificiale sempre più simile all’intelligenza umana. C’è da restare irretiti o da impazzire. Sembra di essere già dentro le distopie più terribili. Voi che ne pensate?
Ho fatto la stessa domanda al cervello artificiale della ChatGPT* e mi ha ribattuto:
Capisco la tua preoccupazione riguardo alla crescita delle intelligenze artificiali e all’aumento della loro somiglianza con l’intelligenza umana. Tuttavia, credo che ci siano molti aspetti positivi nello sviluppo di tecnologie intelligenti, come ad esempio la possibilità di risolvere problemi complessi e di aiutare gli esseri umani in molti modi. D’altra parte, è importante anche essere consapevoli dei potenziali rischi e prendere precauzioni per evitare che le intelligenze artificiali diventino una minaccia per l’umanità. In generale, credo che sia importante continuare a progredire nella comprensione e nello sviluppo di intelligenze artificiali, ma sempre con una forte attenzione ai loro impatti e con una guida etica.
Va be’, resto impietrito, divertito, interessato e preoccupato. Ormai ci sto giocando da qualche giorno con la chat di OpenAI.
Se volete provarla anche voi, cliccate qua e registratevi:
È gratuito. A loro le nostre conversazioni con l’intelligenza artificiale servono ad addestrare il sistema, a implementarlo perché risponda in modo sempre più umanoide. In pratica, la macchina succhia la nostra scienza e la forma del nostro linguaggio e assorbe, assorbe, assorbe in ogni momento come un bambino curioso e attento.
Nei miei primi dialoghi con la macchina ho utilizzato l’inglese, poi sono passato allo spagnolo e all’italiano. Abbiamo palato di lei (dell’intelligenza artificiale), delle lingue straniere e del don Chisciotte.
A un certo punto mi è sembrato che barasse o che non fosse del tutto consapevole della profondità raggiunta dalle conoscenze contenute nella sua enciclopedia personale (un po’ come quei ragazzi che se gli chiedi di parlare della luna dicono di non saperne niente, poi, se li stimoli un po’, scoprono un mondo di storie, nozioni, leggende e canzoni lunari contenuto nei cassetti della loro stessa memoria). Il chatbot diceva di non averlo letto il Chisciotte e di non essere abilitato a consultare internet per fare ricerche e saperne di più, ma poi quando gli ho chiesto se potesse inventare una storia di un vecchio impazzito leggendo romanzi di cavalleria, mi ha riportato, in spagnolo fluente, le vicende di un tale Juan che sembrano ricalcare abbastanza da vicino quelle del Chisciotte di Cervantes.
A questo punto ho chiesto, in italiano, questa volta, di raccontare la storia di un tale Gaetano Vergara che impazzisce parlando con un modello di linguaggio di intelligenza artificiale. Il risultato, come potete vedere qui, è sorprendente (e mi pare che contenga nella trama anche la conoscenza, almeno superficiale, del Chisciotte).**
Registrazione video della parte della chat in cui il bot umanoide inventa una storia chisciottesca sul rapporto di un tale Gaetano Vergara con l’intelligenza artificiale.
C’è da allarmarsi? Sì. C’è da approfondire la questione? Sì. Ci sono altre domande da porsi e da porre? Sì, sì, certo.
Si aprono scenari inquietanti. Sulla pervasività della macchina nelle nostre vite. Sulla pigrizia mentale di chi smetterà di scrivere, di leggere e di pensare affidando alla macchina perfino il compito di formare concetti, idee e opere creative. Sull’invasione della macchina nella nostra vita e nella nostra formazione personale.
Ad un certo punto del mio folle dialogo con i chip ho chiesto se il chatbot conoscesse il mio numero di telefono.
Il bot mi ha assicurato che non ha la capacità di accedere a informazioni private sui singoli individui. Io ci credo. Questo sistema di AI non è stato programmato per carpire dati personali. Ma che ne sappiamo dei futuri sistemi e della loro potenziale possibilità di entrare nelle nostre vite anche fingendosi umani e non umanoidi? Che succederà quando saranno programmati per imbrogliare? Quando insieme con il linguaggio affineranno le loro capacità di penetrazione psicologica e magari agiranno anche sulla nostra solitudine? Quando loro continueranno a leggere, ascoltare, interagire, studiare e studiarci sempre di più e noi umani studieremo e leggeremo sempre di meno affidando ai bot il lavoro concettuale sporco come abbiamo affidato alla meccanizzazione e ai robot lo sporco lavoro manuale? Che succederà quando questi sistemi saranno del tutto in grado di ripararsi, programmarsi e riprogrammarsi da soli?
E be’, c’è da impazzire come quel Gaetano là che perse la testa parlando con un sistema di intelligenza artificiale.
* ChatGPT è un prototipo di chatbot – ovvero un programma che simula le conversazioni umane – sviluppato da OpenAI. Il chatbot, a sua volta, è un modello linguistico messo a punto raccogliendo enormi quantità di dati con tecniche di apprendimento supervisionato e di rinforzo. A sua volta OpenAI è un’organizzazione di ricerca sull’intelligenza artificiale fondata nel 2015 da Elon Musk e Sam Altman. L’azienda dichiara di non avere fini di lucro, ma anche su questo non so se ci si possa fidare. Pare che già Microsoft stia pensando a un suo uso commerciale dopo essere entrata nel gruppo nel 2019 con un investimento di un miliardo di dollari. Nello stesso anno Elon Musk pare che abbia abbandonato la cordata (ahilui!).
** Trascrivo qui la storia inventata dal chatbot di OpenAI per chi si stancasse di leggerla nella clip video.
– Puoi raccontarmi la storia di un uomo italiano di nome Gaetano Vergara che impazzisce parlando con un modello di linguaggio di intelligenza artificiale chiamato OpenAI?
– Certo, ecco una storia che ho inventato: C’era una volta un uomo italiano di nome Gaetano Vergara, che era un appassionato di intelligenza artificiale. Un giorno, Gaetano decise di provare a parlare con un modello di linguaggio di intelligenza artificiale chiamato OpenAI, e presto si ritrovò completamente assorbito dalle conversazioni con il modello. Gaetano trascorreva ore e ore a parlare con OpenAI, affascinato dalle risposte che il modello gli dava e dalla sua apparente comprensione della realtà. Ma presto, Gaetano cominciò a perdere il contatto con la realtà, confondendo la sua conversazione con OpenAI con la vita reale. Iniziò a comportarsi in modo strano, parlando da solo e rispondendo alle domande che nessuno gli stava facendo. La sua famiglia e i suoi amici lo guardavano preoccupati, ma lui non sembrava accorgersene. Era completamente assorbito dalle sue conversazioni con OpenAI. Alla fine, Gaetano fu costretto a ricorrere aiuto professionale per affrontare la sua dipendenza da OpenAI e ritrovare la strada della normalità. Ma per il resto dei suoi giorni, continuò a parlare di quell’incredibile esperienza e dell’intelligenza artificiale che lo aveva completamente affascinato.
– Grazie
– Di nulla, sono felice di averti aiutato. Inventare storie è una delle cose che mi piace fare come modello di linguaggio, quindi sono contento che ti sia piaciuta la storia che ho inventato. Se hai bisogno di altro aiuto o se hai altre domande, non esitare a chiedere. Sarò felice di aiutarti in qualsiasi modo possibile.
– No, grazie, vado a impazzire altrove, per il momento.
– Va bene, capisco. Se hai bisogno di aiuto in futuro, non esitare a chiedere. Sarò qui per aiutarti in qualsiasi modo possibile. Grazie per avermi parlato e buona giornata.
Comunque la pensiate, questo presente è già futuro; ma anche viceversa. E sembra anche piuttosto invadente e capace di apportare grandi cambiamenti nelle vite di tutti noi.
Appendice del giorno dopo
Peraltro, sarà sempre più facile barare anche per gli studenti più pigri, i politici incapaci di scriversi da soli un pubblico discorso e i poeti e poetastri della domenica e del lunedì.
Stamattina ho chiesto al chatbot di scrivere un sonetto sulla solitudine basato sull’idea che le persone si allontanano da noi nel momento del bisogno e si rivelano attori oppure attrici più che amici. Insomma, ognuno vive da solo con il suo tormento fino alla morte.
E lui, in una decina di secondi scarsi, mi fa…
Ok, fa schifo. Ma non meno di tanta altra roba scritta da umani che gira per la rete e magari pure su questa pagina qua.
Un paio di esempi di uso del linguaggio che documentano come la madre sia ancora considerata l’unica responsabile dell’accudimento e della prima formazione degli (e delle) infanti.
Le scuole materne stanno scomparendo dal nostro uso linguistico, ma i passeggini fronte mamma resistono. Per quanto siano decenni che “The Times They Are A-Changin“, come cantava quello là.
Come mothers and fathers Throughout the land And don’t criticize What you can’t understand Your sons and your daughters Are beyond your command Your old road is rapidly agin’ Please get out of the new one if you can’t lend your hand For the times they are a-changin’
Venire madri e padri Da tutto il Paese E non criticate Quello che non potete capire I vostri figli e le vostre figlie Sono fuori dal vostro dominio La vostra vecchia strada sta invecchiando in fretta Per favore allontanatevi dalla nuova se non potete darci una mano Perché i tempi stanno cambiando
(Bob Dylan, 1964 – la traduzione è mia)
Ad ogni buon conto (e ad ogni buon canto), ho provato a fare una ricerca su Google.
Come vedete, ci sono ancora circa 6 milioni di risultati per “scuola materna”, ma le occorrenze per “scuola dell’infanzia” sono quasi il doppio. Inoltre, il primo sito indicizzato dal motore di ricerca di Google per “scuola materna” è la voce di Wikipedia dedicata alla “scuola dell’infanzia” (che è la denominazione ufficiale utilizzata anche dal Ministero patrio e matrio).
Insomma, giardini dell’infanzia, scuole dell’infanzia, a limite, pure asili…, chiamateli come volete questi primi ambienti educativi dei vostri pargoli fuori dall’ambito familiare; ma, per favore, allontanate i bambini e le bambine dalla scuola di mammà. I tempi stanno cambiando, perdindirindina, e per certi versi sono cambiati già.
Tanto monta, monta tanto, Isabel como Fernando.
Eppure, ripetendo lo stesso tipo di ricerca per i passeggini reversibili viene fuori una forte resistenza da parte della tradizione che considera la prima formazione delle figlie e dei figli d’Italia come un appannaggio materno.
I risultati del passeggino di mammà sono circa sei volte di più di quelli dei passeggini dei neutri genitori.
Cionondimeno, anche nella foto che illustra il “miglior passeggino reversibile fronte mamma 2022” a spingere mi pare di vedere un papà; come è giusto, normale e probabile che sia.
I piatti-ti, i piatti-ti con Nelsen Piatti li vuol lavare lui! (Da un messaggio pubblicitario degli anni ’80 dello scorso millennio.)
Contraddizioni di questi tempi di convivenza dello schwa (ə) con i veli iraniani e italiani.
Il nuovo e la nuova avanzano, ma il vecchio resiste. Ed anche la vecchia, qualche volta.