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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Archivi tag: anarchia

Le regole sul tetto

17 giovedì Mar 2022

Posted by aitanblog in recensioni, riflessioni, vita civile

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Tag

anarchia, Dante, de simone, fregola, pegola, perec, pessoa, regole, tegole

Dialogo tra me, la Commedia di Dante e quel simpaticone di Giovenale; per non parlar di Roberto, di George e di Fernando.

Le tegole ti proteggono dalla pioggia, ma ti impediscono di vedere il cielo.
Se pure le fai di cristallo, col tempo si opacizzano e finiscono per frapporsi tra te e la luce del sole e delle altre stelle.
Similmente le regole.

E poi anche tra le tegole, c’è sempre chi apre un varco solo per sé, mentre agli altri vieta di vedere luce.

Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?

Insomma, anche quando sotto il medesimo tetto qualcuno detta regole e leggi, non è detto che poi egli stesso le rispetti o le faccia rispettare.
È sempre il solito problema del “Quis custodiet ipsos custodes?“.

“Spranga la porta, non farla uscire, ma chi sorveglierà i sorveglianti? La moglie è astuta e comincerà da loro.”

Piglia ‘o cane acchiappa ‘o cane
‘A capa d’o cane ‘o cane ‘o cane
Piglia ‘o cane acchiappa ‘o cane
‘A capa do cane ‘o cane ‘o cane
Piglia ‘o cane acchiappa ‘o cane
‘A capa do cane ‘o cane ‘o cane
Oi mamma ca mò vene
bim bom bam
Oi mamma ca mò vene
bim bom bam
Apre la porta e fallo trasi’
co ‘mbamberambam e ‘o ‘mbamberambì
Apre la porta e fallo trasi’
co ‘mbamberambam e ‘o ‘mbamberambì

E alla fine dei conti e dei canti, non c’è scampo: ogni tegola ed ogni regola più passa il tempo più si fa pegola.

Una pegola spessa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte.

Meglio farne poche, condivise e rispettate che farne tante ad uso e consumo dei potenti o di chi ha la fregola di imporre ad altri ciò che a lui non gli va di fare.

Per concludere.
Poche regole sotto il tetto.
Quasi nessuna dentro il letto.
Salvo l’ascolto e il rispetto.
Reciproco.
Il resto, se viene, viene da solo.



Vale anche per i nostri goffi tentativi di cercare norme universali e regole passepartout nel caos della realtà.

“È talmente forte la tentazione di distribuire il mondo intero secondo un unico codice! Una legge universale reggerebbe l’insieme dei fenomeni: due emisferi, cinque continenti, maschile e femminile, animale e vegetale, singolare plurale, destra sinistra, quattro stagioni, cinque sensi, cinque vocali, sette giorni, dodici mesi, ventisei lettere. Purtroppo non funziona, non ha neppure mai cominciato a funzionare, non funzionerà mai.”

Magari voi sarete tra quelli che pensano che ogni deviazione dalla norma vada catalogata solo come un’eccezione alla regola. Ma la verità è che non ci sono regole, solo eccezioni. Noi per comodità raggruppiamo i dati di realtà in categorie dando più risalto alle occorrenze più rilevanti che finiamo per considerare regolari per un mero fattore quantitativo.
Ma la realtà è che

“Não há normas. Todos os homens são excepção a uma regra que não existe.“
(Non ci sono norme. Tutti gli uomini sono eccezioni a una regola che non esiste.)

Personalmente, trovo che tutto questo sia molto connesso con la mia speranza di un trionfo della A. Maiuscola. Ma si può scrivere pure piccola piccola. Un’alfa privativa e liberatoria che ci tolga di dosso il peso della regole e di chi ce le impone.



Poi, se volete, ci mettiamo d’accordo su qualche piccola norma e qualche regoletta che ci possono servire per comunicare e convivere tra noi nel rispetto reciproco e senza azzuffarci continuamente.
Basta che non ci organizziamo solo per mettere in moto un’altra fottuta guerra di invasione o per mettere in atto una colonizzazione, collettiva o individuale, delle menti altrui.
Io, per esempio, non ho nessun interesse a dimostrarvi che ho ragione e, per me, potete pure pensare che ho scritto solo cazzate prive di senno e al di fuori di ogni regola di buon senso o di qualsiasi forma di ragione.
L’importante è continuare a rispettarci al di là di ogni legge o sanzione imposta da qualcuno che risieda al di fuori o, peggio, al di sopra di noi.

E quando dico l’importante mi riferisco a quanto risiede e talvolta affiora al di sopra di ciò che è fondamentale: bere, mangiare, dire, fare e impegnarsi a custodire la continuità della vita.

:.:
.


Cfr. (se vuoi)

Dante, Paradiso, XXXIII, v.145
Dante, Purgatorio, XVI, v.97
Giovenale, Satire, VI, vv.31-32
Roberto De Simone, Tarantella (Oi mamma ca mò vene)
Dante, Inferno, XXI, vv.17-18
George Perec, Pensare/classificare
Fernando Pessoa, fonte incerta, inquieta e irregolare che non ho voglia di verificare o riscontrare


Le Drapeau Noir

26 lunedì Lug 2021

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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anarchia, bandiere

“A flag is a coloured rag”

La bandiera anarchica è nera perché non vuole irretirti con i colori né infinocchiarti con leggende che ti tengono legato ad uno straccio colorato fatto apposta per coprire i loschi interessi dei potenti ed avvolgere i morti ammazzati in sua difesa.
Sudari e tappeti sotto cui si accumulano secoli e secoli di ceneri.

La bandiera anarchica non ha nulla da coprire o da nascondere.
La bandiera anarchica è seria come la morte e mette da parte classi, gerarchie e gradazioni. È una livella, la bandiera anarchica.

La bandiera anarchica è la negazione delle altre bandiere in vista di un mondo più giusto e meno funesto di questo.
La bandiera anarchica è nera perché non si arrende. Sui suoi ponti non sventolano bandiere bianche, stendardi d’oro e vessilli incoronati.

La bandiera nera è nera come il drappo dei pirati senza terra, senza patria e senza bandiera.
La bandiera anarchica è nera come le memoria dei suoi morti.
La bandiera anarchica è nera perché non conosce confini, dazi, semafori e frontiere.

La bandiera anarchica è nera.
Come il buio che attende tempi migliori.

Non lanciate pietre a casaccio!

07 giovedì Gen 2021

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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anarchia

(Appunti sull’uso improprio e impolitico della parola AnArchiA)

L’anarchia non è lo scompiglio, lo schiamazzo, la confusione e il caos con cui l’identificate nei vostri discorsi in cerca di colpevoli o di cose di cui vergognarsi in quanto appartenenti a un gruppo scomposto e disorganico di persone maleducate, incivili o arroganti.

L’anarchia è uno stato della società in cui l’unico governo è la ragione. La sua lotta all’autoritarismo e al potere concentrato nelle mani di pochi rappresenta la massima espressione dell’ordine umano, basato su valori naturali, senza coazione né violenze. Non è disordine, l’anarchia. Non va scambiata con le automobili parcheggiate in terza fila o con l’assenza di regole condivise.
L’anarchia è autogestione, autorganizzazione, autogoverno, antiautoritarismo e senso della responsabilità; non un’accozzaglia di suoni indistinti senza una direzione orchestrale o un minimo di interplay tra gli esecutori.

Un anarchico non piega le regole agli interessi del potente di turno.
Un anarchico non crea il caos per imporre l’uomo forte.
Un anarchico non sfrutta, non opprime e non accetta soprusi.
Un anarchico non occupa lo spazio collettivo e non fa prevalere i propri interessi personali a discapito dell’interesse generale.
Un anarchico non corrompe e non si fa corrompere.
Un anarchico non ha in spregio i beni comuni.
Un anarchico non impone e non si impone.
Un anarchico non vuole convincerti di niente. Vuole solo essere lasciato in pace e non vuole essere  confuso con chi la fa dove gli pare o con chi agisce, per fini personali, contro l’interesse o la libertà altrui. E intanto anela una comunione umana senza padroni, padrini, santi, eroi e imposizioni, un anarchico.

Perché un anarchico è un sognatore, un sognatore che vuole uscire da un incubo lungo migliaia di anni.

Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti, Buenaventura Durruti, Errico Malatesta e, soprattutto, Totò

15 domenica Lug 2018

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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anarchia

Ieri, oltre alla 229esima ricorrenza dalla presa della Bastiglia, era il 97esimo anniversario della proclamazione della condanna a morte di Sacco e Vanzetti e il 122esimo anniversario della nascita del militante anarchico spagnolo Buenaventura Durruti.
Due facce opposte e complementari del movimento anarchico.

Stante alle ultime parole rilasciate ai giudici da Bartolomeo Vanzetti nel 9 aprile del 1927,* i due lavoratori italiani giustiziati negli Stati Uniti sono un esempio di anarchismo nonviolento, almeno quanto il rivoluzionario spagnolo lo era di un insurrezionalismo armato e militante.**
Un po’ come la linea armata e il diritto all’autodifesa proclamato da Malcom X contro la linea pacifista e nonviolenta propugnata da Martin Luther King per affermare negli anni ’60 i diritti civili della popolazione nera statunitense.

Beninteso, qualunque anarchico vuole l’abolizione della violenza e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo come fine, ma una buona parte del movimento accetta la violenza come mezzo (almeno come mezzo usato dallo schiavo per insorgere e liberarsi dalle sue catene, secondo la linea resa popolare da Enrico Malatesta che proponeva un uso della forza proporzionata alla lotta in atto, ovvero una modalità strumentale all’uscita dallo stato di sudditanza e di oppressione e finalizzata all’approdo a una società priva di ogni forma di sopraffazione dell’uomo sull’uomo).

È un problema non di poco conto che personalmente mi sono posto fin da quando, a 18 anni, mi rifiutai di attenermi a un modello allora invalso tra gli obiettori di coscienza per chiedere il servizio civile alternativo a quello militare.***
Nel modello si dichiarava una cosa tipo: “sono obiettore di coscienza perché sono assolutamente contrario all’uso delle armi”. Io, da malatestiano, sostenni che “ero contrario all’uso delle armi imposto da un’entità esterna alla mia coscienza per la risoluzione di conflitti che non mi riguardavano” (sottindentendo, così, la possibilità di un uso personale delle armi per fini estranei a quelli eterodiretti da uno Stato in cui non credevo, fosse pure andarsene in un poligono a mirare a un bersaglio di legno). E la cosa mi creò anche dei problemi.

Oggi, probabilmente, mi sento più vicino al principio dell’assoluta contrarietà all’uso delle armi, ma un paliatone all’oppressore di turno glielo farei volentieri.

Da “Totò e i re di Roma“, film del 1951 diretto da Mario Moniceli e Steno.

______

NOTE:

* Bartolomeo Vanzetti, ultime parole rivolte al giudice Thayer, al pubblico ministero Katzmann e a tutta la giuria il 9 aprile del 1927, pochi mesi prima di finire sulla sedia elettrica insieme con Nicola Sacco:

“[…] Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l’età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.
[… Né] è stato provato che io abbia mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue in tutta la mia vita; non soltanto ho lottato strenuamente contro ogni delitto, ma ho rifiutato io stesso i beni e le glorie della vita, i vantaggi di una buona posizione, perché considero ingiusto lo sfruttamento dell’uomo. Ho rifiutato di mettermi negli affari perché comprendo che essi sono una speculazione ai danni degli altri: non credo che questo sia giusto e perciò mi rifiuto di farlo.
Vorrei dire, dunque, che non soltanto sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse, […] non soltanto ho combattuto tutta la vita per eliminare i delitti, i crimini che la legge ufficiale e la morale ufficiale condannano, ma anche il delitto che la morale ufficiale e la legge ufficiale ammettono e santificano: lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. E se c’è una ragione per cui io sono qui imputato, se c’è una ragione per cui potete condannarmi in pochi minuti, ebbene, la ragione è questa e nessun’altra.
[…] Siamo stati processati in un periodo che è già passato alla storia. Intendo, con questo, un tempo dominato dall’isterismo, dal risentimento e dall’odio contro il popolo delle nostre origini, contro gli stranieri, contro i radicali, e mi sembra — anzi, sono sicuro — che tanto lei che mister Katzmann abbiate fatto tutto ciò che era in vostro potere per eccitare le passioni dei giurati, i pregiudizi dei giurati contro di noi.
[…] Ma la giuria ci aveva odiati fin dal primo momento perché eravamo contro la guerra. La giuria non si rendeva conto che c’è della differenza tra un uomo che è contro la guerra perché ritiene che la guerra sia ingiusta, perché non odia alcun popolo, perché è un cosmopolita, e un uomo invece che è contro la guerra perché è in favore dei nemici, e che perciò si comporta da spia, e commette dei reati nel paese in cui vive allo scopo di favorire i paesi nemici. Noi non siamo uomini di questo genere. Katzmann lo sa molto bene. Katzmann sa che siamo contro la guerra perché non crediamo negli scopi per cui si proclama che la guerra va fatta. Noi crediamo che la guerra sia ingiusta e ne siamo sempre più convinti dopo dieci anni che scontiamo — giorno per giorno — le conseguenze e i risultati dell’ultimo conflitto. Noi siamo più convinti di prima che la guerra sia ingiusta, e siamo contro di essa ancor più di prima. Io sarei contento di essere condannato al patibolo, se potessi dire all’umanità: «State in guardia. Tutto ciò che vi hanno detto, tutto ciò che vi hanno promesso era una menzogna, era un’illusione, era un inganno, era una frode, era un delitto. Vi hanno promesso la libertà. Dov’è la libertà?
Vi hanno promesso la prosperità. Dov’è la prosperità? Dal giorno in cui sono entrato a Charlestown, sfortunatamente la popolazione del carcere è raddoppiata di numero. Dov’è l’elevazione morale che la guerra avrebbe dato al mondo? Dov’è il progresso spirituale che avremmo raggiunto in seguito alla guerra? Dov’è la sicurezza di vita, la sicurezza delle cose che possediamo per le nostre necessità? Dov’è il rispetto per la vita umana? Dove sono il rispetto e l’ammirazione per la dignità e la bontà della natura umana? Mai come oggi, prima della guerra, si sono avuti tanti delitti, tanta corruzione, tanta degenerazione.
[…] Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla piú miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un’altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di piú per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.
Ho finito. Grazie.”

______

** Bisogna, tuttavia, aggiungere che vari studi mostrano Sacco e Vanzetti come due militanti anarchici integrati nei gruppi armati attivi negli anni ’20 negli Stati Uniti. Si veda, per esempio, questo articolo:

http://www.umanitanova.org/2015/03/25/ribelli-in-paradiso-sacco-vanzetti-e-il-movimento-anarchico-negli-stati-unit/

Ma questo nulla toglie al contenuto pacifista dell’arringa qui sopra riportata e degna del finale del “Monsieur Verdoux” di Chaplin (1947).

_______

*** Ovviamente gli anarchici duri e puri preferivano il carcere piuttosto che sottostare al compromesso di espletare un servizio civile alternativo al servizio militare, ma la durezza e, soprattutto, la purezza non hanno mai fatto al mio caso. Ho sempre preferito un margine di dubbio alle certezze assolute e ai dogmi imposti da autorità indiscutibili. Credo che questo mi preservi da ogni forma di terrorismo e di imposizione del proprio punto di vista sugli altri.

_____

Cosa vuol dire essere di sinistra

08 sabato Apr 2017

Posted by aitanblog in versiculos, vita civile

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Tag

anarchia, sinistra

Porca miseria, caro Sancho,
cambiare il mondo

non è né follia né utopia; 
è giustizia!

(Don Chisciotte apocrifo)

Per me essere di sinistra vuol dire credere nell’uguaglianza sostanziale di tutti gli esseri umani e, credendoci, battersi per raggiungere la giustizia sociale e la redistribuzione del reddito dentro e fuori dal proprio paese. Per me essere di sinistra vuol dire essere dalla parte di Sandokan (quello di Mompracem, più che quello di Casale) e unirsi nella lotta contro gli oppressori di ogni ideologia, credo, longitudine e latitudine.
Per me chi è veramente di sinistra si sente scomodo anche quando sta comodamente sprofondato nella propria poltrona, finché sa che qualcuno non ha nemmeno uno sgabello su cui sedersi e un tetto per proteggersi dalla pioggia e dal sole.

Per me essere di sinistra vuol dire non avere paura dei cambiamenti ed essere disposti a combattere con tutte le proprie forze (va be’, si fa per dire) contro la predominanza del capitale sull’uomo. Per me essere di sinistra vuol dire arrabbiarsi per come va il mondo e provare ribrezzo per la sinistra annacquata degli aperitivi e dei cazzi propri e per i compagni che gestiscono la cosa pubblica come una casa privata in cui si affamano le puttane con stipendi da fame.

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Per me essere di sinistra vuol dire incazzarsi quando si sente dire che non esistono più la destra e la sinistra, perché, finché ci sarà ingiustizia e oppressione, ci sarà esigenza di una visione della realtà che preveda un cambiamento dell’esistente e l’annullamento dei soprusi, delle sperequazioni e dell’alienazione economica.

Per me essere di sinistra vuol dire incamminarsi verso la realizzazione dell’eutopia dell’anarchia e il raggiungimento di uno stato di assenza del dominio dell’uomo sull’uomo.



In appendice, qualche verso da una cosetta che ho scritto qualche anno fa e si chiamava Comunista come l’acqua che scorre da tutti i rubinetti.

Forse, Saramago, sono comunista anch’io,
perché vorrei che l’acqua potesse arrivare
a tutte le case
e sgorgare limpida e buona da bere
così come è,
senza filtri, additivi e infingimenti.

Forse sono comunista anch’io,
perché non vorrei più vederla imbottigliata
in assurdi contenitori di plastica ed etichettata
con improbabili specchietti per gli allocchi.

[…]

Forse, Saramago, sono comunista anch’io,
perché non vorrei più vedere camion di bottiglie
scorrazzare per il paese da nord a sud e da sud a nord
e quintali e quintali di plastica che invadono le strade
nell’attesa di un riciclo che non si può fermare.

Forse sono comunista anch’io,
e brindo alla tua salute con un altro sorso
di rosso buono bevuto direttamente
dalla bottiglia di vetro riciclato e puro
che passo al compagno
che mi siede accanto
per allargare il giro

(perché l’allegria è un bene
che più lo condividi,
più si moltiplica
e ti ritorna
grato)
…
..
.

DE-FINITO

21 lunedì Mar 2016

Posted by aitanblog in recensioni, versiculos

≈ 6 commenti

Tag

anarchia, anarchici, ferré, galeano, gloria fuertes, leo ferré, leopardi, poeti, versiculos

È tutto così complicato

che credo che

ci potremo salvare

solo su un silenzioso colle

o in riva al mare

con gli occhi rivolti

verso un orizzonte

dove sarà più dolce

naufragare.

 

(In questi versi

– se così si può dire –

c’è Leopardi, sì,

ma anche Galeano

e Gaetano,

e questa parentesi

si deve in buona parte

a Gloria Fuertes,

che forse non lo sai,

ma esiste,

come gli anarchici.)

 

(Manca un riferimento

o una nota al margine

nella penultima strofa

dopo l’ultimo verso

e un santo,

un senso

e un dio

nell’universo.

Ma qui si continua

ugualmente

a scrivere testi

con insistiti a capo

cercando

l’infinito

in un bicchiere

di un internet caffè

o su un ermo colle che non c’è.)

 

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

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