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((( aitanblog )))

~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Cambiamento

01 domenica Gen 2023

Posted by aitanblog in da lontano, immagini, riflessioni

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Anno Nuovo, cambiamento, eraclito, ricorsività

anno nuovo, vite vecchie

Sono anni che vado ripetendo in giro ad ogni fine e ad ogni principio che il nuovo anno sarà veramente nuovo se sapremo rinnovarci, se sapremo rinnovarlo; che bisogna cambiare il sistema, non il calendario; che le cose non possono andare meglio se ripercorriamo sempre gli stessi passi.
Il tempo è un flusso continuo che noi cadenziamo sugli orologi, sulle agende e sui calendari. Le cose non cambiano al ritmo della nostra scansione del flusso temporale.
Dobbiamo essere nuovi noi, non l’anno.

Perché, in fondo, ognuno di noi è ciò che fa per cambiarsi, per diventare altro. Non esiste e non può esistere un sé statico, immobile e immutabile. Siamo la pioggia che scorre sulla nostra pelle e il modo in cui ce la lasciamo cadere addosso o ci proteggiamo dalle gocce. Siamo la voglia che ci spinge a distruggerci e costruirci. Siamo il vento che leviga le nostre rughe e le creme che mettiamo o non mettiamo sul viso per cercare di arrestare i segni del tempo e le aggressioni degli specchi. Somos las gotas del río de Heráclito. Siamo la capacità di adattarci all’ambiente ed alle circostanze che ci girano intorno; ma anche la tensione ad adattare a noi circostanze e ambienti. Dovremmo capirlo, una buona volta, che non è possibile trasformare il mondo senza trasformare noi stessi, senza cambiare almeno una scheggia della nostra propria realtà; dovremmo capirlo, finalmente, che ogni nostro minuscolo cambiamento si riverbera nella stanza, nei vicoli della città, per le strade del paese e su tutta la terra!
Siamo l’attimo in cui viviamo e quello che vivremo l’attimo dopo.

Somos lo que hacemos para cambiar lo que somos. (Eduardo Galeano)

Siamo quello che facciamo per cambiare quello che siamo.

Siamo il nostro cambiamento.

Siamo niente e siamo evento.


Cfr.

Siamo le gocce del fiume di Eraclito

1 ottobre 2007




E questo è un ignobile video-spot di un lustro fa che ripete più o meno le stesse cose che vado dicendo da anni e ho ripetuto qua.



Mi ripeto, dico sempre le stesse cose e ripeto le mie ripetizioni, predicando il cambiamento che non c’è.

E intanto, ad ogni anno nuovo, la mia vita si fa più vecchia e mi resta meno tempo.
Questo è sicuro.

Toccata e fuga (verso l’altro capo)

29 giovedì Set 2022

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, texticulos

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cambiamento, fondo, scavi

Ora che abbiamo toccato il fondo, ci resta solo da scavare per vedere se c’è una via d’uscita dall’altro capo del mondo.

(Sperando che non ci inseguano per colonizzare anche il mondo nuovo; se ancora ve ne fossero di terre vergini da sverginare, insozzare e inquinare a più non posso inseguendo un sogno dentro un fosso che sembra essere l’unica scappatoia, l’ultima via di fuga. Altrimenti bisognerà volgere lo sguardo verso lo spazio infinito. Miriadi di pianeti da occupare, riadattare a misura d’uomo e riempire di residui, resti, rifiuti e scarichi umani.)



Finché non ci estinguiamo, non vedo limiti per l’ingordigia umana e la straordinaria capacità di scavare tra le macerie da lei stessa create.

Cambiamenti diffusi e cambiamenti percepiti

02 mercoledì Gen 2019

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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cambiamento

Come sei cambiato, mondo,
da che s’andava in bici
insieme con gli amici
in fila o in girotondo.

Come sei cambiata, terra,
dai tempi in cui i semi
non eran fatti in serra
con artefatti sistemi
di chimica e di guerra.

Come sei cambiata, vita,
da che tengo incollato
su uno schermo fatato
occhi, cervello e dita.

Come sei cambiata, amore,
da quando venivi a letto
con gioia e per diletto
senza noia o dolore
giù tra le cosce e il cuore.

Come sei cambiato uccello
da che eri fresco e bello…
e… che ne parliamo a fare?

Esortazione di un tribuno di ieri, oggi e domani

14 mercoledì Mar 2018

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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cambiamento, cultura

Volete cambiare. Volete cambiare maestri, volete cambiare tunica e cambiare la vostra posizione nel mondo. Volete cambiare. Volete cambiare casa, cambiare marito, cambiare moglie, cambiarvi d’abito e cambiare il mondo.
Volete cambiare, ma dentro di voi restate sempre uguali.
Per Giove, non vedete che guardate sempre con gli stessi occhi e attraverso gli stessi cristalli di vetro?
Dovete attrezzarvi e cominciare a rafforzare le vostre conoscenze e la vostra capacità di lettura, se volete davvero avere la possibilità di interpretare, agire e trasformare la realtà che vi ribolle dentro e vi gira intorno. Dovete dedicarvi anima e corpo allo studio ed all’analisi e non potete lesinare tempo, se volete davvero cambiarvi e cambiare il mondo.
La realtà è mutevole; non la si può racchiudere in quattro parole. La realtà è complessa, non si lascia minimamente afferrare da chi si basa su scarsi dati di conoscenza e da coloro che non mettono tutte le loro energie nello scopo. La realtà è ambigua e sfuggente, non si lascia sedurre, penetrare e trasformare dai pigri e dagli incompetenti che non si impegnano a capire, a scandagliare e a discernere il grano dal loglio.

Un popolo povero di parole è un popolo manipolabile. Se davvero volete essere donne e uomini liberi, dovete prima di tutto liberarvi dalla vostra ignoranza e cominciare a pensare in modo critico e autonomo. Non diffondete il pensiero altrui senza prima rifletterlo in voi stessi e farlo vostro. Non sottraetevi alle possibilità di formarvi e rafforzare la vostra cultura. La cultura è un’arma, un’arma che lasciamo nelle mani di chi ci manipola e ci sfrutta col nostro placido consenso.

La cultura è un'arma by Aitan Vergara

Vuo’ cagna’ casa e vuo’ cagna’ tutte cose

30 sabato Dic 2017

Posted by aitanblog in idiomatica, versiculos

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cambiamento

Vuo’ cagna’ casa
Vuo’ cagna’ cose
E nun capisce
Che ‘e cagna’ capa
…’E cagna’ core…

“Guaglio’,
Cca s’anna
Cagna’ ‘e cose
Amma  arriva’
Senza pensiere
‘A fine ‘o mese!”

E’ sempe
‘O stesso
Taluorno
Me dice
Tutte ‘e juorne
‘A stessa cosa

Vuo’ cagna’ vase
Vuo’ cagna’ spose
Vuo’ leva’
Cicere e pisielle
Pe pianta’
Cerase e rrose

Vuo’ cagna’ casa
Vuo’ cagna’ spesa
Vuo’ leva’
‘E panne spase
E ‘i lenzole stese
E sta senza pensiere
Tutto ‘o mese.

Vuo’ cagna’ casa
Vuo’ cagna’ chiesa
Nun te fide
‘E vede’ cchiu
Chi esce e trase
E te ne vuo’ ‘i
Pe sempe
Luntane
A Napule
E fore paese

Vuo’ cagna’ casa
Vuo’ cagna’ cose
Te vuo’ pitta’
L’ogne, ‘e capille
E ‘a messa ‘nfosa

Vuo’ cagna’ casa
Vuo’ cagna’ cose
Ma nun capisce
Che ‘e cagna’ capa
Panza e core
Si vuo’ cagna’
Veramente
Tutte cose…

Le Gocce di Eraclito – Piccolo Spot sul Cambiamento

24 mercoledì Mag 2017

Posted by aitanblog in musiche, riflessioni

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cambiamento, eraclito, video

In fondo, ognuno di noi è ciò che fa per cambiarsi, per diventare altro.

Siamo la pioggia che scorre sulla nostra pelle e il modo in cui ce la lasciamo cadere addosso o ci proteggiamo dalle gocce.

Somos las gotas del río de Heráclito.

Siamo l’attimo in cui viviamo e quello che vivremo l’attimo dopo.

Somos lo que hacemos para cambiar lo que somos.

Siamo quello che facciamo per cambiare quello che siamo.

L’identità non è un pezzo da museo esposto tutto tranquillo in vetrina, ma la straordinaria sintesi delle nostre contraddizioni di ogni giorno.

Senza contrari non c’è vita, non c’è continuazione e si perdono i contorni del senso.

Quando lottiamo per cambiare il mondo, dimentichiamo che siamo parte del mondo che vogliamo cambiare, ed è proprio da noi stessi che dovremmo cominciare.

L’ultimo sorso

13 sabato Ago 2016

Posted by aitanblog in immagini, stefania, versiculos

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cambiamento, compleanno, foto, invecchiare, morte, noia, stefania, vino

Invecchiare
è l’unico antidoto
contro la morte.
E io voglio bere
tutto il bicchiere,
senza che mai mi manchi
la voglia di sorseggiare
e tracannare
un altro calice,
un’altra coppa
e un altro boccale.

Un lungo sorso
che non dia
tempo al tempo
di diventare noia,
di vedermi stanco
e senza sete,
di diventare trappola,
di vedermi abbattuto
e senza mete,
di diventare rete
o farmi quiete
nella quiete.

La foto me l’ha scattata ieri mia figlia, 5 anni a dicembre.

Una donna austera dello scorso millennio

08 lunedì Feb 2016

Posted by aitanblog in da lontano, immagini, vita civile

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cambiamento, campagna, canapa, donne, immagini, lavoro, storie

Storie di canapa e di cambiamenti

La mia bisnonna, madre del mio nonno paterno, la chiamavano ‘A principale, ma il suo nome era Orsola, Orsola Farina, un nome che mi ha sempre fatto pensare al freddo polare e agli orsi bianchi. Era una signora pratica, donna Orsola, una femmina concreta, tutta dedita alla famiglia e al lavoro; una donna temutissima dai braccianti e dalle “pettinatrici” che lavoravano nella sua azienda e forse anche da molti dei suoi e miei parenti più prossimi e lontani.
Una dissacrante versione familiare vuole che il mito della sua incredibile capacità di tenere sotto controllo i dipendenti della sua azienda fosse dovuto al fatto che il marito, disertore, si nascondesse tra le balle di canapa e cogliesse l’occasione per spiare i lavoranti, per poi riportare alla moglie notizie di quelli che rubavano, gozzovigliavano, rallentavano la produzione, sprecavano i materiali o mal lavoravano. Ma è probabile che queste siano solo ricostruzioni leggendarie e irriverenti. Quello che è certo è che la canapa era il fulcro della sua vita e la materia prima su cui si sosteneva gran parte dell’economia frattese fino alla prima metà del ‘900.
Sarà stato per questo che donna Orsola volle farsi ritrarre tra le balle di canapa come una delle lavoranti della sua azienda, ma con lo sguardo dritto di chi è abituato a comandare e non si fa intimidire da nessuno, nemmeno da quel pittore venuto da chissà dove.

image

“Ritratto di Orsola Farina detta ‘A Principale” di Luigi Avitabile, 1939 -olio su tela, 100x110cm.

Io l’ho conosciuta, la bisnonna, quando già la sua mente vacillava. Il donnone che un paio di decenni prima faceva tremare chiunque incrociasse il suo sguardo si era trasformato in una stramba vecchina che faceva ridere nipoti e bisnipoti e suscitava tristezza e sconforto in tutti quelli che intravedevano in lei i segni della loro stessa decadenza.
Erano arrivati gli anni ’70, la canapa era stata sostituita da più economiche e meno lavorate fibre sintetiche; Donna Orsola aveva cominciato a vivere in un appartamentino piccolo borghese, l’azienda aveva chiuso da anni e il patrimonio si era esaurito ancora prima. Lei, però, credeva di abitare ancora nel suo “palazzo” padronale che intanto era diventato un condominio di 46 appartamenti e non so quanti negozi: vedeva noi bambini scorrazzare giù al cortile e gridava che le galline erano scappate dal pollaio e giravano in bici; andava dal dentista e voleva pagare in centesimi di lira; tagliava, lavava e stendeva ad asciugare i polsini della vestaglia per non sprecare soldi, tempo e acqua a lavare tutta una vestaglia macchiata solo su un polsino; scambiava le barbe di mio padre e di mio zio Gennaro per dei missionari della comunità del nipote Mario, per il quale lei, sempre così attenta al valore del denaro, era disposta ad elargire un obolo destinato ai poveri della Birmania o di altri paesi sconosciuti e lontani. Ma il ricordo più vivido che ho della bisnonna Orsola risale a quando mi nascondevo sotto il suo letto coi miei cugini e la vedevo parlare allo specchio con il suo riflesso: pensava di comunicare con la sorella e finiva sempre per irritarsi quando, d’improvviso, quel vecchio corpo piegato dagli anni spariva dietro l’anta dell’armadio.

image

Col tempo, sai, tutto passa e se ne va: le schiene si curvano, le menti si affievoliscono, gli edifici crollano e i ricordi si nascondono ai bordi degli specchi. Ma a volte ritornano con forza momenti del passato ed anche usi, modi e tradizioni che sembravano destinati a definitiva sparizione. Non si muove su una linea retta la storia; piuttosto segue percorsi a zig zag, spirali, parabole e curve che si richiudono su se stesse.
Ora, pare che anche la produzione e la trasformazione della canapa possano avere una nuova vita qui a Frattamaggiore, in questo territorio avvallato tra Napoli e Caserta, nelle stesse zone in cui erano impegnati a lavorarla e venderla donna Orsola e le donne e gli uomini che erano alle sue dipendenze.
Per come la vedo io, sarebbe molto bello assistere a questa rinascita della tradizione canapiera locale, ma con condizioni e contratti di lavoro da terzo millennio e senza l’occhio severo della Principale affacciata al balcone a guardare le galline scorrazzare in bici o ritratta con le mani intente a intrecciare la canapa che era stata lavorata da qualcun altro.

Campagna, campagna,
comme è bella ‘a campagna,

Ma è cchiù bella p’o padrone
ca se regne ‘e sacche d’oro
e ‘a padrona sua signora
ca si ‘ngrassa sempre cchiù
ma chi zappa chesta terra
pe’ nu muorz’ ‘e pane niro
ca ‘a campagna s’arritrova
d’acqua strutt’ e culo rutto

[…]

Campagna, campagna
comme è bella ‘a campagna

è cchiù bella p’e figlie
do padrone da terra
ca ce vene sulamente
cu ll’amice a pazzià,
ma po’ figlio do bracciante
‘a campagna è n’ata cosa
‘a campagna è sulamente
rine rutt’ e niente cchiù.

Campagna, campagna,
comme è bella ‘a campagna.

Sono versi di Franco Del Prete, un altro frattese, cantati dai Napoli Centrale in un memorabile disco del ’75 che ascoltavo da ragazzino dal jukebox del bar del mio nonno materno, dove Franco, da ragazzino, aveva lavorato. Ma questa è un’altra ed è la stessa storia di paese, di provincia e di periferia.

Nell’ora della digestione

17 domenica Gen 2016

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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cambiamento, economia, galeano, storia, vita civile

Considerazioni internazionali nell’ora della digestione, dopo aver mangiato un hamburger cinese e peperoni della terra dei fuochi ascoltando un tiggì pieno di schermaglie occidentali e pseudoscontri di inciviltà.

Dopo lo scandalo Volkswagen, lo scandalo Renault. Ma se ne è parlato molto meno. I primi della classe tedeschi, sempre così precisi e pieni della loro ostentata etica protestante ed ecologista, sono più antipatici.
I risultati, però, sono gli stessi: i fabbricanti di automobili ci inquinano e ci prendono per il culo. Una volta si sarebbe parlato della spietatezza del capitalismo che ci inganna e fa delle nostre vite carne da macello. E si sarebbe colpito nel segno, una volta. Oggi si preferisce fare le guerre etniche e dare la colpa al vicino o a chi viene da lontano.
Intanto il prezzo del petrolio è sceso dai 100 ai 30 euro al barile (anche se al distributore s’è risparmiato solo qualche centesimo di euro).
Le auto, soprattutto le auto alimentate con benzina e gasolio, hanno fatto il loro tempo e il petrolio perde ogni giorno la sua centralità nell’economia mondiale. Ma facciamo come se niente fosse e fingiamo che il mondo sia ancora quello che era. Per resistere a un cambiamento che è ormai nelle cose, a Occidente le fabbriche si fanno la guerra a colpi di disonestà a carico dei clienti e dei pedoni privi di mascherina, a Oriente sia sunniti e sciiti che sunniti e sunniti si fanno la guerra per il potere e per il petrolio, mentre la povera gente continua a impoverirsi o fugge dalle distruzioni e dai conflitti. Noi, però, guardiamo dall’altra parte e preferiamo parlare di popoli ostili e scontri di religione e di civiltà e, parlando parlando e straparlando, alimentiamo l’odio e lo scontro; lo rendiamo reale.
Non ce ne accorgiamo, o fingiamo di non accorgercene, che è tutto questo modello di civiltà fondato sulla finanza e sull’oro nero che sta crollando. Meglio rispondere fondamentalisticamente al fondamentalismo imperante e continuare a scorrazzare con le nostre auto (quando non siamo fermi a imprecare contro il traffico) e a ballare in salotti riscaldati a gas o a petrolio, mentre il Titanic del capitalismo affonda. Perfino in Cina. E così la sentiamo più vicina, la Cina.

Non ho soluzioni. Ma molti segni mi dicono che solo tante persone che una alla volta cambiano il proprio modello di vita possono cambiare il mondo. Con scelte consapevoli e capacità di dialogo. Tante persone libere, capaci di muoversi senza frontiere e lasciandosi contaminare dalle cose buone giuste e belle delle culture altrui. Persone capaci di contagiare positivamente altre persone e di andare a piedi verso un mondo nuovo. Lo so che sembra ingenuo e fottutamente ottimistico parlare di mondo nuovo dall’epicentro della crisi, ma mi sembra anche più ingenuo ed esiziale l’atteggiamento di chi legge tutto nell’ottica delle guerre tra i buoni e i cattivi e arrivano_i_nostri e sia_maledetto_l’infedele_e_la_quinta_colonna_che_lo_difende.

Dopo lo scandalo Renault, lo scandalo Volkswagen, poi magari toccherà alla Fiat Chrysler o alla Rover inglese. Ma non è questo il punto. Si tratta di vedere oltre le fabbrichette e il petrolio che le alimenta. Secondo me.

“Mucha gente pequeña, en lugares pequeños, haciendo cosas pequeñas, puede cambiar el mundo” ha scritto da qualche parte Eduardo Galeano con la forza incisiva della sua capacità di sintesi.

(Ok, ora prendo la mia auto a benzina e vado a passare la santa domenica in un centro commerciale che sta ad Afragola, ma potrebbe stare uguale in Alabama, ad Ankara o in Angola. Sperando che a nessuno venga in mente di lasciarsi scoppiare tra la folla e che un rom, un sinti o un tossico di paese non mi scassi il finestrino in cerca di pane, di telefonini o di monete.)

Spostamenti  

02 giovedì Set 2010

Posted by aitanblog in riflessioni

≈ 20 commenti

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cambiamento

Le cose stanno lì e lì restano, a meno che non le sposti tu o ti fermi ad aspettare qualcun altro, e qualcun altro prima o poi viene e le sposta veramente, le tue cose; quando meno te lo aspetti. Tanto vale, allora, che ti metti tu a cambiare l’ordine dei mobili (che sono mobili proprio perché sono fatti perché tu li muova) e a spostare i tuoi appuntamenti e i quaderni che ti coprono il tavolo al punto che non ricordi nemmeno più se era di legno, di plastica o vetro, il ripiano di questa vecchia scrivania che prendesti a casa di tua zia o tra la roba accantonata per la via. La verità è che non ti ricordi neanche più da dove viene lei e da dove vieni tu. Perché anche nei ricordi tutto si muove ed è impossibile mettere a fuoco la tua memoria per distinguere certi dettagli che a volte ti sembrano più importanti delle figure che affiorano non sai da dove e si mettono prepotentemente in primo piano e poi di nuovo sfocano, sfumano, ritornano visibili come e quando gli pare.

La verità è che ci sono cose, fuori e dentro dalla tua memoria, che sembrano muoversi da sole, anche quando sai che ci deve essere sicuramente una forza dietro che le sposta involontariamente o apposta per farti impazzire e scrivere periodi ingarbugliati e contraddittorii.

Càpita così, o più o meno così, anche alla penna che scorre adesso sul foglio e alle parole che si vanno formando man mano che lei, la mia penna, si muove da destra a sinistra, da destra a sinistra e dall’alto verso il basso; ché se fossi arabo o giapponese le cose starebbero diversamente o per lo meno sarebbe diverso il senso del movimento della mia mano (e della relativa penna) su questo foglio, che in fondo ci faceva più una bella figura a restarsene bianco come Fabriano o chi per lui l’aveva fatto, il foglio, dico. Ad ogni buon conto, io non scrivo nell’Oriente medio, e nemmeno in quello vicino o in quello lontano ed estremo; io scrivo qui e ora, e ora e qui mi fermo perché altro di sensato da dire non ho e le cose che li stavano lì resteranno anche dopo tutto questo mio inutile papiello. Mannaggia ‘a morte, o male ‘e diente e chesta notte senza viento e senza niente!

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