Alla fine la faremo infelice e spietata la decrescita. E continuerà a prevalere la legge della giungla.
Ve lo avevo detto un sacco di tempo fa che eravamo arrivati al punto in cui era più facile imparare a vivere nella crisi che sforzarsi di uscirne. Ma non mi avete voluto sentire (forse non mi avete nemmeno creduto) e vi siete sbattuti inutilmente per cercare soluzioni che non erano (e non sono) alla vostra portata. Vi siete messi le vostre cuffiette alle orecchie e vi siete messi a correre. Poi, tutti sudati, siete rientrati a casa e avete cominciato a progettare, a pianificare, a chiedere aiuti esterni e interni. Vi siete messi a sognare e a rimpiangere. Vi siete messi a sperare un mondo migliore e sempre più ricco, perfino. Ma basta una pioggia, un temporale estivo, una siccità, una pandemia, una guerra fuori porta… e vanno all’aria tutti i piani.
E alla fin fine la faremo infelice, spietata e coattiva, la decrescita.
– Questa mi pare solo l’inizio della crisi. Una crisi grande, enorme, epocale. Non solo una crisi economica… di produzione e di mercato; ma una crisi di senso, una crisi enorme, immensa, che ci porterà a ripensare i modi in cui portiamo avanti le nostre esistenze e gli obiettivi che ci prefiggiamo nelle nostre brevi vite.
– Eh, dici bene. Brevi. Perciò bevi, bevi e non ci pensare. Noi il nostro lo abbiamo fatto. Mo tocca a loro. Brevi, bevi, brevi bevi…
– Madonna, stai già mezzo ‘mbriaco. E poi che parli a fare delle nuove generazioni? Credi che questo mi faccia stare meglio? Se proprio vuoi saperlo a me proprio questo mi spaventa e mi sconvolge. Non so che razza di vita stiamo preparando per i nostri figli e per i figli dei figli dei nostri figli. Ma, che ne so?, magari dalle ceneri verrà fuori…
– I nostri figli, i figli dei figli dei figli dei figli dei figli… Ma dai brevi brevi e non ci pensare. E attento alla cenere.
– Ma guarda che se parlo di tutti questi fatti, quando vengo qua, è perché durante il giorno le mie preoccupazioni personali mi tengono troppo impegnato. Parlare dei mali del mondo mi distrae dai miei mali personali. Per un po’ li vedo perfino rimpiccioliti.
– Si fa ancora tuo figlio?
– Sì, si fa si fa. E ora mia nipote si ruba la sua roba e a casa mia ogni giorno è un putiferio.
– Mi dispiace.
– Eh, dispiace più a ‘mme. Loro pure cercavano un senso. Pensavano di averlo trovato, magari… Mo cercano solo la roba e si trascinano verso un’altra dose. Sono disposti a tutto per farsi. Il resto non importa. Va be’, non fare questa faccia, ora. Non ci pensare. Beviamocene un paio alla nostra salute e alla faccia di chi ci vuole male.
– E già. Beviamo beviamo, che la vita è breve…
– E pure la bottiglia. Prendine un’altra e davvero non ci pensare. Ja’, nun ce pensa’. Tanto pure questo finirà.
– Tutto finirà. Tutto finirà. Finirà tutto. Con un fremito o un rutto. Come se niente fosse. È inutile sbattersi. Il senso forse è tutto qua. In queste nostre chiacchiere davanti a un bicchiere.
– Sì. Beviamone un’altra, che la prima l’hai bevuta tutta tu. E fottiamo la crisi.
– Sì, sì. Fottiamo la crisi e non pensiamo al resto. Tanto lo stesso finirà tutto, finirà tutto.
– Già già. Con un fremito…
– O con un rutto. Stop!
– Un momento, un momento solo, e sarà tutto finito.
– Sì, sarà finito tutto. Come quest’altra bottiglia.
– Come quest’altra bottiglia. E mo fammi bere. Se no finisce che io parlo e tu bevi. Ho la gola secca e sono molto stanco.
– Cameriere, un’altra di quello rosso. Che qua siamo in crisi…
– Non provo più niente per te. – Io, invece, è da tanto che ti schifo. – Ma perché continuiamo a stare insieme, allora? – Per estinguere il mutuo. – Ah, già, il mutuo. – Meno male che non abbiamo figli. – E già. Meno male. Pensa se uscivano belli come me e intelligenti come te. – Vuoi dire brutti come te e stronzi come me… – Sì, sì, va be’, è lo stesso. – Ecco, per te è sempre tutto lo stesso. – Sì, tutto è lo stesso, in fin dei conti. E pure al principio. – Ma al principio di che? – Dei conti, dei conti… – …!? – Va be’, non hai capito. – E spiegati meglio. – No, dai, lascia perdere, era solo una sciocchezza, una stronzata di poco conto… – … – Comunque, per me è lo stesso se resti o se vai. Ma estinguiamolo prima, questo mutuo. Poi tireremo a sorte chi resta qua e chi se ne va. – Io preferirei restare, in verità. – Anch’io preferirei restare. – … – … – Allora restiamo. – Ok, restiamo. – E continuiamo a ignorarci. – Sì, continuiamo… – Io, comunque, non provo più niente per te. – Io, invece, è da tanto che ti schifo. – Ah, ecco, su questo andiamo d’accordo. Anch’io ti schifo. E schifo anche me stessa con tutta me stessa… – Sì, sì, è una cosa reciproca. Mi schifo anch’io, infatti. E schifo te. – … – … – Forse non è che a un dato momento il nostro rapporto si sia logorato. Forse è sempre stato così tra di noi. – Forse va sempre così con tutti. – E già, l’amore è l’incontro di due patologie che si mettono insieme e pagano il mutuo. – Già, già, il mutuo. – Il mutuo.
Divagazioni critiche da Papa Francesco a Petrolini Ettore. Una cosa di sinistra.
Era di marzo. Cominciavano le chiusure e la diffusione delle paure. Si era nel pieno dell’infodemia e della pandemia. Il papa ci ricordò che siamo tutti sulla stessa barca, “fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”. Nel mio piccolo, a quei tempi, qualcosa del genere stavo già provando a dirla anch’io. Provo a riproporvela, provo a ripeterla…
Se dobbiamo sacrificarci, dobbiamo sacrificarci tutti. Ad ognuno secondo il suo portafogli e le sue capacità. E penso che sia anche il caso di rivedere l’ordine di priorità delle spese pubbliche.
Insomma, qualora si realizzasse una seria patrimoniale e un taglio alle spese militari io, da statale, metterei la firma per aggiungere un fondo di mutuo soccorso di un paio d’anni da prelevare dal mio stipendio, al fine di dare un concreto sostegno alle categorie più danneggiate dalle chiusure, dalle limitazioni, dagli isolamenti e dai coprifuoco. Ma la vedo difficile. Sarebbero misure autenticamente di sinistra. A limite verrà realizzata in modo coattivo solo la terza che ho detto. Pagheremo solo e sempre noi delle classi medie insieme con coloro che hanno sempre pagato…
Lo diceva pure un secolo fa Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono tanti.”
L’impressione è che a Nord non abbiano saputo e, (ai livelli più alti dell’economia e della politica) non abbiano nemmeno voluto, frenare a tempo debito il treno in corsa. L’impressione è che si siano fermati solo quando i primi vagoni sono precipitati nell’abisso, e ora rischiano di trascinarsi dietro anche gli altri; pure se il treno è fermo ma ancora palpitante. L’impressione è che molti dei caduti di Bergamo, Brescia, Mantova, Milano e di tutto il Lombardo-Veneto siano stati vittime di una meccanismo produttivo che non si è fermato nemmeno quando l’hanno messo di fronte alle prospettive più tragiche; che si stanno tragicamente inverando.
La macchina del denaro ora si lecca le ferite, ma già pensa a come sfruttare il momento e i liberisti, che ora, nel pieno della bufera, chiedono gli aiuti dello Stato e l’intervento dell’Europa, domani, quando tornerà il sole, continueranno a pretendere che le volpi sguazzino libere nei liberi pollai. Chiederanno più privatizzazioni nella sanità, più tagli ai servizi pubblici e sistemi di tassazione agevolata per le imprese produttive. Continueranno a farci credere che la nostra felicità dipenderà dalla crescita del PIL e dalla salute delle loro imprese e ci renderanno ancora più vulnerabili e manipolabili.
Tutta questa tragedia sarà archiviata come un mero incidente di percorso e tutto tornerà come prima, ma con i cimiteri più pieni, i cantieri più liberi e iperattivi, i poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi e la classe media in balia del vento. E la colpa del contagio sarà scaricata sul sistema alimentare cinese, su quelli che passeggiavano nei parchi e su chi faceva jogging da solo alle 6 del mattino.
Non mi sento granché
Mi gira la testa
Ho un groppo alla gola
Perdo l’equilibrio
Sento un groviglio
nella pancia
e tra i pensieri
Mi affligge l’Africa
Mi pesa la Cina
Mi pesa la Russia
Mi addolora la Siria
Mi preoccupano
l’Afghanistan
l’Ungheria
e l’Albania
Mi manca l’ossigeno
Mi brucia l’Amazzonia
Mi fanno male
gli Stati Uniti d’America
il Regno Unito
la Francia
la Germania
e la Turchia
E me ffa vuta’ ‘o stommaco
chello ca veco ogni juorno
int’ ‘a casa mia