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((( aitanblog )))

~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Archivi tag: decrescita

Luci di Las Vegas

07 mercoledì Set 2022

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, versiculos, vita civile

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Tag

De Gasperi, decrescita, illuminazione, luci, risparmio energetico

Illuminazioni in riva al mare

Il lucchichio intermittente
dei raggi sulle onde
Il sole che entra
attraverso le fenditure
delle persiane
e fa disegni di luce sui muri
La luna che si rifrange
nel mare in mille riflessi
cullati dalle acque

Gli uomini conoscevano
Las Vegas
prima della scoperta
delle Americhe
e dell’invenzione
dell’elettricità
Ma forse ancora
non lo sapevano
che dove c’è troppa luce
le ombre diventano più scure



________

In appendice, un aneddoto in forma di apologo illuminante che con i versi di cui sopra c’entra molto e non c’entra niente

Alcide De Gasperi, ultimo Presidente del Consiglio del Regno e primo della Repubblica Italiana, nel 1947 andò a Cleveland per partecipare a un importante convegno internazionale che era in qualche modo una preparazione dell’European Recovery Program, il Piano Marshall di ricostruzione del vecchio continente foraggiato dai soldi e dagli interessi a lungo termine degli Stati Uniti, che dalla seconda guerra mondiale erano usciti rafforzati e vincenti.
Il convegno era stato organizzato dall’allora proprietario del Time che si chiamava (guardate un po’) Henry Robinson Luce.
Ma la notizia che tenne occupato per un po’ il pubblico di lettori di giornali statunitensi fu il fatto che De Gasperi e la figlia spegnevano la luce in camera quando uscivano dall’albergo, come se non si rendessero conto dell’abbondanza di risorse disponibile in Amerika.

Ah, voi, quando uscite da questo blog, non dimenticate di spegnere la luce.

Le ceneri del ponte

17 venerdì Ago 2018

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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Tag

decrescita, ponte

Caracol by Gaetano aitan Vergara

Se solo questo ennesimo disastro ci facesse riflettere sui limiti del capitalismo, sugli abusi delle privatizzazioni e delle concessioni dei beni pubblici, sull’iperproduzione di merci e servizi, su un sistema di trasporto inquinante e insostenibile, sui costi sociali di uno sviluppo che punta alla crescita economica anziché alla qualità della vita…

Ma l’uomo è l’unico animale che inciampa due volte sulla stessa pietra. E poi torna a inciampare, torna a inciampare, torna a inciampare…, convinto che la prossima volta andrà meglio e sarà più bravo ad inciampare.

Frattamaggiore, “Convegno sulla decrescita” con Maurizio Pallante e Miriam Corongiu

11 venerdì Mag 2018

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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Tag

decrescita

Spero tanto che almeno qualcuno degli oltre 150 ragazzi che hanno partecipato stamattina al convegno sulla “Decrescita felice“ cambi qualcosa, anche una piccola cosa, dei suoi (dei nostri) comportamenti “terricidi”.

Tipo (traggo dalla dramatizzazione rappresentata dai ragazzi del “Filangieri”):
– Prendere l’auto per spostarsi di pochi metri. (Aufff)
– Scendere a comprare il latte col SUV e parcheggiare sui marciapiedi. (Aufff)
– Fare due chilometri in automobile per andare in palestra e mettersi a correre per un paio di chilometri su un tapis roulant, che ci fa muovere restando sempre nello stesso posto. (Aufff Aufff)
– Imbottigliati nel traffico, lamentarsi del traffico e non capire che SIAMO il traffico. (Aufff)
– Lasciare le lampadine accese alla luce del giorno. (Aufff)
– Far scorrere inutilmente litri e litri di acqua per lavarsi i denti, radersi o fare uno shampoo. (Aufff Auff)
– Avere in inverno il riscaldamento a palla e le finestre aperte. (Aufff)
– In estate accendere il condizionatore a 15 gradi e indossare una maglia sulla camicia per non prendere freddo. (Aufff)
– Comprare l’insalata in busta, pomodori già affettati in vassoio di polistirolo, le arance sbucciate e confezionate in vaschetta e l’acqua in bottiglie di plastica che attraversano da nord a sud tutto il Paese. (Aufff Aufff)
– Ammazzarsi di lavoro per avere sempre di più, e rimanere perennemente insoddisfatti di quello che abbiamo. (Aufff Aufff Aufff)

Dobbiamo renderci conto che la crescita della produzione di merci richiede una disponibilità crescente di risorse che non sono più ottenibili nella porzione di terra che abbiamo prosciugato.

Ci hanno insegnato solo a produrre e consumare. Ma non sappiamo nemmeno più sbucciarci un’arancia o lavarci l’insalata. E intanto la produzione si è spostata altrove.
Le fabbriche non hanno più operai, ma solo ammassi di ferraglia e teste quadrate. Nessuno ha più bisogno di noi. D’un tratto vogliono che siamo solo dei consumatori.
Le cose che sprechiamo si fanno da un’altra parte… La frutta che mangiamo viene da un’altra parte… I nostri vestiti… la nostra moto… tutto viene da un’altra parte… Anche queste sedie, questo tavolo e il telefonino che abbiamo sempre in mano…

Sembra tutta una barzelletta o un colmo senza soluzione…

A proposito, la sapete quella del cavallo?

Allora. C’è un tipo che va a comprare un cavallo. Ne vuole uno molto veloce.
Il venditore gli fa: “Questo è il più veloce che abbiamo, ma si muove solo se sente dire AUFFF e per farlo fermare deve gridare STOOOP!”. Il tizio decide di provarlo, si mette a cavallo e fa AUFFF. Subito il cavallo comincia a trottare. Dopo un po’ il tizio grida STOOOP e il cavallo si ferma. Di nuovo AUFFF AUFFF e il cavallo galoppa fuori dalla città e va sempre più veloce. Il tizio è soddisfatto: AUFFF, AUFFF, AUFFF…, finché, all’improvviso, si trova davanti a un burrone. Prontamente grida STOOOOP! Poi, guarda giù al precipizio e tira un sospiro di sollievo: …AUFFFFFF!

Siamo tutti un po’ così, senza briglia, in groppa a un cavallo al galoppo in prossimità di un burrone, e ogni metro di terra che sprechiamo ci avviciniamo ulteriormente al fondo del precipizio.

“Se una crescita ha conseguenze negative, il suo arresto, o quanto meno la sua diminuzione, assumono connotazioni positive. In relazione a una crescita ipertrofica, come quella di una massa tumorale, la decrescita appare come una benedizione divina.”
(Maurizio Pallante, “La felicità sostenibile”, Rizzoli 2009, p.19)

Aufff….

Anzi no, STOOOOOP!

Insomma, smettiamola di fare di più e cerchiamo di fare meglio.

Saggi come lumache

30 lunedì Apr 2018

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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decrescita, lumaca

Dovremmo tornare alla saggezza della lumaca.

Lumache - by Gaetano Aitan Vergara, 2014

La lumaca costruisce la sua casa sovrapponendo delle spire che aumentano in progressione geometrica; ma ad un certo punto si rende conto che il suo guscio sta raggiungendo la taglia massima in rapporto alle proprie dimensioni e comincia gradualmente a rallentare, fino ad arrivare ad arrestare del tutto la costruzione della sua casa-conchiglia. Da questo momento, si dedicherà solo a riparare eventuali scalfiture o rotture di quel guscio che, fin dalla nascita, la protegge dai predatori e dalle insidie dell’ambiente circostante.

Avrebbe potuto continuare a crescere indefinitamente, ma poi non avrebbe saputo come trasportare la sua casa e, molto probabilmente, sarebbe finita schiacciata sotto il peso della sua costruzione.

Insomma, è meglio dedicarsi a preservare e consolidare quello che abbiamo, piuttosto che morire sotto il carico incombente della nostra stessa crescita. È meglio capire che ci sono casi in cui meno è meglio, piuttosto che finire soffocati nell’abbondanza o soccombere sotto gli scarti della nostra stessa opulenza.

___

(La prima foto è mia e risale a quattro anni fa; la seconda è una rielaborazione fotografica di beeple_crap intitolata “Snail Mail”.
La teoria della lumaca si deve, invece, a Ivan Illich ed è stata ripresa sia da Serge Latouche che da Maurizio Pallante nei loro studi sulla DECRESCITA felice, programmata, …necessaria.)

+ o meno

29 domenica Apr 2018

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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decrescita, meno

meno è più, più o meno

+ o – è possibile affermare che – è meglio

meno è più

(In realtà, in inglese il “pun” funziona così e così…)

Poi dice che uno si butta al centro!

17 martedì Apr 2018

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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centro, decrescita

Chiacchiere da bar di un trentenne senza arte né parte

10 martedì Apr 2018

Posted by aitanblog in invettive, riflessioni, texticulos, vita civile

≈ 4 commenti

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consumare, decrescita, lavoro

L’imperativo che ti hanno stampato in testa è produrre; produrre e consumare.
Consumare, consumare fino a consumarti. Consumare tutto… Il tempo, gli oggetti, l’aria, gli affetti, la frutta del supermercato e questo schifo di birra cinese. Devi consumare, devi consumare tutto e soprattutto il denaro che guadagni e ti consuma…

Ci hanno messo al mondo solo per questo, per farci spendere, spandere e sperperare senza limiti e senza freni, e per farlo non dobbiamo dipendere da nessuno, dobbiamo guadagnare, dobbiamo sistemarci, fare dei figli, mettere al mondo delle fottute nuove macchine da produzione e consumo…

Ma è chiaro che per realizzare tutto questo, devi prima avere un maledetto posto di lavoro… come tuo padre, come tuo nonno e come il padre del padre di tuo padre…
Non puoi spezzare questa maledetta catena di consumi e schiavitù.
Devi lavorare! Devi lavorare, porca miseria! Devi lavorare, lavorare e lavorare!
Forza, ti dicono, rimboccati le maniche e non startene con le mani in mano, che qui non c’è altro tempo da sprecare!

Ok, va bene, ho capito, ho capito, debbo lavorare, dico io… ma dove cazzo lo trovi oggi un lavoro? A meno che tu non voglia metterti a spacciare bamba o queste merdose birracce cinesi…
La produzione si è spostata in Romania, in Cina o in culo al mondo. Le fabbriche non hanno più operai, ma solo ammassi di ferraglia e teste quadrate, dico io. Nessuno ha più bisogno di te. D’un tratto vogliono che tu sia solo un consumatore.
Le cose che sprechi si fanno da un’altra parte… La frutta che mangi viene da un’altra parte… I tuoi vestiti… la tua moto… il tuo fumo… tutto viene da un’altra parte… Anche queste sedie, questo tavolo, queste schifose birre con etichetta italiana e manifattura asiatica o albanese…
Le macchine hanno preso il tuo lurido posto di schiavo della catena di produzione, dico io. Dovresti andartene altrove o travestirti da robot cinese, per riuscire a trovare uno straccio di lavoro. Oppure il lavoro te lo devi inventare, dicono…
Ma che cazzo vuoi inventare che qua hanno già fatto tutto!? E il resto di tutto lo stanno già pensando in Cina, in India o in Corea. E stai pur certo che lo faranno meglio e prima di te e di me, dico io!

Insomma, ti tengono lontano dalla catena produttiva e ti fanno vedere il lavoro come un miraggio, un obiettivo cui tendere, il fottuto sole che sta all’orizzonte. E tu, nel mentre, vivi alle spalle dei tuoi vecchi, che continuano ad ammazzarsi di fatica finché possono, e finché possono sostengono il prezzo dei tuoi consumi e quello dei tuoi vizi, dico io; almeno fino a quando non si innamorano della badante polacca e dedicano a lei tutte gli sforzi e quello che resta del patrimonio accumulato in decenni di schiavitù e di consumi.

Poi magari, all’improvviso, te lo fanno trovare anche a te un merdoso posto di lavoro e ti buttano nella produzione di servizi che non servono a niente e a nessuno, dico; e là ti lasceranno finché crepi. Ma ormai ti sei fatto antico pure tu. È da tanto che hai perso l’energia dei tuoi venti anni…

Cosicché, dopo tanta attesa, arriviamo ai nostri primi giorni di lavoro già stanchi e incazzati e mettiamo tutto il nostro impegno per lasciare il mondo peggio di come lo avevamo trovato, dico io…. Il che, a quanto pare, è l’unica cosa che riusciamo ancora a fare nel migliore dei modi possibili, dico.

…

E tu, smettila di guardarmi con quella faccia da paraculo e portami un’altra di queste sporche birre albanesi, che mi resta ancora qualche spicciolo dal malloppo che mi sono preso dal portafoglio del nonno. Prima che la pensione se la suga la polacca o il vecchiaccio si spende tutto all’enalotto, dico io!

Urbanizzazione

03 lunedì Ott 2016

Posted by aitanblog in immagini, texticulos, vita civile

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Tag

decrescita, desolazione, terra, urbanizzazione

4 seasons of desolation

Four Seasons of Desolation

Ci allontanammo dai campi e ci spostammo in città, dove i salari erano tre volte più alti e il costo della vita… cinque volte più caro.

Eravamo servi, diventammo schiavi.

Web e Rivoluzione

11 mercoledì Mag 2016

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos, vita civile

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Tag

decrescita, lavoro, macchine, rivoluzione, tecnologie

Con la prima rivoluzione industriale i treni a vapore sostituirono i cavalli.

Con la seconda, le macchine sostituirono una gran parte degli uomini e dei loro calli.

Con la terza (quella magnifica, progressiva e globale), il resto degli u-mani fu sostituito dal basso costo dei musi gialli, imperversando tra monti, pianure e valli.

Oggi, un algoritmo sostituisce colletti bianchi, guardiani della soglia, valvassori e vassalli,

mentre ad ogni sovvertimento continuano ad arricchirsi pescecani, porci senz’ali e sciacalli.

“El que al cielo escupe, en la cara le cae.” (Dove metto insieme un sacco di fatti in modo un po’ delirante ma col tono di chi la sa lunga.)

17 lunedì Nov 2014

Posted by aitanblog in vita civile

≈ 4 commenti

Tag

ambiente, decrescita, migrazioni

Piove, piove a catinelle, piove a dirotto, grandina, diluvia, e le nostre città sembrano sempre più inadeguate a fronteggiare ogni tipo di fenomeno naturale. Continui disastri, emergenze senza fine, e subito tutti a parlare di bombe d’acqua e catastrofi ambientali, come se mai avesse piovuto prima. Non lo so, mi sembra tutto un brainstorming di sciocchezze ripetute a raffica. Ma i fiumi straripati, le case e le vite distrutte sono lì a far pensare che non si tratti solo di un problema di percezione pubblica; forse le precipitazioni stanno veramente aumentando rispetto ai secoli scorsi e ci stiamo lentamente tropicalizzando.

Io, però, resto della convinzione che si tratti di problemi antropici, più che metereologici. Si costruisce troppo e in modo dissennato. La popolazione sul territorio è mal distribuita. Si pianifica poco o niente. Ci si preoccupa degli interessi immediati e si distrugge ogni possibilità di sviluppo futuro.
La natura va assecondata, non combattuta. Non si può andare oltre il limite di sopportazione delle terre e dei fiumi. C’è bisogno di terreno che assorba la pioggia e la trasformi in vita. E invece non facciamo altro che continuare a costruire, a mettere cemento su cemento, togliendo spazio agli alberi ed ai corsi d’acqua, provocando nuove deforestazioni in periferia e aumentando la produzione di anidride carbonica, metano e gas di scarico in città già sovraffollate. Tutto questo, a sua volta, contribuisce al surriscaldamento del pianeta: la probabile causa dello scioglimento dei ghiacciai, degli sconvolgimenti delle correnti marine, dell’estinzione o dell’aumento sconsiderato di animali e piante, della desertificazione del terreno e, per l’appunto, della tropicalizzazione del Mediterraneo. Un maledetto cane che si morde la coda.
Siamo in tanti, in un pianeta piccolo piccolo, e siamo mal distribuiti. Per sovrannumero, si allargano sempre di più, a livello globale, comportamenti puntati sulle leggi della crescita economica, piuttosto che sul buon senso e sulle irragionevoli ragioni della natura.

Mutatis mutandis, considero un problema di cattiva distribuzione degli insediamenti umani anche quello dell’immigrazione. Non si possono mettere migliaia di immigrati in quartieri ghetto che presentano già enormi problemi sociali e pretendere che tutto fili liscio. L’immigrazione può essere linfa vitale per questo paese, ma va distribuita in modo razionale sul territorio e non dirottata e irreggimentata in zone periferiche delle metropoli. Paradossalmente, avere frontiere aperte e lasciare che le masse umane di immigrati si distribuiscano liberamente sul territorio, potrebbe fare meno danni di questa politica che li costringe a nascondersi tra la folla delle metropoli e a rinchiudersi in ghetti fatiscenti.
Non c’è niente da fare, anzi ci sarebbe da fare moltissimo. Ma la nostra operatività si limita al lamento. Come sto facendo anche io, ora, qui.

Siamo causa del nostro danno e malediciamo il cielo, il mare, la pioggia, le masse umane e i fiumi, dimenticando che siamo noi quelli che continuano a sputare in cielo e a lamentarci della saliva che ci ricade in testa.

 

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