Versi naïf in versione ispano-italiana e coda inglese.
Versos naif en versión hispano-italiana y final en inglés.
Naïve and occasional verses in Hispanic-Italian version and English ending.
Verso l’8, m’arzo!
A me la giornata della donna fa venire in mente mio padre, che una volta all’anno portava il caffè a letto a mia madre, decretando, così, che per i restanti 364 giorni del calendario fosse lei a portare il caffè a letto a lui. Scrivo la stessa cosa ogni 8 marzo, questa volta mi sono anticipato con l’aggiunta di questi versetti d’occasione
Mujeres fuertes, luchadoras incansables, que alzan su voz y rompen las barreras, Mujeres que desafían la opresión y el dolor y no se rinden ante las bridas del poder.
Mujeres tenaces que luchan por sus sueños, Mujeres de cabeza levantada, mirada firme y corazón valiente que trabajan duro y nunca se detienen.
Mujeres que han conquistado el mundo con un talento que ha quebrantado límites e incomprensiones.
Mujeres que lo saben que aún quedan muchos pasos por recorrer para que todas puedan triunfar y derribar barreras viejas y nuevas prescripciones.
Mujeres que quieren silenciar, Mujeres con derechos negados, Mujeres violadas, engañadas y maltratadas.
Mujeres que no se rinden y no se rendirán hasta que todas sean libres, el pelo al viento y la posibilidad de expresarse sin reglas y restricciones.
Donne forti, combattenti instancabili, che alzano la loro voce e rompono le barriere, Donne che sfidano l’oppressione e il dolore e non si arrendono di fronte alle briglie del potere.
Donne tenaci che lottano per i loro sogni, Donne a testa alta, lo sguardo fermo e il cuore coraggioso, che lavorano duramente e non si fermano mai.
Donne che hanno conquistato il mondo con un talento che ha infranto limiti e incomprensioni.
Donne che sanno che ci sono ancora molti passi da percorrere perché tutte possano trionfare e abbattere vecchie barriere e nuove prescrizioni.
Donne ridotte al silenzio, Donne con diritti negati, Donne violentate, ingannate e maltrattate.
Donne che non si arrendono e non si arrenderanno finché non saranno tutte libere, i capelli al vento e la possibilità di esprimersi senza regole e restrizioni.
Women silenced, Women with denied rights, Women raped, deceived and abused.
Women who do not give up and will not give up until all are free, with hair in the wind and the possibility to express themselves without rules and restrictions.
Nei momenti più tristi e più intricati Lancio a caso tre tiri di dadi Non importa che il fato sia clemente Oppure dispettoso e intransigente Ciò che pesa e conta veramente è giocare senza pensare a niente Con il cuore assopito e la mente Che si mette in pausa e non sente Più cosa alcuna né niente di niente Sia sei o sia uno non cambia il destino Di questo giocatore indolente Che ora si sente Cecco e beve vino Per non pensare che non gli sei vicino
In attesa della nuova raccolta di racconti dell’Associazione ex Alunni del Liceo “Durante”
Ad un anno dalla pubblicazione di “Alle sue spalle – Grandi personaggi raccontati dalle loro donne“, sotto l’impulso dell’infaticabile professoressa Teresa Maiello, è in stampa un’altra raccolta di racconti a cura dell’Associazione ex Alunni del Liceo “Francesco Durante” di Frattamaggiore. Prima che sia pubblicato il nuovo testo posto qui il racconto dello scorso anno dedicato alle donne dei dodici apostoli di Cristo, divise tra il magnetismo del carisma del Maestro e la preoccupazione per i suoi strani discorsi che rischiano di allontanare i loro mariti da loro, dalle loro case e dai loro letti.
I Discorsi della Montagna
Ormai al suo seguito non c’era più solo una dozzina di discepoli.
Una folla vociante gli veniva dietro e ascoltava le sue parabole e i suoi insegnamenti salendo su per la montagna. Ognuno in attesa di un po’ di conforto, di una parola buona o di un altro miracolo.
A un certo punto, il Maestro si sedette su una roccia e alzò lentamente la mano come quando si chiede la possibilità di intervenire in una riunione di piazza. Tutti fecero silenzio e ascoltarono le sue prediche colme di speranza per i poveri, per i misericordiosi, per gli afflitti, per gli affamati di giustizia e per gli assetati di pace. Loro erano il sale della terra e la luce del mondo.[1]
Ma quel sale cominciò a farsi insipido e la luce ad affievolirsi quando l’uomo venuto da Nazareth, dopo una lunga pausa, iniziò a dire che dovevano porgere l’altra guancia e amare i propri nemici.
A un dato momento Ad un certo punto sostenne che se il loro occhio o la loro mano destra fossero stati causa di peccato, avrebbero dovuto privarsene e gettarli via, lontano da loro, perché è meglio che un membro perisca, piuttosto che tutto il corpo venga sprofondato tra le fiamme dell’eterna perdizione.[2]
Fu allora che quel gruppo di donne si allontanò per appartarsi dietro uno spuntone della montagna.
– No, no, basta, io non riesco più a seguirlo. Stanno diventando troppo estreme le sue predicazioni.
– Chiamate Maddalena. Voglio sapere se è vero che il suo amato Maestro ha detto in una pubblica piazza che solo chi era senza peccato poteva scagliare la prima pietra e che questo l’aveva salvata quando stavano sul punto di lapidarla.[3] Che ne è ora di quei principi?
– No, no, lasciatela stare quella sgualdrina. Lei ormai pende dalle sue labbra e segue ogni movimento della sua mano e del suo sguardo.
– Sì, ma, dico io, con quelle sante parole che salvarono quella puttana di Maddalena dalle pietre, lui non voleva farci capire che siamo tutti peccatori e, al tempo stesso, tutti meritevoli di perdono? E ora, tutto d’un tratto, parla di occhi cavati dalle palpebre e di mani mozzate… Non siamo noi ad essere cambiate. È lui che sta cambiando le carte in tavola da un momento all’altro.
– Può darsi, può darsi, però io penso che se ora dice altro, avrà le sue buone ragioni.
– Ma quali buone ragioni? Il nazareno va denunciato subito agli scribi e ai farisei, prima che si prenda tutti i nostri uomini e lasci le nostre case vuote e noi a bocca asciutta in un letto troppo grande per dormire da sole.
– Dai, ma che dici?
– Quello che dice è la pura verità. Mio marito Mattia sono settimane e settimane che non mi… conosce più.
– Infatti, infatti… Ma lo avete sentito l’altro giorno quando ha fatto quella orrenda esaltazione degli scoglionati?
– Come dimenticarlo? Ogni frase di quella predica mi è rimasta impressa nella memoria. In parole povere sosteneva che ci sono degli eunuchi che sono tali dalla nascita; altri eunuchi che sono stati fatti tali dagli uomini (quelli che gliele tagliano da piccoli, le palle) e ci sono degli eunuchi i quali si son fatti eunuchi da sé a cagion del regno dei cieli. “Chi può capire, capisca.”,[4] ha concluso, lasciandoci tuti sospesi e a bocca aperta.
– E sì, io ho capito, ma certo che ho capito. Questo sta facendo in modo che i nostri uomini si allontanino per sempre da noi.
– O che ci ignorino. Come se, d’improvviso, non esistessimo più.
– Li vuole tutti senza palle, tutti eunuchi e scoglionati. Come quel Giovanni che gli ronza intorno come una vergine in calore.
– Li sta riempiendo di chiacchiere, e qua di fatti non se ne vedono da mesi. Solo parole, parole, parole.
– Con la testa rivolta al regno dei cieli si dimenticheranno di tutto questo ben di Dio che li aspetta in terra.
– Ma perché, il fatto di mio marito non lo avete ancora saputo? Simon Pietro, che Dio lo benedica, gli dice: “Maestro, noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito”. E lui lo guarda negli occhi con quello sguardo incantatore e gli fa: “In verità in verità ti dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà”.[5]
Sono queste le parole con cui sta mettendo contro di noi i nostri uomini. È così che separerà i figli dalle loro madri e i fratelli dai fratelli. Questo santone va disquisendo dappertutto di vita eterna e di pace, ma vuole la guerra in ogni casa e in ogni famiglia.
– Taci, taci, figlia mia! Ma hai già dimenticato quella notte in cui il buon Simone gli chiese aiuto per me, che ero a letto febbricitante, e lui si precipitò in casa, mi toccò la mano e fece in modo che il male lasciasse il mio corpo e la pace regnasse per sempre nella mia anima?[6]
– Madre, io non ho dimenticato. Io non dimentico niente. Ed ero lì anche quando moltiplicò i pesci[7] e quando fece camminare quel morto.[8] Ma, capiscimi, ora sono io che resto ogni giorno senza cibo, morta e sepolta nel mio giovane letto di sposa. Tu ormai hai troppi anni addosso per capire…
– Sì, vecchia, tua figlia ha ragione. Forse la pace dei sensi aveva già raggiunto il tuo corpo quando lui venne e ti fece passare quella febbricola.
– Noi bruciamo.
– I nostri sensi ardono.
– Abbiamo un vuoto che da sole non potremo mai colmare.
– E poi con tutti questi eunuchi in giro, che ne sarà del popolo di Israele? Chi assicurerà una discendenza alle nostre case? Chi chiamerà te nonna e nonno tuo marito?
– È vero, è vero. L’altro giorno gli ho sentito dire: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo”.[9] L’ho sentito con le mie orecchie, che Dio mi sia da testimone!
– Eccolo qua, il Maestro, viene, fa due miracoli, si proclama figlio di Dio e vuole provocare scompiglio nelle nostre povere case.
– Parla di amore per il prossimo e predica l’odio in famiglia.
– E sua madre?, lo sapete di sua madre, che andò qualche mese via dalla Galilea e tornò con quel bel pancione di gravida?
– Lo dici a me che sono una sua vicina?
– E ora il figlio di Maria di Nazareth viene qua, fresco fresco, e vuole parlare a noi di peccato e di adulterio…
– E si prende tutti i nostri uomini, si prende.
– Abbiamo il sacro dovere di difendere le nostre famiglie.
– Dobbiamo riportare a casa i nostri uomini.
– Nei nostri letti vuoti.
– Dai nostri figli.
– La deve smettere di riempirci la testa di fandonie e regni celesti.
– Donne, così non possiamo andare avanti. Dobbiamo trovare una soluzione.
– Sì, una soluzione per noi e la terra di Israele.
– Siamo il popolo di Dio, non possiamo farci sterminare da questo cialtrone.
Il giorno dopo si incontrano tra gli ulivi dell’orto del Getsemani.
La prima a prendere la parola fu la moglie di Simon Pietro. Sua madre, invece, aveva preferito restare a casa a prendersi cura del genero e del Maestro.[10]
– Allora, qualcuno di voi ha in mente un piano per liberarci del santone e riportare finalmente a casa i nostri uomini?
Sedute in circolo all’ombra degli ulivi, intorno al fuoco, come in un sabba, fecero mille ipotesi: pensarono di chiedere aiuto a Giuseppe e a Maria per frenare quello che consideravano un progetto per dissolvere le loro famiglie; pensarono di andare un paio di loro in missione e indurre il Cristo in tentazione; qualcuna ipotizzò perfino di usare Maddalena o Giovanni per fargli abbassare le difese, o di danzargli tutte intorno come Salomé con Erode Antipa;[11] una disse che avrebbero dovuto scambiarsi i loro uomini per ridare smalto alla passione sopita; un’altra voleva accarezzare il nazareno nel sonno e ungerlo di oli egizi; molte pensarono di catturarlo, di torturalo e di fargli confessare che era un impostore, oppure di fare la spia per venderlo ai farisei, agli scribi o, perfino, ai romani.
Mille e mille ipotesi, fecero, per riprendersi i loro mariti e togliersi quel presunto maestro di torno; ma, soprattutto, parlando parlando, sfogarono il loro livore e lasciarono correre a briglia sciolta le loro più segrete fantasie. In qualche modo, quell’incontro servì a farle sentire più tranquille e appagate. Senza proferire nessun’altra parola, decisero di dare una tregua ai loro propositi e tornare con il gruppo dei seguaci e non parlare con nessuno di quell’incontro segreto. Nel mentre, Giuda Iscariota, a pochi passi dal giardino, aveva già venduto il nazareno per trenta denari, rispondendo a quella che era l’imperscrutabile volontà del Signore.[12]
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[1] Cfr. Matteo 5:1-7
[2]ibidem
[3] Cfr. Giovanni 8:3-11
[4] Cfr. Matteo 19:11,12
[5] Cfr. Luca, 18,28-30
[6] Matteo 8:14,15
[7] Matteo 14:13-21, Marco 6:30-44, Luca 9:12-17, Giovanni 6:1-14
Un brano dei Tproject montato in un video con qualche parola e qualche disegno che ho fatto io su loro gentile richiesta.
Ho conosciuto e imparato ad apprezzare quest’estate i Tp e il loro progetto di musica elettronica e percussiva innervata di passione, impegno civile e ricerca etnomusicale.
I Tproject sono tre artisti uniti da un’idea di musica intesa come laboratorio di creatività e sperimentazione e, in questa tornata, hanno voluto coinvolgermi chiamandomi a partecipare al loro “masadacrea“, il loro “tavolo di creazioni”. Senza troppo esitare, ho risposto volentieri all’invito di prestare qualche mio disegno e qualche mio pensiero per questo brano basato su un canto masai dedicato a una causa sacrosanta: il rispetto per le donne. Così ho condiviso con il gruppo una serie di immagini e parole, e loro le hanno tagliate e montate liberamente per realizzare questo video che, non a caso, viene pubblicato in prossimità del 25 Novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999.
Di seguito il testo completo che avevo proposto per il montaggio:
Per tutte le donne e per tutta l’umanità che rispetta la vita e il mondo che la ospita, la pervade e le gira intorno.
Per chiunque abbia dentro e metta fuori di sé i suoi migliori istinti di generare, preservare e prendersi cura delle generazioni future.
Per tutti coloro che rispettando le altre e gli altri rispettano se stessi.
Gli istinti esistono, ed anche i desideri e la volontà di imporsi sugli altri. Ma esiste anche l’educazione, il rispetto e la richiesta dell’altrui consenso. Non trattare gli altri come non vorresti mai che gli altri trattino te. Lo dice pure il saggio cinese che solo quando una zanzara si posa sui tuoi testicoli ti rendi conto che non tutto si può risolvere con la violenza.
Aggiungo a chiosa di questi brevi pensieri (tanto per non definirli pensierini 🤭) che, in ogni campo, la violenza è la più estrema tra le forme di debolezza umana.
Perché la donna non è cielo, è terra carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato, vita ho vissuto che dentro ho piantato, qui cerco il caldo che il cuore ci sente, la lunga notte che divento niente.
quante nonne
e quante donne
hanno cercato
l’immortalità
dentro una
pasta e patate
o una genovese
rimestolata
con i muscoli
delle buone
intenzioni
e insaporita
con le ragioni
del cuore
La mia bisnonna, madre del mio nonno paterno, la chiamavano ‘A principale, ma il suo nome era Orsola, Orsola Farina, un nome che mi ha sempre fatto pensare al freddo polare e agli orsi bianchi. Era una signora pratica, donna Orsola, una femmina concreta, tutta dedita alla famiglia e al lavoro; una donna temutissima dai braccianti e dalle “pettinatrici” che lavoravano nella sua azienda e forse anche da molti dei suoi e miei parenti più prossimi e lontani.
Una dissacrante versione familiare vuole che il mito della sua incredibile capacità di tenere sotto controllo i dipendenti della sua azienda fosse dovuto al fatto che il marito, disertore, si nascondesse tra le balle di canapa e cogliesse l’occasione per spiare i lavoranti, per poi riportare alla moglie notizie di quelli che rubavano, gozzovigliavano, rallentavano la produzione, sprecavano i materiali o mal lavoravano. Ma è probabile che queste siano solo ricostruzioni leggendarie e irriverenti. Quello che è certo è che la canapa era il fulcro della sua vita e la materia prima su cui si sosteneva gran parte dell’economia frattese fino alla prima metà del ‘900.
Sarà stato per questo che donna Orsola volle farsi ritrarre tra le balle di canapa come una delle lavoranti della sua azienda, ma con lo sguardo dritto di chi è abituato a comandare e non si fa intimidire da nessuno, nemmeno da quel pittore venuto da chissà dove.
“Ritratto di Orsola Farina detta ‘A Principale” di Luigi Avitabile, 1939 -olio su tela, 100x110cm.
Io l’ho conosciuta, la bisnonna, quando già la sua mente vacillava. Il donnone che un paio di decenni prima faceva tremare chiunque incrociasse il suo sguardo si era trasformato in una stramba vecchina che faceva ridere nipoti e bisnipoti e suscitava tristezza e sconforto in tutti quelli che intravedevano in lei i segni della loro stessa decadenza.
Erano arrivati gli anni ’70, la canapa era stata sostituita da più economiche e meno lavorate fibre sintetiche; Donna Orsola aveva cominciato a vivere in un appartamentino piccolo borghese, l’azienda aveva chiuso da anni e il patrimonio si era esaurito ancora prima. Lei, però, credeva di abitare ancora nel suo “palazzo” padronale che intanto era diventato un condominio di 46 appartamenti e non so quanti negozi: vedeva noi bambini scorrazzare giù al cortile e gridava che le galline erano scappate dal pollaio e giravano in bici; andava dal dentista e voleva pagare in centesimi di lira; tagliava, lavava e stendeva ad asciugare i polsini della vestaglia per non sprecare soldi, tempo e acqua a lavare tutta una vestaglia macchiata solo su un polsino; scambiava le barbe di mio padre e di mio zio Gennaro per dei missionari della comunità del nipote Mario, per il quale lei, sempre così attenta al valore del denaro, era disposta ad elargire un obolo destinato ai poveri della Birmania o di altri paesi sconosciuti e lontani. Ma il ricordo più vivido che ho della bisnonna Orsola risale a quando mi nascondevo sotto il suo letto coi miei cugini e la vedevo parlare allo specchio con il suo riflesso: pensava di comunicare con la sorella e finiva sempre per irritarsi quando, d’improvviso, quel vecchio corpo piegato dagli anni spariva dietro l’anta dell’armadio.
Col tempo, sai, tutto passa e se ne va: le schiene si curvano, le menti si affievoliscono, gli edifici crollano e i ricordi si nascondono ai bordi degli specchi. Ma a volte ritornano con forza momenti del passato ed anche usi, modi e tradizioni che sembravano destinati a definitiva sparizione. Non si muove su una linea retta la storia; piuttosto segue percorsi a zig zag, spirali, parabole e curve che si richiudono su se stesse.
Ora, pare che anche la produzione e la trasformazione della canapa possano avere una nuova vita qui a Frattamaggiore, in questo territorio avvallato tra Napoli e Caserta, nelle stesse zone in cui erano impegnati a lavorarla e venderla donna Orsola e le donne e gli uomini che erano alle sue dipendenze.
Per come la vedo io, sarebbe molto bello assistere a questa rinascita della tradizione canapiera locale, ma con condizioni e contratti di lavoro da terzo millennio e senza l’occhio severo della Principale affacciata al balcone a guardare le galline scorrazzare in bici o ritratta con le mani intente a intrecciare la canapa che era stata lavorata da qualcun altro.
Campagna, campagna, comme è bella ‘a campagna,
Ma è cchiù bella p’o padrone ca se regne ‘e sacche d’oro e ‘a padrona sua signora ca si ‘ngrassa sempre cchiù ma chi zappa chesta terra pe’ nu muorz’ ‘e pane niro ca ‘a campagna s’arritrova d’acqua strutt’ e culo rutto
[…]
Campagna, campagna comme è bella ‘a campagna
è cchiù bella p’e figlie do padrone da terra ca ce vene sulamente cu ll’amice a pazzià, ma po’ figlio do bracciante ‘a campagna è n’ata cosa ‘a campagna è sulamente rine rutt’ e niente cchiù.
Campagna, campagna, comme è bella ‘a campagna.
Sono versi di Franco Del Prete, un altro frattese, cantati dai Napoli Centrale in un memorabile disco del ’75 che ascoltavo da ragazzino dal jukebox del bar del mio nonno materno, dove Franco, da ragazzino, aveva lavorato. Ma questa è un’altra ed è la stessa storia di paese, di provincia e di periferia.