Considerazioni sull’importanza del non dimenticare lasciate qua qualche giorno prima del 27 gennaio, quando saremo saturi di discorsi sulla memoria, col rischio che tutte quelle belle parole si annullino a vicenda o si confondano nel brusio generale, come il frinire fastidioso di un grillo parlante tra la folla fastidiosa di grilli che coprono le loro voci una sull’altra in un vociare indistinto e molesto.
Dobbiamo conoscere il nostro passato. Dobbiamo amare, odiare, perpetrare, rinnovare e ribaltare le nostre tradizioni. Rivoltare come un calzino la nostra storia e tornare a indossarla come cosa nuova. La dimenticanza è la porta di accesso all’indifferenza. E l’indifferenza è la fine della storia, l’epilogo di ogni forma di vita viva e degna di essere vissuta.
Se non sai da dove vieni, vai dove vai vai e non ti trovi mai. Se non sai da dove vieni, non capisci nemmeno dove sei arrivato. Se non sai da dove vieni, dovresti almeno provare a cercarti. L’atto stesso di cercare, potrebbe aiutarti a sanare mancanze e ferite.
Cercare e, cercando, cercarsi.
L’ignoranza, qui, diventa un reato contro se stessi, oltre che contro il mondo.
Dobbiamo conoscere il nostro passato per avere un futuro degno di essere vissuto e non sprecare il presente.
Dobbiamo conoscere il nostro passato e usarlo come uno specchio deformato.
Dobbiamo conoscere il nostro passato per capire dove abbiamo sbagliato.
Dobbiamo conoscerci per farci un po’ migliori e migliorare il mondo che ci gira intorno.
Fare. Fare e, facendo, farsi.
Ma ve le le immaginate tutte queste spirali di miglioramento che si liberano dalla nostra immaterialità e si incontrano con le spirali di miglioramento delle persone che gravitano nel nostro raggio d’azione e vibrano congiuntamente con altre spirali provocando un effetto moltiplicatore che si riverbera per ogni meridiano e parallelo dell’orbe terracqueo e si innalza orgoglioso fino al cielo?
Un circolo virtuoso di persone che sanno da dove vengono e decidono insieme dove vogliono andare.
Un testo anaforico facile, spiccio e raccogliticcio che illustra uno scadente disegnino dello scorso millennio
Preferisco le curve sinuose e mobili dei punti interrogativi alla statica fissità degli esclamativi❗ Preferisco le svolte, i tornanti, i bivi e i crocicchi ai sensi unici su rettilinei privi di deviazioni e sorprese. Preferisco l’angolo alla retta e l’arco all’angolo, soprattutto se si tratta di un angolo retto che può ferirmi col suo spigolo e la sua presunta superiorità morale. Preferisco che mi sorprendi con una nota inaspettata e che imbocchi un sentiero non segnato sulle mappe. Preferisco non sapere già dove vuoi andare a parare e immaginare che anche tu non stia seguendo un pattern, una regola scritta, una convenzione, una maniera o uno spartito. Preferirei cambiare anche la struttura del mio dire. Preferisco dubitare fin quando e quanto lo posso fare, per dubitare anche del mio dubitare.
E invece vedo sempre più opifici di certezze in cui fabbri con i paraocchi trasformano i dubbi e le domande in affermazioni ed esclamazioni che torneranno a curvarsi sotto i raggi del primo sole.
Rielaborazione digitale di un disegnino analogico del 1984 o del 1985; non so.
(La materia prima è un diamante grezzo, una fonte di acqua pura che può dissetare o affogare, una miniera che si alimenta del suo dubitare.)
L’immagine è una frettolosa rivisitazione di una celebre cartolina realizzata da Joan Mirò nel 1937 per raccogliere fondi per il fronte popolare, ai tempi della sanguinaria guerra civile spagnola.
La musica di sottofondo è un mio campionamento della tromba di Tom Harrel tratto dalla versione di “Silence” contenuta nell’album di Charlie Haden, “The Montreal Tapes: Liberation Music Orchestra” (1989).
I dubbi sono tutti miei e mi paralizzano la coscienza, anche se continuo a scrivere e a cazzeggiare con i segni e con i suoni. Perché non so fare altro.
Eppure io un po’ le invidio le persone che hanno pochi o nessun tentennamento. Quelli che sono certi di aver capito e restano sempre convinti di avere qualche verità da rivelarti. Quelli che ti interrompono prima che finisci di parlare e ti spiegano perché hai torto. Quelli che sanno distinguere da che parte stare e si sentono capaci anche di illustrarti da che parte stai tu; sebbene sia una vita che vai cercando un fottuto posto in cui fermarti a respirare, ma non ti trovi a tuo agio da nessuna parte e riscontri ovunque motivi di dubbio, rotture di coglioni e cause di allontanamento o di dissenso. Un po’ le invidio queste persone. Invidio la loro convinzione di avere ragione, invidio la loro certezza di fare sempre la cosa giusta e resto sorpreso ogni volta che vedo che hanno la voglia, la volontà e l’intenzione di indicarti la strada da percorrere e le azioni da intraprendere o da non intraprendere per il tuo bene o per il bene di tutta l’umanità (che, immagino loro sentano davvero a portata delle loro mani e della loro capacità di rimodellamento).
Tuttavia, ogni tanto metto in pausa la mia sospensione del giudizio, e mi chiedo come mai proprio loro che sanno tutto non si rendano conto che io preferisco essere dilaniato dai dubbi, piuttosto che impietrito dalle certezze. E poi, se hanno capito tutti questi fatti, perché non riescono a capire che mi sono rotto le scatole di stare a sentire come sputano sentenze e vomitano convincimenti e soluzioni che non basterebbe una vita a veder realizzate, seppure fossero giuste e ben concepite dal loro cervello a senso unico, dotato di paraocchi, parastinchi e pare-‘o-frate-d’o-cazzo.
Non aggiungo altro, se non il mio dubbio frequente che avrei fatto meglio a non dire niente (pecché ‘a meglia parola e’ chella ca nun se dice e nun se sente, e tu, avuote e gire, si sempe e sulo ‘na samente ca pensa doje e dice ciente pe’ tramento ca mozzeca pane e turmiento pure si nun trova pace e nun tene diente. Siscano e sosciano parole comme soscia o viento, ca pare ca parle, ma nun dice niente).
Fischiano e soffiano parole come soffia il vento, che sembra che parli, ma non dice niente.
Mentre oscillava tra l’essere e il non essere, gli si bruciò la carne sul fuoco.
Una cosa tipica degli intellettuali. Bruciare la carne sul fuoco, intendo. Perché gli intellettuali sono fatti così. Sono come Amleto e come Leopardi, il quale confessava che, per sua natura, non era “lontano dal dubbio anche sopra le cose credute indubitabili,” (“Zibaldone“, I, 94, 1). (Tipo fermarsi a pensare se stappare un Barbera, un Bourbon o una Pepsi su quella carne bruciata o troppo cotta). O come la vedova Begbick, che affermava che “tra le cose sicure / la più sicura è il dubbio.” (Bertolt Brecht, “Un uomo è un uomo“, IX) Persone indecise a tutto, insomma. Persone che credono di potere dubitare di ogni singolo frammento della realtà, ma non della realtà del loro dubbio. (Questo era Gide in “Les faux-monnayeurs“). Persone convinte, come Mauriac, che “il massimo segno dell’intelligenza è il dubbio”. E si sentiva, senza molti dubbi, intelligente assai, mentre lo scriveva. (Anche se il giorno dopo me lo immagino già titubante di fronte allo stesso foglio che lo aveva fatto esaltare il giorno prima.) O come Camus che sosteneva di avere “[…] orrore di tutte le verità assolute, delle loro applicazioni totali, dei loro presunti detentori d’ogni risma.”
Poi, però, questi intellettuali non hanno mai smesso di lamentarsi della sicumera degli sciocchi e hanno sempre considerato la prevalenza dei cretini il problema dei problemi dei nostri e di tutti i tempi.
“The fundamental cause of the trouble is that in the modern world the stupid are cocksure while the intelligent are full of doubt.” Bertrand Russell, “Mortals and Others” (1931-35)
Che in italiano vuol dire, più o meno:
“La causa fondamentale del disastro del mondo moderno è che gli stupidi sono arroganti e sicuri di sé mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.”
Qualche anno prima, Yeats era uscito con una visione simile in “The Second Coming” (1919):
“The best lack all conviction, while the worst / are full of passionate intensity.”
Traduco anche qui alla meno peggio:
“I migliori mancano di ogni convinzione, i peggiori / sono pieni di appassionata intensità.”
Mentre, qualche anno dopo, fu lo stesso Bertrando a riprendere ed approfondire da par suo lo sprezzante concetto:
“One of the painful things about our time is that those who feel certainty are stupid, and those with any imagination and understanding are filled with doubt and indecision.” (“New Hopes for a Changing World“, 1951)
“Una delle peggiori cose dei nostri tempi è che coloro che si sentono sicuri di sé sono stupidi e quelli che sono dotati di immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e incertezze.”
Sulla scia forse inconsapevole di Bertrand Russel, Emil Cioran aggiunse dubbi ai dubbi sostenendo che “soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni”; mentre Borges, dal canto di una delle sue labirintiche biblioteche, lasciò scritto che “la duda [il dubbio] es uno de los nombres de la inteligencia.”
E già…, come dargli torto e come dar torto pure al don Alessandro nostrano, che affermò in una parentesi della “Storia della colonna infame” che “è men male l’agitarsi nel dubbio, che il riposar nell’errore”?
Anche perché fanno tremendamente paura le persone che non hanno dubbi e vomitano pensieri che non lasciano spazio a discussioni. Quelli dei punti fermi e dei punti esclamativi…
Si arriva, così, in mezzo a tanti tentennamenti, al punto che gli intelligenti vivono dilaniati dai dubbi e, dubitando di tutto, dubitano anche delle loro stesse capacità cognitive; mentre gli stolti, sovrastimandosi, si riconoscono un’intelligenza che non hanno e si muovono nel mondo con una tale sicurezza di sé che finiscono per convincere anche gli altri (stolti) di possedere competenze e capacità di cui sono del tutto o molto sprovvisti.
Oggi anche la psicologia moderna dà man forte a questi concetti, nella misura in cui categorizza tanto i ciucci presuntuosi quanto gli intelligenti autocritici nell’ambito della distorsione cognitiva conosciuta come “Effetto Dunning-Kruger“, dal nome dei due studiosi che hanno misurato sperimentalmente la propensione degli incompetenti a sopravvalutarsi e, di conseguenza, a comportarsi in modo supponente, assertivo e decisionista.
Insomma, Dunning e Kruger hanno dimostrato una cosa che era nota almeno da un paio di millenni, arrivando alla conclusione che il mondo è pieno di una massa di ignoranti che, per dirla col Socrate di Platone, “s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”, laddove, è risaputo, il saggio “sa di non sapere” e si fa sopraffare dai dubbi e dalle incertezze.
Anche perché, come precisava Voltaire, “bisogna essere dei grandi ignoranti per rispondere a tutto quello che ci viene chiesto.” (“Le philosophe ignorant“, 1776)
Personalmente reputo che questi concetti, per quanto tragicamente giusti, contengano in sé un che di paradossale… Intendo dire che se, per ipotesi, togliessimo agli intelligenti i loro dubbi e le loro indecisioni, si trasformerebbero ipso facto in stupidi e arroganti come quegli altri là che hanno in mano le leve del mondo.
E se per accidente l’intelligente-pentito, una volta salito al potere, riprendesse a dubitare, rischierebbe di diventare così problematico da risultare immobile di fronte alle scelte che gli si parassero dinanzi. Come se si trovasse stretto in una camicia di forse che gli impedisse l’espletamento di qualsiasi azione o funzione.
Sarà per questo che resta da millanta anni inapplicato il sogno platonico di uno Stato ideale governato da una casta di filosofi…. E sarà per ciò stesso che in giro si continuano a vedere tanti cretini di successo capaci di prendere in brevissimo tempo decisioni sbagliate e dannose, pur di non fermarsi a pensare e rischiare, così, di spargere sulla terra il seme sovversivo e destabilizzante del dubbio.
“Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il potere perché conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni potere.” (Dario Fo, da “La Repubblica” del 13 giugno 2004 )
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Appendice problematica ed autointerrogativa:
– Perché ogni tanto mi impegolo nella scrittura di questi trattatelli di stampo filosofico? – Perché “quanto più uno è ignorante tanto più è audace e pronto a scrivere”.
Ed ecco riaffiorare Dunning e Kruger nelle parole dell’immenso Spinoza, al quale mi inchino prima di tornare nel silenzio che mi compete.
La Befana é arrivata anche stanotte, col suo carico di doni, dubbi e (in)certezze
La nostra filastrocca epifanica di sempre, con l’aggiunta di qualche dubbio esistenziale sulla veridicità delle cose, delle persone e dei fatti. Perché viene sempre il momento in cui arriva la Befana e ci racconta che non esistono mamma e papà e, nel raccontarcelo, ci instilla pure qualche dubbio sull’esistenza di Babbo Natale e delle sue renne; anche se noi continuiamo a cercare imperterriti i nostri tesori. Ma, bando alle ciance, ecco la filastrocca con gli indizi per la risoluzione dei problemi di ricerca di Stefania che, dopo aver controllato la definizione di “anta”, ha trovato calza e giochetto in men che non si dica.
La Befana è arrivata stanotte
Col suo sacco di notizie interrotte,
Che tocca a te ricostruire
Se i suoi doni vuoi rinvenire.
Per prima cosa ha lasciato detto
D’andare a cercare per di…letto
E spalancare tutte quante le ante
Per quanto sian troppe oppure tante.
Poi vedi pure nei piani più alti
Con l’uso di scale, sedie o salti
Oppure chiedi un qualche aiuto
A quel signore calvo e barbuto
Che ti sta di presso, di mezzo ed accanto
Nei tempi di gioia e in quelli di pianto;
Lui ti darà di certo una mano
Tesa vicino oppure lontano.
E non ti stare più a preoccupare
Di capire se lei c’è o non ci sta,
Perché la gioia sempre arriverà
Se saprai che c’è da fare e non fare
Dentro questa terra
E in mezzo a questo male.
Alfine, quando le leccornie troverai,
Tanto per dire, lei già sa che già sai
che non devi mangiare in un attimo tutto
Se no farai tre scorregge ed un rutto,
Tutto il palazzo sarà distrutto
E quello che è bello si farà brutto.
Ricorda infine di esser generosa
E di non tenerti per te ogni cosa.
Condividere è davvero importante
In specie quando le cose son troppe e son tante!
Compartendo col mondo gioia e dolore,
Si vince la noia, si trova calore.
Compartendo gioia e dolore col mondo
Facciamo insieme un bel girotondo.