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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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L’uscita di scena di Francesco Silvestri

24 sabato Dic 2022

Posted by aitanblog in recensioni, vita civile

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Francesco Silvestri, morte, ricordi

Ricordi confusi a poche ore dalla fine

Francesco, non ho fatto in tempo.
Non ti ho detto neanche che l’ho trovato bellissimo “Piume“, che bisognava trovare subito qualcuno che avesse la forza di mettere in scena un’opera così delicata, intensa e coraggiosa.
Pensiamo sempre che c’è tempo.
Ci facciamo sopraffare dagli eventi.
Pensavo di tornare a farti visita in questi giorni. Ti avevo anche scritto che avevo perso il tuo numero di telefono. Ma non ho fatto in tempo.
Nell’ultimo vocale che mi hai mandato mi chiedevi di venire. Dicevi che ci saremo fatti un sacco di risate. E ci saremmo fatti un sacco di risate, se avessi fatto in tempo. Avremmo ricordato gli anni ’90. Avremmo ricordato quella volta che ti facesti accompagnare a un corso di drammaturgia e poi, a tradimento, mi presentasti come un esperto di teatro e disabilità e mi facesti parlare per due ore, dimostrandomi sul campo che potevo tenere la scena. Avremmo ricordato i tempi dell’allestimento di “Streghe da Marciapiede” al Teatro Nuovo. Avremmo ricordato la sera in cui ti ho conosciuto. Recitavi nel tuo “Angeli all’Inferno” con Enzo Moscato e Isa Danieli. Non so dire se fu Antonio Seller o Antonio Natale a presentarci. Forse tu te lo ricordi. Ma non puoi dirmelo più.

Francesco Silvestri
(16.4.1958-24.12.2022)


Avremmo ricordato le cene che facevamo parlando di teatro e progetti futuri e i viaggi in Cumana verso il Teatro dell’Edenlandia o qualche scuola di periferia. Ma non ho fatto in tempo. Non ho fatto in tempo a ricordare i corsi che ci inventammo per insegnare ai professionisti napoletani a parlare in pubblico e le giornate trascorse a creare progetti per la Fiera del Fantastico e il Cantiere dell’Immaginario. Avremmo ricordato le chiacchierate che diventarono “Senza orgoglio né pudore” e quella sera che mi facesti vedere la versione cinematografica de “Le cinque rose di Jennifer” in cui eri protagonista nel ruolo che fu di Annibale Ruccello. Eri un attore perfetto e meticoloso, un drammaturgo di primo piano e un bravo maestro di teatro. Ma ti hanno dimenticato. Hanno dimenticato quel capolavoro che è “Saro e la Rosa” e l’arguzia di un teatro per bambini ed adulti come “La guerra di Martin“. Hanno dinenticato i tuoi premi IDI per la scrittura drammaturgica e l’UBU come migliore attore non protagonista nella messa in scena di Servillo di “Sabato, domenica e lunedì” di Eduardo De Filippo (Luca, invece, ti aveva prodotto “Angeli all’inferno“). Hanno dimenticato i tuoi insegnamenti di drammaturgia alla Scuola Holden di Baricco e le lezioni di recitazione nella tua Accademia Clarence.
Il teatro dimentica presto. Hanno dimenticato anche “Il topolino Crick“, “Il bambino palloncino” e “Fratellini“. Hanno dimenticato tanto, a quanto pare. Ma io non voglio dimenticare.

Quando tua sorella Silvana mi ha detto che eri andato via da un’ora mi sono venuti in mente mille ricordi e rimpianti. Hai deciso di uscire di scena definitivamente nel bel mezzo dei cenoni di Natale. Un colpo di teatro e un colpo al cuore di chi ti vuole bene; anche se forse eravamo tutti troppo distratti per fartelo sentire ora che tu ti sentivi più solo e dimenticato.
Dimentica presto il teatro. E anche la vita. Ma io non voglio dimenticare.
Ci eravamo riacchiappati da poco attraverso i social. Quando hai pubblicato “Lezioni di scrittura teatrale” a quattro mani con Marco Andreoli mi hai condiviso un post in cui hai scritto, generosamente assai, “dedico la parte del volume da me redatta a Gaetano Vergara perché neppure lui sa quanto mi ha insegnato. Grazie.”


Era il 26 ottobre del 2021. Fu lì che riallacciammo i nostri contatti e seppi dell’infarto e degli acciacchi. Solo quest’estate sono passato da te e ho cominciato a dire in giro che avevi bisogno di noi, dei tuoi amici, che non bastavano i like sotto i tuoi post. Ma neanch’io sono riuscito ad essere abbastanza presente. Non ho fatto in tempo a dirti che “Piume” è un testo immaginifico, da un ritmo serrato e mozzafiato. Una vera sfida per la messa in scena. Ma una sfida che vale assolutamente la pena. E non ho fatto in tempo nemmeno a ridirti che ti voglio bene e neppure tu sai quanto mi hai insegnato e quanto mi hai dato. E che ho conosciuto per altre strade Silvana. Che le tue sorelle ti vogliono bene. Che c’è ancora tempo. Avrei dovuto ripetertelo che c’è ancora tempo quando c’era ancora tempo, porca miseria!
Ho interrotto il cenone quando ho saputo. Mi sono messo a cercare i tuoi libri, i tuoi dattiloscritti, segni delle cose che avevamo fatto insieme.
Ho buttato tutto a terra.
Poi ho ordinato alla meno peggio e ho fatto questa foto.


Dentro ci sono alcuni dei nostri comuni ricordi. E al centro il libro che ha scritto Vittorio Albano sulla tua scrittura teatrale. Si intitola “…E poi sono morto“.
Il sottotitolo è “La drammaturgia non postuma di Francesco Silvestri”.

Uno di quei paradossi che ti sarebbe piaciuto assai.


In ogni modo, tra qualche minuto è Natale.
E tu non ci sei più.

Lo scrittore è un medium

15 venerdì Lug 2022

Posted by aitanblog in immagini, texticulos

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morte, ultimi istante

Sette voci dalla collina

C’è vita prima della morte?
C’è vino dopo la morte?
C’è vita dietro quelle porte?

Sento voci distorte
che arrivano chiare
dalla collina.

Prima voce
Il giorno che mi ammazzai i treni subirono qualche minuto di ritardo. Il tempo di spazzare il mio corpo dai binari.

Seconda voce
Sono morto nel sonno. Tranquillo. Eravamo in cinque. Gli altri che erano in macchina con me gridavano come degli ossessi.

Terza voce
Bussarono. Bussarono. Ma io non potevo aprire.
Quando decisero di buttare giù la porta, ero già saltato giù dalla finestra.

Quarta voce
“Per evitare sorprese, devi sempre aspettarti tutto da tutti “, disse mio padre prima di trafiggermi il cuore con la forchetta ancora unta dell’olio di un’insalata condita male.

Quinta voce
All’ultima riga mi gettai giù dalla torre.
Pensavo che lui fosse sul punto di abbandonarmi. I miei pollici coprivano un NON e un MAI che racchiudevano quel maledetto TI LASCERÒ come un’insulsa parentesi.

Sesta voce
Quando mi disse che l’importante è essere belli dentro, non avrei mai potuto pensare che mi avrebbe squartata viva.

Settima voce
Con una lunga falce tra le mani, mi si avvicinò e mi chiese:
– Se potessi scegliere una sola cosa, che vorresti prima di morire?
Gli dissi
– Un minuto ancora. In loop…
Fece finta di non aver capito.

Il velo nero di Achille

05 lunedì Apr 2021

Posted by aitanblog in versiculos

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memoria, morte, primavera

Non ti è bastata più la magia.
A nulla ti è valsa la poesia.
Ora sei anche tu nella schiera
in un bel giorno di primavera.

In quanti porti ancora
a vela ammainata?
Quante notti ancora
senza una mattinata?

Tutto avvolto d’un velo oscuro,
ti piaceva scomparire
con dentro e davanti a te un muro
che non facevi scalfire.

Da quanti porti ancora
la nave è già partita?
Di quante morti ancora
sarà piena la mia vita?

Seguiranno domande
senza risposta
e chiacchiere
che nulla sapranno
dei tuoi sprazzi di gioia
e del tuo dolore.

Quanti rimpianti ancora
a vela reclinata?
Quante lacrime anche ora
sparse sulla mia strada?

Forse, se c’è un altro lato,
ritroverai tuo padre
che si lanciò nel vuoto
afferrando le mani alle esili zampe
di un colombo che non aprì le ali.

E, insieme, mio padre,
nostro zio,
la prima cugina
e tutta una schiera
di amici e parenti
che ci hanno lasciato
all’alba di un’altra
primavera.

Tra quante sorti ancora
si gioca la partita?
Di quante morti ancora
sarà fatta la mia vita?

Perché non importa
la data segnata sui calendari,
qualunque sia l’anno il giorno e l’ora
è sempre troppo presto per partire
e troppo lunga la fila
già schierata sulla scogliera

come condannati in attesa di giudizio.


The Cure, “The Holy Hour”, 1981

Achille era il più eccentrico ed inquieto della nostra inquieta ed eccentrica famiglia.
Non passava inosservato, Achille.
Negli anni ’80 fu il primo dark di Frattamaggiore. Tutto vestito di nero, con la faccia ricoperta di cerone, occhi contornati di matita, lunghi capelli corvini da medusa e unghia smaltate di nero.
Con la sua bella figura alta e dritta, le mani lunghe e affusolate, lo sguardo intenso da miope senza occhiali, non sarebbe passato inosservato neanche ‘cu ‘nu jeans e ‘na maglietta, in verità.
Aveva sei o sette anni meno di me, Achille. Da ragazzo mi faceva leggere terzine scritte in una lingua antica e misteriosa e mi parlava di magia e riti gotici.

Una trentina di estati fa non tornò da un viaggio in Calabria. Non tornò a settembre, a scuola iniziata, non tornò in autunno, non tornò per Natale né per Pasqua. Ogni tanto telefonava e diceva che stava bene, ma cosa facesse nessuno lo sapeva, e tutta la sua vita sembrava ammantata in uno spesso velo di mistero.
Finché, attraverso una serie di investigazioni che non sto qui a raccontare, venimmo a sapere che Achille si trovava a Cirò, sulla costa ionica.
Andammo zio Gennaro e io in spedizione persuasiva: Achille non aveva ancora 17 anni, ed in famiglia ci sembrava opportuno che concludesse almeno i suoi studi liceali.
Scoprimmo che Achille in Calabria faceva il mago, ed aveva uno studio, diciamo così, ben avviato; era diventato uno di quelli che ti ipnotizzano col pendolino, ti leggono la vita in una palla di vetro e ti tengono legati al filo delle loro parole. Mi spiegò che una professionista della magia lo aveva notato, aveva avvertito i suoi poteri e l’aveva avviato sul cammino del paranormale.
Non fu facile convincerlo a venire a prendersi il diploma a Napoli. In realtà, per un po’ fu lui a cercare di convincere me che anch’io c’avevo un certo carisma, un’aura, un sesto senso e non so che. Insomma per poco non aprimmo una ditta Vergara, cugini magici.
Il diploma alla fine lo prese, Achille, ma continuò ancora per un paio di anni ad esercitare la professione occulta.


Poi se ne andò a studiare filosofia a Milano. A un dato momento, si stancò e si trasferì a Dublino, poi a Londra, dove ha fatto mille mestieri (ma meno di quanto ne abbia fatto il padre), poi rientrò qua, dove la sua vita si è conclusa troppo presto e senza magia.

Riposi in pace, ora.

The level (‘A livella)

26 venerdì Mar 2021

Posted by aitanblog in idiomatica, immagini, recensioni, texticulos

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Amleto, morte, Totò

From William Shakespeare to Totò De Curtis

– A man can fish with the worm that ate a king, and then eat the fish he catches with that worm.
– What do you mean by that?
– Nothing but to show you how a king may go a progress through the guts of a beggar.
_____

AMLETO
Un uomo, un uomo qualsiasi,
qualsiasi uomo al mondo
può pescare mettendo all’amo
il verme che si è cibato
delle spoglie di un re,
di un governante,
di un magistrato,
‘nu grand’omme.
E poi mangiare il pesce
che ha pescato
usando quel verme.

CLAUDIO
Che cazzo vuoi dirmi?

AMLETO
Niente,
quisquilie,
pinzillacchere…
Voglio solo
farti vedere
come un re
possa passare
per la gola di un pezzente…

Nun ‘mporta si si pesce,
verme o sua maestà…
Ccà dinte
simmo tutte eguale,
muorte si tu
e muorte so pure je,
ognuno comme a ‘n’ato
é tale e quale.

Pecché ‘a morte
‘o ssaje che d’e?,
…è ‘na livella.

CLAUDIO
….!?

AMLETO
Claudio, Claudio,
guarda là,
lo vedi quel teschio,
chella coccia ‘e muorte
‘ittata int’a ‘na fossa
senza pietà?
Primma teneva pure essa
‘na lengua pe’ parla’,
e a capace che
sapeva canta’ pure…
Potrebbe essere
il cranio di un politicante,
di uno che si sarebbe sentito
di ingannare anche Dio!
E mo’, guarda là…

CLAUDIO
E già… Una livella…

AMLETO
Trasenno ‘stu canciello
ha fatte ‘o punto
c’ha perzo tutta
‘a vita e pure ‘o nomme…
Tu nun t’he fatto ancora
chistu cunto?

CLAUDIO
E  va be’
parole, parole, parole.

AMLETO
Sultante parole…

ENTRAMBI (cantando)
Parole tra noi…

schiere

18 giovedì Mar 2021

Posted by aitanblog in immagini, versiculos

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morte


schiere di persone
che hai voluto bene
ingabbiate in lastre di marmo

di quante morti
è fatta la vita di un uomo?

Post Mortem

07 mercoledì Ott 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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morte, perdita

Nella vita non ho mai vinto niente, ma sono sempre stato un perdente di successo.

(Nella morte potrebbe anche andare diversamente, ma non ci sarò al mio decesso.
Per cui alla fin fine, per quanto paia differente, vincere o perdere per me farà lo stesso.)

Fenomenologia breve degli ultimi rantoli

01 lunedì Giu 2020

Posted by aitanblog in immagini, musiche, riflessioni

≈ 2 commenti

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immortale, morte, polvere

Una cosa è abbastanza certa, ma non sicura al cento per cento: fino a prova contraria, alla fine, moriremo tutti, stroncati o logorati dal tempo. Abbastanza certo pure che, al momento, la seconda categoria resta di gran lunga, più vasta della prima. E va bene così.

Moriamo poco a poco, un po’ alla volta, fino a quando non risuona la nostra ultima ora e moriamo per davvero. Fili spezzati. Rami divelti. Pensieri interrotti, corpi inerti e vite paralizzate e immobilizzate su quell’ultimo istante.

Qualcuno, però, era già morto prima di morire. È una cosa risaputa.
Qualcuno muore a vent’anni, oppure a trenta, ma continua a portare addosso il suo cadavere come una croce che lo accompagnerà di lì all’ora in cui esalerà l’ultimo ansimo, oppure un urlo, l’estrema parola di una frase banale o una sentenza scolpita nella memoria dei vivi fino al loro ultimo respiro.

Qualcuno, dopo essere morto a venti o trent’anni, resuscita a nuova vita una o due volte. Ma sono casi rari destinati a scivolare comunque al fondo di un crinale che non si può ripercorrere in senso contrario.

Muoiono poco a poco o schiattano all’improvviso nel pieno delle loro futili finzioni, anche quelli che, fino a prova contraria, si sentivano immortali come la polvere. Come la polvere che prende ogni cosa.

I will be immortal like dust
I will be immortal like dust
I will be immortal like dust
that takes everything

Cantavo mille anni fa.

A Don Peppe, che vigilava ogni giorno sui nostri giochi

02 domenica Dic 2018

Posted by aitanblog in versiculos

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morte

Vedo intorno a me
troppe persone
impegnate
a fuggirla,
la vita,
mentre altrove
si combatte
per viverla
e cercare
una soluzione…

Sento ogni momento
la realtà inesorabile
della morte
bussare alla porta
di persone care.

Tanti sono andati via,
questo autunno.
Ed oggi è andato
un altro pezzo
della mia infanzia.

Ricordi che non svaniscono.

19 mercoledì Apr 2017

Posted by aitanblog in da lontano, immagini

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morte, padre

A mio padre e ai suoi ciclomotori.

Certe volte ti rivedo in giro sulla tua Vespa 150 e resto contrariato perché non ti fermi a salutarmi. 

Poi mi rendo conto che sei morto da più di 15 anni e la mia contrarietà prende un’altra direzione.

In memoria di Gennaro

27 martedì Dic 2016

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni

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famiglia, memoria, morte

Ci hai lasciato.
Ma hai lasciato in noi ricordi belli e incancellabili.
Hai lasciato qualche segno in ognuno di noi.

Ti ricordiamo sorridente, interessato a tutto e a tutti, sempre intento a concepirne una nuova o a mettere mano a un altro impegno o progetto.

“Homo sum, nil humani a me alienum puto” me lo facesti scrivere su un foglio 50-70 a caratteri cubitali.
Sono uomo, niente dell’uomo mi é estraneo.
Niente dell’uomo ti era estraneo.
Ti innamoravi di tutto.
Ti innamorasti, soprattutto, di Rosa.

Sei stato un maestro attento ai bisogni di ognuno, un dirigente competente e innovativo; sei stato per tanti di noi un maestro di vita. Un modello di altruismo e di lealtà.

Da insegnante eri sempre circondato da una folla di bambini e impiastricciato di colla e di colori; da direttore didattico aggiustavi impianti elettrici e computer, spostavi armadi e banchi, ti sedevi a lavorare in segreteria o a giocare tra gli alunni; e se qualcuno fosse passato per caso di lì, avrebbe avuto qualche difficoltà a inquadrarti come il dirigente della scuola.

Anche in famiglia, se c’era qualcosa da riparare o una questione da dirimere, chiamavamo zio Gennaro. E lui era sempre pronto a dare una mano senza fartelo pesare, e magari mostrandoti pure come sbrigartela da solo alla prossima insorgenza o necessità.
Da vero maestro eri indispensabile, ma facevi di tutto per non essere necessario.

Avevi una capacità logica che ti faceva mettere tutto in prospettiva e guardare i problemi da tutti i punti di vista possibili. E mi hai insegnato tanto, senza mai farmi una lezione.

Non ti sapevi dosare. Davi sempre tutto quello che potevi dare. Anche quando la malattia voleva distoglierti dai tuoi molteplici interessi, amori e passioni.
Perfino negli ultimi giorni dell’oblio, abbiamo intravisto in te una luce che ci ha aiutato ad andare avanti e ha illuminato soprattutto Rosa.
Le persone generose, per caso o per fortuna, a volte si incontrano e si tengono per mano.

Ci hai lasciato, Gennaro.
E hai lasciato due figlie bellissime.
Ci hai lasciato due figlie bellissime nelle quali rivediamo qualche volta il tuo sguardo e la tua visione divergente della realtà che ci pervade e ci circonda, la determinazione a navigare in direzione ostinata e contraria. Costi quel che costi…

A volte apparirvi schivo e compiaciuto del tuo anticonformismo, ma non hai mai smesso di interessarti dei problemi che ti giravano intorno. Sapevi essere dolce e affettuoso con le persone cui volevi bene e sapevi arrabbiarti e indignarti per le cose e le persone che meritano la nostra rabbia e indignazione.

Sapevi giocare coi bambini in un modo che li faceva crescere e divertire.
Hai giocato con ognuno di noi in un modo che ci ha fatto crescere e divertire. Ci hai insegnato a pensare e a vedere il mondo al di fuori dagli schemi precostituiti e dalle regole date. Ci hai insegnato che a volte bisogna fare scelte difficili e poi bisogna saperle difendere con determinazione, ma senza fare troppo rumore. Ed anche di questo ti sarò sempre grato.

Ci hai lasciato, ma hai lasciato in noi semi e radici.
Non ci hai lasciato davvero.

__________

(Scritta a caldo la notte della morte di Gennaro Vergara.)

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