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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Archivi tag: musiche

K 527 ovvero Il DG di WAM

06 venerdì Nov 2015

Posted by aitanblog in musiche, recensioni, vita civile

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musiche, recensioni, vita civile

Un geniale musicista austriaco e un librettista italiano che compongono un’opera messa in scena a Praga e basata su una storia inventata più di un secolo prima da un monaco spagnolo e già ripresa da un commediografo francese di fama internazionale; uno scandalo di risonanza sovrannazionale; le tresche di uno sciupafemmine che si fa donne di mezza Europa e ce lo fa raccontare dal suo servo su un tappeto di note suonate da ottoni tedeschi, violini cremonesi, legni francesi e piatti turchi…

In Italia seicento e quaranta;
In Alemagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.

V’han fra queste contadine,
Cameriere, cittadine,
V’han contesse, baronesse,
Marchesane, principesse.
E v’han donne d’ogni grado,
D’ogni forma, d’ogni età.

[…]

Non si picca – se sia ricca,
Se sia brutta, se sia bella;
Purché porti la gonnella,
Voi sapete quel che fa.

E quando lo sciupafemmine canta la sua serenata ad una prosperosa servetta, ecco apparire anche un mandolino napoletano:

Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro!
Deh, vieni a consolar il pianto mio:
se neghi a me di dar qualche ristoro,
davanti agli occhi miei morir vogl’io.

[Buciardo!]

Ma che razza di storia è questa? Globalizzazione ante litteram? Meticciato culturale? Una sorta di superproduzione internazionale che puntava a conquistare i mercati mondiali come un colossal hollywoodiano?
Io non lo so, ma mi viene sempre da sorridere quando ascolto il Don Giovanni di Mozart/Da Ponte e penso a quanto crossover ci sia già nella storia delle arti, della letteratura e della musica prima che si cominciasse a parlare di globalizzazione, integrazione, fusione, omologazione e confusione culturale.

La forza (ri)generatrice degli archetipi risciacquata nei panni della contaminazione, mi viene da dire, così, di getto, come un rutto scappato in pubblico, davanti a una schiera di tradizionalisti e di difensori strenui della purezza della classicità.

(I tradizionalisti ignorano che la maggior parte delle tradizioni nascono da contaminazioni di cui si è dimenticata l’origine. Ma, se glielo dici, ti danno del maleducato e perdono tempo a parlare del rutto.)

Improvvisazione sanremese sulle note di E.A.

28 sabato Feb 2015

Posted by aitanblog in musiche, otherstuff

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musiche

very very politically incorrect

Quando eu morrer

23 mercoledì Apr 2014

Posted by aitanblog in da lontano, idiomatica, musiche, recensioni

≈ 6 commenti

Tag

da lontano, idiomatica, musiche, recensioni

Tutto questo parlare negli ultimi tempi di impianti crematori, di ceneri, di polveri e di testamenti, mi ha fatto venire in mente questi versi:

Quando eu morrer
não me dêem rosas
mas ventos.

Quero as ânsias do mar
quero beber a espuma branca
duma onda a quebrar
e vogar.

Ah, a rosa dos ventos
a correrem na ponta dos meus dedo
a correrem, a correrem sem parar.
Onda sobre onda infinita como o mar
como o mar inquieto
num jeito
de nunca mais parar.

Por isso eu quero o mar.
Morrer, ficar quieto,
não.
Oh, sentir sempre no peito
o tumulto do mundo
da vida e de mim.

E eu e o mundo.
E a vida. Oh mar,
o meu coração
fica para ti.
Para ter a ilusão
de nunca mais parar.

“Quando eu morrer” è una poesia testamento del poeta angolano Alexandre Dáskalos, nato a Huambo nel 1924.
Pare che Dáskalos l’abbia scritta nel 1961, poco prima di morire in un ospedale di Guarda, nella regione montagnosa di Beira Alta, a nordest del Portogallo.
Nel 1988 il popolare cantautore portoghese Fausto l’ha messa in musica.
Come quella di Dáskalos, la vita di Fausto (al secolo Carlos Fausto Bordalo Gomes Dias) si è svolta tra l’Africa e l’Europa. Pensate che il cantautore è nato nel 1948 in una nave che dal Portogallo andava proprio in Angola, dove ha trascorso la sua infanzia; ma la famiglia di sua madre veniva dallo stesso distretto di Guarda in cui è morto Dáskalos e lui stesso risulta registrato all’anagrafe di una cittadina di quella zona (precisamente, a Vila Franca das Naves).

Come mi è capitato anche con l’Antologia di Spoon River e con Il Giovane Holden,* ho conosciuto prima la versione cantata e poi l’opera che l’ha ispirata. Era la fine degli anni ’80 o l’inizio del ’90, non ricordo bene, e mi trovavo a Lisbona in un periodo in cui i Madredeus non erano ancora popolari in tutta Europa e Wim Wenders non aveva messo mano a Lisbon Story. Essere in Portogallo era ancora essere altrove e Lisbona non era stata assalita da decine di centri commerciali, catene di fast food e multisale.
Saltando rapsodicamente da un disco all’altro, scoprivo in piccoli negozietti del Bairro Alto il meraviglioso mondo canoro di Pedro Ayres Magalhães, Rodrigo Leão e Teresa Salgueiro (“O pastor” mi lasciava senza fiato), di José Afonso (il padre dei cantautori portoghesi, anche lui in bilico tra l’Africa e il Portogallo), di Vitorino e di Né Ladeiras, di Sérgio Godinho e, appunto, di Fausto Bordalo Dias.
Con “Quando eu morrer” fu amore a prima vista. Mi accorsi che mi stavo commuovendo prima ancora di riuscire ad afferrare tutte le parole e comprai di corsa l’album “A preto e branco” (A nero e bianco) che si chiude proprio con questa poesia-canzone.

Il portoghese non l’ho mai studiato organicamente; l’ho imparato per strada in quegli anni e nel corso di altri viaggi. È da molto che non lo pratico. Ma voglio offrirvi una mia traduzione molto libera di questi versi. L’ho fatta in fretta, senza consultare vocabolari o dedicare il giusto tempo a cercare di riprodurre il ritmo e le suggestioni dell’originale. Se passa di qui qualche lusofono che capisce l’italiano, emendi pure senza ritegno le cose che devono essere emendate.

Quando morirò
non datemi rose,
ma vènti.

Voglio l’inquietudine del mare,
voglio bere la schiuma bianca
di un’onda fragorosa
e galleggiare.

La rosa dei venti
scorra sulla punta delle mie dita,
scorra,
scorra senza fermarsi.
Onda su onda infinita
come il mare,
come il mare inquieto
nell’animo che
non vuole mai avere freni.

Io voglio solo il mare.
Non morire né restare quieto.
Sentire sempre nel petto
il tumulto del mondo
della vita e di me stesso.

Io e il mondo
e la vita,
Mare,
il mio cuore
resta tuo
per avere l’illusione
di non fermarsi mai.


* Cfr. Fabrizio De André, “Non al denaro non all’amore né al cielo” (1971) e la canzone di Francesco Guccini “La Collina” tratta da “L’isola non trovata” (1970), la cui title track era a sua volta ispirata a Gozzano.

Note di soli, lacrime, baci e cammelli cinesi; ma soprattutto musica

19 mercoledì Mar 2014

Posted by aitanblog in musiche, recensioni

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musiche, plagio, recensioni

Mettetevi comodi e ascoltate questo paio di minuti di musica eseguiti dal grande Rahsaan Roland Kirk.

Siamo nel 1971 e, come capita spesso, Kirk suona nello stesso brano 5 o 6 strumenti, alcuni dei quali anche contemporaneamente.
È una bella versione del brano di Bill Withers, “Ain’t No Sunshine”.

Ma io, appena l’ho sentita, ho pensato al, “Cammello ‘nnamurato” di Pino Daniele; una canzone pubblicata nel 1995, quando il buon Pino era ormai nel pieno della sua crisi creativa (per come la vedo e la sento io).

Ho fatto una ricerca in rete e ho scoperto che a sua volta la melodia di Bill Withers, scritta all’inizio degli anni ’70, somiglia sorprendentemente a un brano degli inizi degli anni ’60 di Elvis Presley: “Summer Kisses, Winter Tears”.

Proseguo nella mia indagine e leggo di una somiglianza del brano di Withers (e dunque anche di quello di Elvis) con una canzone del 1986 di Sergio Caputo: “I cinesi non si affacciano mai”. Ma quella di Caputo a me sembra più che altro una canzoncina che cerca di imitare le tonalità della musica orientale (anche se, indubbiamente, la somiglianza c’è).

Andando avanti con le ricerche, trovo centinaia di cover del brano di Withers e perfino un paio di traduzioni in tedesco (si sono cimentati, tra gli altri, anche un giovanissimo Michael Jackson, Al Jarreau, Barry White, BB King, Caterina Caselli, Giorgia e Nancy Sinatra), ma la versione cantata che mi sembra più suggestiva è quella della cantautrice statunitense originaria di Taiwan Vienna Teng.

Caspita, è vero che le note sono sette (o dodici, contando anche i diesis e i bemolle) e le loro combinazioni più gradevoli non sono poi così tante, ma questa sequenza di suoni, che se siete arrivati fin qui avete ripetutamente e variamente ascoltato, ha trovato terreno fertile nelle corde di decine di autori e interpreti di terre e culture lontanissime. A volte basta così poco per entrare nella testa e nel cuore di milioni di persone…

Interludio pieno di note

28 lunedì Ott 2013

Posted by aitanblog in musiche, otherstuff, vita civile

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musiche

Senza la musica, la mia vita sarebbe un inferno; ma non ditelo ai miei vicini.

Sono anni che tormento qualunque oggetto abbia una possibilità per quanto remota di produrre suoni. Fare e ascoltare musica per me è un’ossessione e una necessità. Conosco la tecnica di decine di strumenti, ma non ho imparato a suonarne nemmeno uno come si deve. Mi accontento di capire come funzionano per ascoltare più a fondo le centinaia di cd che compro ogni anno.

Ho cominciato poco dopo aver imparato a parlare, percuotendo la batteria di pentole di mia madre. Mi piaceva soprattutto il fracasso dei coperchi che battevo e sfregavo uno sull’altro come se fossero i piatti della banda del paese. Poi ho iniziato a soffiare fiaschi, sfiorare e lisciare calici di cristallo, percuotere noci di cocco e lastre di alluminio. A 12 o 13 anni costruivo flautini, fischietti e siscareddu con canne di bambù, tappi di sughero ed ossi di albicocca.
Ai tempi del liceo, ho acquistato la prima chitarra e una stridentissima ciaramella. A 19 anni, mio padre ha comprato da uno zingaro sdentato e barbuto una piccola fisarmonica, lo strumento che lui avrebbe sempre voluto suonare e che io non ho mai imparato a trattare adeguatamente come avrebbe desiderato. Alla festa di laurea, i miei amici mi hanno regalato una tromba e dei bongos. E, nel mentre, io avevo già riempito la casa di fiati etnici, kazoo, scacciapensieri, armoniche, ocarine, piatti turchi, quenas, maracas, sikus, whistle, flageolet, palos de lluvia, calebasse, mbira, chimes, tammorre, launeddas, xilofoni e tastiere elettroniche. Poi è stata la volta di un sax soprano, un salterio, un sassofono elettronico, un ukulele, un’altra chitarra, un saz, un flauto traverso e un guitalele. Qualche anno fa, mi è arrivato direttamente dall’Armenia un meraviglioso duduk. In seguito, una che fino ad allora non aveva mai indovinato un regalo che trovassi minimamente gradevole, mi ha fatto felice con un cajón spagnolo.
Negli anni, ho lavorato come animatore teatrale con grandi e piccini, improvvisando, con tutti questi aggeggi, colonne sonore di storie che si creavano nelle loro teste sullo stimolo dei rumori e dei suoni che producevo mentre loro mettevano in moto la loro immaginazione a occhi chiusi e mente aperta.
Infine, quando ho rinnovato l’appartamento, ho riscoperto le inesauribili possibilità sonore dei tubi di conduttura e dei termosifoni davanti agli occhi esterrefatti di muratori, idraulici, elettricisti e braccianti edili. “Cchi fatica e cchi sona…”

Ancora oggi, se in casa vengono amici musicomani suoniamo di tutto; dalle chitarre ai fischietti, ai bicchieri e alle caccavelle. Meglio ancora se arrivano in compagnia dei loro figli. Per la gioia dei miei vicini.

Per me, esplorare la tecnica di un nuovo strumento o suonare con gli amici è come una specie di palestra per eliminare stress e tossine in eccesso. Per i vicini, immagino, che sia un altro motivo di tensione e nervosismo in mezzo allo sfibrante logorio della vita quotidiana.
Sono certo che ogni volta che ho cambiato casa, nel raggio di un tre o quattrocento metri abbiano osservato ore di festoso silenzio per celebrare la fine delle scale incerte e del trambusto.

Senza musica, senza la mia musica, per loro, la vita sarebbe stata di certo più tranquilla. E che ve lo dico a fare?

Feliz Navidad con Fresas y Nenas

23 venerdì Dic 2011

Posted by aitanblog in immagini, musiche, romantico, stefania

≈ 28 commenti

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immagini, musiche, romantico, stefania

Fragole e Nanna
(
Nenia per Stefania)
gaetano ‘aitan’ vergara ©2011

buona natale 2011 da stefania, romina e aitan

Mille e mille anni
E cento giorni ancora
T’ho aspettato ogn’ora
Ed ora eccoti qui
…Ora eccoti qui

Fiore di cristallo
Crini di cavallo
Bella come il ballo
Che ballerai anche tu
Ballerai anche tu

Cuore del mo cuore
Briciola di pane
Acqua di fontane
Dove sgorga amore
Dove sgorga amore

Dormi figlia bella
Dormi figlia mia
Che se dormi tu
M’addormento anch’io
M’addormento anch’io

Luna mia lunare
Stella siderale
Non esiste il male
Dove passi tu
Dove passi tu

Ninna ninna nanna
Dolce come panna
Fragole e pistacchio,
Me so’ rutto ‘o cacchio
Ma me faje addurmì
Ma me faje addurmì

per ascoltare una versione audio della nenia cliccate qui
e abbiate la bontà
di scusarmi la registrazione (assolutamente low-fi),
la vociastra e l’approssimativa esecuzione chitarristica.

˛ ° * • ˛•˛ ˚ ˛ *˛* ˚˛° ˛•˛
• ˛˚˛ ~ F e l i z ~ ° • ˚ • ˛ ˚ ˛
° ˛˚˛ • ° ~ N a v i d a d ~* °˛•
° ° ˛˚˛ ˚ ˛ •˛•˚ *˛*° *˚

Le gioie più le condividi più aumentano.

 

Los Calamento interpretan una bulería

01 lunedì Ago 2011

Posted by aitanblog in da lontano, musiche, recensioni

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da lontano, musiche, recensioni

28 de Julio 2011 – Los Calamento interpretan una bulería en el HJC

Il giorno che ballammo sui tavoli dell’Harlem Jazz Club di Barcellona.

((( Vedere per credere! )))

Estate a Madrid tra lo Yemen e l’Italia

22 venerdì Lug 2011

Posted by aitanblog in da lontano, immagini, musiche, recensioni, vita civile

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da lontano, immagini, musiche, recensioni, vita civile

(breve recensione di un concerto di Antonello Salis e Furio di Castri)
Madrid ha sempre qualcosa di nuovo da regalare, un trucco che ti ammalia, una nuova carta per sorprendere anche uno che, come me, sono vent’anni che ci ritorna un’estate sì e tre no.
Un paio di giorni fa mi sono lasciato catturare da un suggestivo concerto blues-funky-world ebreo-yemenita nella cornice magica del tempio egizio di Debod, ieri è stata la volta di un meraviglioso duo sabaudo-sardo che suonava jazz e affini in un bel vicoletto del Paseo del Prado.
Quando ho letto sulla Guía del Ocio che c’era quel magnifico pazzoide di Antonello Salis con Furio di Castri nello spazio antistante il Caixa Forum, ho fatto carte false per convincere mia moglie a cambiare i nostri programmi (che, a dire il vero, cambiano così spesso che sembrano scritti da un primo ministro italiano), e ben ce ne ha incolto. Il concerto, ispirato a brani d’opera legati (a nodi larghi) dal filo rosso del vino, ha affascinato anche lei (che normalmente preferisce il reggaeton e la musica latina).
Lo spettacolo è cominciato con un brano scoppiettante in cui i due compari italiani hanno subito messo in mostra le loro trascinanti doti di invenzione e dominio strumentale. Salis saltellava sui tasti del pianoforte come un forsennato, esibendo i suoni che possono uscire da un coda “preparato” quando sulle corde si appoggiano pentole, monete e buste di plastica (che suonava anche da sole, davanti al microfono, stropicciandole in funzione percussiva): così, sembrava a volte di ascoltare un clavicembalo, altre di sentire una kalimba, una tastiera elettronica o delle percussioni orchestrali. Furio di Castri gli faceva da contrappunto e sostegno, raddoppiando sul contrabbasso le note che uscivano dalla mano sinistra del compagno oppure offrendo un tipico accompagnamento jazzistico in stile walking bass. Bellissimo l’interplay, anche fisico, tra l’agitazione da folletto indemoniato del pianista e la rilassatezza apollinea del contrabbassista, che in un momento dello spettacolo si è avvicinato con aplomb torinese al coda e si è messo ad ascoltare ammirato l’assolo del sodale.
Il secondo brano era una suite che partiva da un’aria tratta dal Così fan tutte di Mozart e arrivava a un brano originale di Furio di Castri via Puccini Giacomo. E qui Salis ha messo in bella mostra anche le sue doti di fisarmonicista, mentre il suo compagno di bevute creava dei loop, registrando un paio di note sovracute del suo contrabbasso e suonandoci sopra.
A seguire, altre arie ebbre e inebrianti ispirate a Rossini, a Verdi, a Doninzetti e di nuovo a Puccini (a un certo punto, si è sentita una bella citazione di E lucean le stelle in una versione tenebrosa in cui Salis suonava il piano dopo aver messo sulle corde delle pentole, mentre di Castri alternava il pizzicato all’archetto. Erano due, ma sembravano otto o venti.)
Io mi sono divertito ed esaltato con questo Vino all’Opera e perfino inorgoglito in quanto italiano (cosa che, purtroppo, capita sempre più di rado).
A proposito, ma che dite, al mio rientro a fine mese, don B e  la sua cricca saranno finalmente andati via e liberemo nei lieti calici oppure li troveremo ancora lì, con un bastone infilato nel culo per tenerli in piedi e fingere che tutto vada bene e il governo non cade, non cade ancora, malgrado le tempeste internazionali e i perfidi attacchi anarco-insurrezionalisti di giudici, giornali, giovanotti giocherelloni e giureconsulti giudeo-massonici?


Altre note (aggiornamento del 24 luglio)Ieri Puerta del Sol era gremita di giovani e meno giovani indignati, una cosa da far accapponare la pelle, e io me la sono accapponata; però poi mi ha assalito il dubbio che molti erano lì per presenzialismo, per dire io c’ero, e me ne sono andato a Plaza del Carmen, dove mi sono messo a ballare per strada insieme con mia moglie, tre ragazze madrilene e un andaluso che avevano improvvisato una discoteca callejera, pompando a palla reggaeton dall’autoradio della loro utilitaria.

Interludio senza parole

18 venerdì Feb 2011

Posted by aitanblog in immagini, inter ludi, musiche, romantico

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immagini, inter ludi, musiche, romantico

Interludio senza parole

tranne queste

e un’altra

ancora

meditation

((( disegnino digitale, nel senso proprio di

‘realizzato strusciando il dito su un iPod touch’ )))

((( soudtrack: Charles Mingus: Meditation on Integration )))

r r r r r r r r a p  –  r i s p e t t o

04 venerdì Feb 2011

Posted by aitanblog in musiche, versiculos

≈ 12 commenti

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musiche, versiculos

(tiritera di un blogger di provincia)
rispetto
rispetto ai poeti
dai vagoni di versi
rispetto
rispetto agli autori
dai diritti già persi
rispetto
rispetto ai romanzieri
da una pagina al giorno
rispetto
rispetto al teatro
che ci gira intorno
rispetto
rispetto ai saggisti
dai milioni di vendite
e rispetto
rispetto ai turnisti
dalle alte rendite
rispetto
rispetto
rispetto
rispetto a questa gente
io scrivo poco o niente,
ma non consumo un accidente,
né carta, foglio, albero o foglia,
e nemmeno me ne sto alla voglia
di chi guarda la soglia
e ti rompe la coglia
senza rispetto
per la tua verità
che da dentro
germoglia e gorgoglia
in questa landa spoglia
o in qualsiasi altro
distretto
angoletto
o petto
si pensi
o si voglia.
e va bene così.
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