Una parola che non ti scivoli addosso per finire nella dimenticanza dell’inascoltato o del non detto.
Una parola esatta e necessaria, inutile come lo scroscio dell’onda sulla scogliera che ti salvò la vita.
[…]
Aprite le finestre della vostra percezione e lasciatevi inondare dai flussi e dai riflussi della poesia.
È Primavera, a pesar de todo.
*21 marzo, giornata internazionale della poesia*
(La poesia, molte volte, è un caso, un casolare, un casino di caccia, un incidente di percorso, una scoperta accidentale, una svista che ti rende tutto più chiaro…)
Tra quante sorti ancora si gioca la partita? Di quante morti ancora sarà fatta la mia vita?
Perché non importa la data segnata sui calendari, qualunque sia l’anno il giorno e l’ora è sempre troppo presto per partire e troppo lunga la fila già schierata sulla scogliera
come condannati in attesa di giudizio.
The Cure, “The Holy Hour”, 1981
Achille era il più eccentrico ed inquieto della nostra inquieta ed eccentrica famiglia. Non passava inosservato, Achille. Negli anni ’80 fu il primo dark di Frattamaggiore. Tutto vestito di nero, con la faccia ricoperta di cerone, occhi contornati di matita, lunghi capelli corvini da medusa e unghia smaltate di nero. Con la sua bella figura alta e dritta, le mani lunghe e affusolate, lo sguardo intenso da miope senza occhiali, non sarebbe passato inosservato neanche ‘cu ‘nu jeans e ‘na maglietta, in verità. Aveva sei o sette anni meno di me, Achille. Da ragazzo mi faceva leggere terzine scritte in una lingua antica e misteriosa e mi parlava di magia e riti gotici.
Una trentina di estati fa non tornò da un viaggio in Calabria. Non tornò a settembre, a scuola iniziata, non tornò in autunno, non tornò per Natale né per Pasqua. Ogni tanto telefonava e diceva che stava bene, ma cosa facesse nessuno lo sapeva, e tutta la sua vita sembrava ammantata in uno spesso velo di mistero. Finché, attraverso una serie di investigazioni che non sto qui a raccontare, venimmo a sapere che Achille si trovava a Cirò, sulla costa ionica. Andammo zio Gennaro e io in spedizione persuasiva: Achille non aveva ancora 17 anni, ed in famiglia ci sembrava opportuno che concludesse almeno i suoi studi liceali. Scoprimmo che Achille in Calabria faceva il mago, ed aveva uno studio, diciamo così, ben avviato; era diventato uno di quelli che ti ipnotizzano col pendolino, ti leggono la vita in una palla di vetro e ti tengono legati al filo delle loro parole. Mi spiegò che una professionista della magia lo aveva notato, aveva avvertito i suoi poteri e l’aveva avviato sul cammino del paranormale. Non fu facile convincerlo a venire a prendersi il diploma a Napoli. In realtà, per un po’ fu lui a cercare di convincere me che anch’io c’avevo un certo carisma, un’aura, un sesto senso e non so che. Insomma per poco non aprimmo una ditta Vergara, cugini magici. Il diploma alla fine lo prese, Achille, ma continuò ancora per un paio di anni ad esercitare la professione occulta.
Poi se ne andò a studiare filosofia a Milano. A un dato momento, si stancò e si trasferì a Dublino, poi a Londra, dove ha fatto mille mestieri (ma meno di quanto ne abbia fatto il padre), poi rientrò qua, dove la sua vita si è conclusa troppo presto e senza magia.
Un modo di denudarsi per trovarsi di nuovo travestiti.
Una maniera per gridare sussurrando dove fa male.
Un sistema di scrittura con insistiti a capo.
Un urlo di noia, di gioia o di vibrante protesta.
Un insieme di suoni in cerca di amanti.
A stick, a stone, o fim do caminho. É um resto de toco é um pouco sozinho.
Uno squarcio nel silenzio.
Una menzogna che dice la verità.
L’eterna ricerca di una cosa per scoprirne un’altra.
Le piogge di marzo che salutano l’inverno. Una promessa di vita no teu coração.
Un mondo che potrebbe esserci.
Un modo come un altro per ripassare il tempo.
Una parola che non ti scivoli addosso per finire nella dimenticanza del non detto, una parola precisa e necessaria misurata in ogni suo dettaglio o sgorgata da dentro con la forza impetuosa di uno starnuto incontrollabile o di un peto.
Una stella cadente che brilla senza lasciare niente.
Una nenia per risvegliare gli adulti e addormentare i bambini.
É pau, é pedra, é o fim do caminho. É um resto de toco, é um pouco sozinho. It’s a sliver of glass. It is life, it’s the sun. It is night, it is death. It’s a trap, it’s a gun. It’s a bang and a pun.
(La poesia, molte volte, è un caso, un incidente di percorso, una scoperta accidentale, una fenditura che apre uno squarcio nel buio di una notte oscura…)
È l’acqua di marzo che segna l’inizio di una nuova primavera.
È il 21 marzo, la giornata internazionale della poesia e io metto insieme una manciata di futili strofette riprese da altre primavere e rimaneggiate per l’occasione.
(Quest’anno non avevo voglia di scavarmi dentro parole nuove.)
(La poesia, molte volte, è un caso, un incidente di percorso, una scoperta accidentale, una svista che ti rende tutto più chiaro…)
Sono le acque di marzo
che segnano l’inizio
di una nuova primavera.
È il 21 marzo,
la giornata
internazionale
della poesia.
¡Caracoles!
Caspita!
‘Azzo!
Come è ormai tradizione, ad inizio primavera improvviso quattro, quattordici o una quarantina di perversi versi e li butto nella rete per vedere l’effetto che fa.