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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Mehr Licht! – Le luci di Casal di Principe

22 domenica Nov 2015

Posted by aitanblog in recensioni, vita civile

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recensioni, vita civile

Manisfesto della mostra La luce vince sull'ombra.

La mostra: “La luce vince l’ombra – gli Uffizi a Casal di Principe” è stata prorogata fino al 13 dicembre. Non ve la perdete.

E’ un raro connubio di etica e di estetica.
In uno spazio confiscato alla camorra e dedicato a don Peppe Diana, potrete ammirare una ventina di opere d’arte che proclamano il primato della luce sull’oscurità e della cultura sull’ignoranza.

La maggior parte delle opere esposte sono di pittori del ‘600 seguaci di Caravaggio e in qualche modo legati alla città di Napoli (tra gli altri, Luca Giordano, Massimo Stanzione, Giovann Battista Caracciolo, Mattia Preti, Artemisia Gentileschi, Jusepe de Ribera e Salvator Rosa).
Ma si può rivedere anche il “Fate presto” di Andy Wahrol (realizzato con tre gigantografie che riproducevano la prima pagina del Mattino pubblicata tre giorni dopo il terremoto dell’80) e una commovente e intensa videoinstallazione dedicata all’Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti, dipinto distrutto dall’attentato dinamitardo di via dei Georgofili perpetrato a Firenze nel 1993. Il quadro, in un trittico di pannelli, riprende vita attraverso una ricostruzione fatta con proiezioni tratte da vecchie foto dell’opera e sequenze documentarie dell’attentato.

Io mi sono emozionato. Sarà anche che ero in buona compagnia…

 


 

Ne approfitto per tornare a ringraziare per la perfetta organizzazione le donne e uomini di buona volontà del gruppo Sottoterra Movimento Antimafie, che hanno organizzato la visita all’insegna della convinzione che qui a sud del mondo e nel mondo intero si possano cambiare le cose che si debbono cambiare.

 

K 527 ovvero Il DG di WAM

06 venerdì Nov 2015

Posted by aitanblog in musiche, recensioni, vita civile

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musiche, recensioni, vita civile

Un geniale musicista austriaco e un librettista italiano che compongono un’opera messa in scena a Praga e basata su una storia inventata più di un secolo prima da un monaco spagnolo e già ripresa da un commediografo francese di fama internazionale; uno scandalo di risonanza sovrannazionale; le tresche di uno sciupafemmine che si fa donne di mezza Europa e ce lo fa raccontare dal suo servo su un tappeto di note suonate da ottoni tedeschi, violini cremonesi, legni francesi e piatti turchi…

In Italia seicento e quaranta;
In Alemagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.

V’han fra queste contadine,
Cameriere, cittadine,
V’han contesse, baronesse,
Marchesane, principesse.
E v’han donne d’ogni grado,
D’ogni forma, d’ogni età.

[…]

Non si picca – se sia ricca,
Se sia brutta, se sia bella;
Purché porti la gonnella,
Voi sapete quel che fa.

E quando lo sciupafemmine canta la sua serenata ad una prosperosa servetta, ecco apparire anche un mandolino napoletano:

Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro!
Deh, vieni a consolar il pianto mio:
se neghi a me di dar qualche ristoro,
davanti agli occhi miei morir vogl’io.

[Buciardo!]

Ma che razza di storia è questa? Globalizzazione ante litteram? Meticciato culturale? Una sorta di superproduzione internazionale che puntava a conquistare i mercati mondiali come un colossal hollywoodiano?
Io non lo so, ma mi viene sempre da sorridere quando ascolto il Don Giovanni di Mozart/Da Ponte e penso a quanto crossover ci sia già nella storia delle arti, della letteratura e della musica prima che si cominciasse a parlare di globalizzazione, integrazione, fusione, omologazione e confusione culturale.

La forza (ri)generatrice degli archetipi risciacquata nei panni della contaminazione, mi viene da dire, così, di getto, come un rutto scappato in pubblico, davanti a una schiera di tradizionalisti e di difensori strenui della purezza della classicità.

(I tradizionalisti ignorano che la maggior parte delle tradizioni nascono da contaminazioni di cui si è dimenticata l’origine. Ma, se glielo dici, ti danno del maleducato e perdono tempo a parlare del rutto.)

Funerali di distrazioni di massa e fortune dalle mani insanguinate

23 domenica Ago 2015

Posted by aitanblog in idiomatica, musiche, recensioni, vita civile

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idiomatica, musica, recensioni, vita civile

Ormai non si parla d’altro. Sembra che le sorti di questo paese e l’equilibrio di tutto l’universo mondo dipendano dai Casamonica. Come se prima di questa non ci fossero state altre rappresentazioni sfarzose di patrimoni fondati su una o più azioni criminali o soprusi. Qualcuno diceva che alla base di ogni ricchezza c’è sempre un delitto e poi, per nascondere gli scheletri negli armadi o nei pilastri di cemento, si ciancia di self-made-men e “fortune” guadagnate, ereditate, rischiate o sperperate; come se tutti quegli ingenti capitali potessero davvero derivare da un predestinato intruglio di onesto impegno e buona sorte. La mia laica speranza è che gli resti almeno il puzzo di sangue sulle mani, come nei peggiori incubi di Lady Macbeth: “Chi poteva pensare che il vecchio avesse in corpo tanto sangue? […] Tutti i profumi d’Arabia non tergeranno questa piccola mano.” Eppure, a ben vederli, i plutocrati di questo mondo sembrano tutti innocenti e convinti del buon diritto del loro strapotere e, pur con stili diversi, tutti ostentano le loro fortune, le loro ville, le loro conquiste, gli ori, i diamanti, i nani, le ballerine, le troie e la servitù prona e sempre-leccante.

Funerali Casamonica - La foto non è mia , l'ho presa dal Secolo XIX e ritoccata.

Foto REUTERS/Stringer (da me ritoccata)

Ma torniamo a questi funerali di distrazione di massa. Io, personalmente, confesso che ho trovato anche un certo fascino grottesco in questa festa organizzata da orde di parenti venuti a salutare il caro estinto da ogni dove (anche dalle carceri di Stato). Un tripudio del kitsch che confina col camp e l’espressionismo surrealista, il sogno di un pidocchio in frack, un flashmob sponsorizzato dalla criminalità organizzata e dai sodali politicanti e predicanti, il delirio di un regista serbo-italiano o di un pittore ispano-siciliano. I cavalli neri, i petali di rosa che cadevano dal cielo e soprattutto la banda multietnica che suonava la musica di Fortunella… Sì, Fortunella. Tutti hanno parlato di quel capolavoro della musica da film come la colonna sonora del “Padrino”, però, in origine, Nino Rota non aveva composto quel tema per la saga della famiglia Corleone, ma per “Fortunella”, un piccolo film diretto alla fine degli anni ’50 da Eduardo De Filippo: la storia un po’ patetica di una donnetta romana (Giulietta Masina) che si arrangia vendendo roba vecchia a Porta Portese a fianco di un rigattiere che la sfrutta e da cui dipende anche psicologicamente (Alberto Sordi). Ma lei sogna di essere la figlia di un principe. Come Totò. Che sognava di essere l’erede del Principe De Curtis e fece i suoi funerali nella stessa carrozza di questo principe dei rigattieri di cui oggi si parla tanto. Troppo.

E poi, tutta questa storia, con tanto di coinvolgimento di prefetti, vescovi, sindaci, cardinali e giornalisti che ne parlano e ne straparlano, è diventata un meraviglioso “esperpento” – termine spagnolo coniato nel secolo scorso da Valle Inclán per designare quegli specchi deformanti che aiutano a capire meglio una realtà deformata. La realtà deformata di un paese in profonda crisi che passa il suo tempo a parlare di grossi e grassi funerali romani.


(E con questa nota ci sono caduto anch’io, come vedete, tutto unto di chiacchiericcio e distratto dai fatti che davvero ci struggono e ci hanno distrutto; bloccato qui, davanti a un funerale, per non guardare i morti a mare e i giovani scarsi di futuro e di fortune a venire e i poveri che diventano sempre più poveri, mentre i ricchi ergono altri patrimoni sui loro impunibili delitti.)

Quando eu morrer

23 mercoledì Apr 2014

Posted by aitanblog in da lontano, idiomatica, musiche, recensioni

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da lontano, idiomatica, musiche, recensioni

Tutto questo parlare negli ultimi tempi di impianti crematori, di ceneri, di polveri e di testamenti, mi ha fatto venire in mente questi versi:

Quando eu morrer
não me dêem rosas
mas ventos.

Quero as ânsias do mar
quero beber a espuma branca
duma onda a quebrar
e vogar.

Ah, a rosa dos ventos
a correrem na ponta dos meus dedo
a correrem, a correrem sem parar.
Onda sobre onda infinita como o mar
como o mar inquieto
num jeito
de nunca mais parar.

Por isso eu quero o mar.
Morrer, ficar quieto,
não.
Oh, sentir sempre no peito
o tumulto do mundo
da vida e de mim.

E eu e o mundo.
E a vida. Oh mar,
o meu coração
fica para ti.
Para ter a ilusão
de nunca mais parar.

“Quando eu morrer” è una poesia testamento del poeta angolano Alexandre Dáskalos, nato a Huambo nel 1924.
Pare che Dáskalos l’abbia scritta nel 1961, poco prima di morire in un ospedale di Guarda, nella regione montagnosa di Beira Alta, a nordest del Portogallo.
Nel 1988 il popolare cantautore portoghese Fausto l’ha messa in musica.
Come quella di Dáskalos, la vita di Fausto (al secolo Carlos Fausto Bordalo Gomes Dias) si è svolta tra l’Africa e l’Europa. Pensate che il cantautore è nato nel 1948 in una nave che dal Portogallo andava proprio in Angola, dove ha trascorso la sua infanzia; ma la famiglia di sua madre veniva dallo stesso distretto di Guarda in cui è morto Dáskalos e lui stesso risulta registrato all’anagrafe di una cittadina di quella zona (precisamente, a Vila Franca das Naves).

Come mi è capitato anche con l’Antologia di Spoon River e con Il Giovane Holden,* ho conosciuto prima la versione cantata e poi l’opera che l’ha ispirata. Era la fine degli anni ’80 o l’inizio del ’90, non ricordo bene, e mi trovavo a Lisbona in un periodo in cui i Madredeus non erano ancora popolari in tutta Europa e Wim Wenders non aveva messo mano a Lisbon Story. Essere in Portogallo era ancora essere altrove e Lisbona non era stata assalita da decine di centri commerciali, catene di fast food e multisale.
Saltando rapsodicamente da un disco all’altro, scoprivo in piccoli negozietti del Bairro Alto il meraviglioso mondo canoro di Pedro Ayres Magalhães, Rodrigo Leão e Teresa Salgueiro (“O pastor” mi lasciava senza fiato), di José Afonso (il padre dei cantautori portoghesi, anche lui in bilico tra l’Africa e il Portogallo), di Vitorino e di Né Ladeiras, di Sérgio Godinho e, appunto, di Fausto Bordalo Dias.
Con “Quando eu morrer” fu amore a prima vista. Mi accorsi che mi stavo commuovendo prima ancora di riuscire ad afferrare tutte le parole e comprai di corsa l’album “A preto e branco” (A nero e bianco) che si chiude proprio con questa poesia-canzone.

Il portoghese non l’ho mai studiato organicamente; l’ho imparato per strada in quegli anni e nel corso di altri viaggi. È da molto che non lo pratico. Ma voglio offrirvi una mia traduzione molto libera di questi versi. L’ho fatta in fretta, senza consultare vocabolari o dedicare il giusto tempo a cercare di riprodurre il ritmo e le suggestioni dell’originale. Se passa di qui qualche lusofono che capisce l’italiano, emendi pure senza ritegno le cose che devono essere emendate.

Quando morirò
non datemi rose,
ma vènti.

Voglio l’inquietudine del mare,
voglio bere la schiuma bianca
di un’onda fragorosa
e galleggiare.

La rosa dei venti
scorra sulla punta delle mie dita,
scorra,
scorra senza fermarsi.
Onda su onda infinita
come il mare,
come il mare inquieto
nell’animo che
non vuole mai avere freni.

Io voglio solo il mare.
Non morire né restare quieto.
Sentire sempre nel petto
il tumulto del mondo
della vita e di me stesso.

Io e il mondo
e la vita,
Mare,
il mio cuore
resta tuo
per avere l’illusione
di non fermarsi mai.


* Cfr. Fabrizio De André, “Non al denaro non all’amore né al cielo” (1971) e la canzone di Francesco Guccini “La Collina” tratta da “L’isola non trovata” (1970), la cui title track era a sua volta ispirata a Gozzano.

Note di soli, lacrime, baci e cammelli cinesi; ma soprattutto musica

19 mercoledì Mar 2014

Posted by aitanblog in musiche, recensioni

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musiche, plagio, recensioni

Mettetevi comodi e ascoltate questo paio di minuti di musica eseguiti dal grande Rahsaan Roland Kirk.

Siamo nel 1971 e, come capita spesso, Kirk suona nello stesso brano 5 o 6 strumenti, alcuni dei quali anche contemporaneamente.
È una bella versione del brano di Bill Withers, “Ain’t No Sunshine”.

Ma io, appena l’ho sentita, ho pensato al, “Cammello ‘nnamurato” di Pino Daniele; una canzone pubblicata nel 1995, quando il buon Pino era ormai nel pieno della sua crisi creativa (per come la vedo e la sento io).

Ho fatto una ricerca in rete e ho scoperto che a sua volta la melodia di Bill Withers, scritta all’inizio degli anni ’70, somiglia sorprendentemente a un brano degli inizi degli anni ’60 di Elvis Presley: “Summer Kisses, Winter Tears”.

Proseguo nella mia indagine e leggo di una somiglianza del brano di Withers (e dunque anche di quello di Elvis) con una canzone del 1986 di Sergio Caputo: “I cinesi non si affacciano mai”. Ma quella di Caputo a me sembra più che altro una canzoncina che cerca di imitare le tonalità della musica orientale (anche se, indubbiamente, la somiglianza c’è).

Andando avanti con le ricerche, trovo centinaia di cover del brano di Withers e perfino un paio di traduzioni in tedesco (si sono cimentati, tra gli altri, anche un giovanissimo Michael Jackson, Al Jarreau, Barry White, BB King, Caterina Caselli, Giorgia e Nancy Sinatra), ma la versione cantata che mi sembra più suggestiva è quella della cantautrice statunitense originaria di Taiwan Vienna Teng.

Caspita, è vero che le note sono sette (o dodici, contando anche i diesis e i bemolle) e le loro combinazioni più gradevoli non sono poi così tante, ma questa sequenza di suoni, che se siete arrivati fin qui avete ripetutamente e variamente ascoltato, ha trovato terreno fertile nelle corde di decine di autori e interpreti di terre e culture lontanissime. A volte basta così poco per entrare nella testa e nel cuore di milioni di persone…

Citazione eteronima (ma non lo diciamo in giro)

25 giovedì Lug 2013

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recensioni, texticulos, vita civile

“Ci sono persone da cui dobbiamo imparare a stare alla larga. Sono persone che non si relazionano con noi come persone, ma come tiranni, carnefici e sanguisughe. Dobbiamo imparare a sentire il loro odore di succhiasangue e scappare via prima che si avventino sul nostro collo; perché, se si attaccano, è finita. Liberarsene è impresa quasi impossibile, a meno che non scaturisca da loro stessi la volontà di occuparsi di un altro collo.

[…] Dobbiamo stare sempre all’erta, anche perché, molte volte, sono così capaci di manipolare la realtà da presentarsi al mondo col faccino delle vittime indifese, e mentre porgiamo loro la mano, la mordono e cominciano a succhiare e succhiare, fino a lasciarci stesi al suolo, tramortiti.

[…] Io stesso scrivo queste parole a futura memoria, nei rari attimi in cui riesco a riprendere possesso di me. Prima del prossimo morso.”

Da “Vamp, vampiri e vampate di flebile ingegno“, Giles Ravager, 2011

13 martedì Set 2011

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PMJ 2011
immagini della III giornata 
della XVI edizione
 
martino-salis
Giulio Martino (sax) e Antonello Salis (fisarmonica)
ospiti allo Joe Zawinul Tribute di Pippo Matino

 

james senese
James Senese (sax e voce), autentica icona del jazz rock pop nostrano

sclavis-portal

Il magnifico duo Michel Portal e Louis Sclavis (clarinetti bassi)

foto di gaetano aitan vergara (c)(c) 2011

 

Los Calamento interpretan una bulería

01 lunedì Ago 2011

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da lontano, musiche, recensioni

28 de Julio 2011 – Los Calamento interpretan una bulería en el HJC

Il giorno che ballammo sui tavoli dell’Harlem Jazz Club di Barcellona.

((( Vedere per credere! )))

Estate a Madrid tra lo Yemen e l’Italia

22 venerdì Lug 2011

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da lontano, immagini, musiche, recensioni, vita civile

(breve recensione di un concerto di Antonello Salis e Furio di Castri)
Madrid ha sempre qualcosa di nuovo da regalare, un trucco che ti ammalia, una nuova carta per sorprendere anche uno che, come me, sono vent’anni che ci ritorna un’estate sì e tre no.
Un paio di giorni fa mi sono lasciato catturare da un suggestivo concerto blues-funky-world ebreo-yemenita nella cornice magica del tempio egizio di Debod, ieri è stata la volta di un meraviglioso duo sabaudo-sardo che suonava jazz e affini in un bel vicoletto del Paseo del Prado.
Quando ho letto sulla Guía del Ocio che c’era quel magnifico pazzoide di Antonello Salis con Furio di Castri nello spazio antistante il Caixa Forum, ho fatto carte false per convincere mia moglie a cambiare i nostri programmi (che, a dire il vero, cambiano così spesso che sembrano scritti da un primo ministro italiano), e ben ce ne ha incolto. Il concerto, ispirato a brani d’opera legati (a nodi larghi) dal filo rosso del vino, ha affascinato anche lei (che normalmente preferisce il reggaeton e la musica latina).
Lo spettacolo è cominciato con un brano scoppiettante in cui i due compari italiani hanno subito messo in mostra le loro trascinanti doti di invenzione e dominio strumentale. Salis saltellava sui tasti del pianoforte come un forsennato, esibendo i suoni che possono uscire da un coda “preparato” quando sulle corde si appoggiano pentole, monete e buste di plastica (che suonava anche da sole, davanti al microfono, stropicciandole in funzione percussiva): così, sembrava a volte di ascoltare un clavicembalo, altre di sentire una kalimba, una tastiera elettronica o delle percussioni orchestrali. Furio di Castri gli faceva da contrappunto e sostegno, raddoppiando sul contrabbasso le note che uscivano dalla mano sinistra del compagno oppure offrendo un tipico accompagnamento jazzistico in stile walking bass. Bellissimo l’interplay, anche fisico, tra l’agitazione da folletto indemoniato del pianista e la rilassatezza apollinea del contrabbassista, che in un momento dello spettacolo si è avvicinato con aplomb torinese al coda e si è messo ad ascoltare ammirato l’assolo del sodale.
Il secondo brano era una suite che partiva da un’aria tratta dal Così fan tutte di Mozart e arrivava a un brano originale di Furio di Castri via Puccini Giacomo. E qui Salis ha messo in bella mostra anche le sue doti di fisarmonicista, mentre il suo compagno di bevute creava dei loop, registrando un paio di note sovracute del suo contrabbasso e suonandoci sopra.
A seguire, altre arie ebbre e inebrianti ispirate a Rossini, a Verdi, a Doninzetti e di nuovo a Puccini (a un certo punto, si è sentita una bella citazione di E lucean le stelle in una versione tenebrosa in cui Salis suonava il piano dopo aver messo sulle corde delle pentole, mentre di Castri alternava il pizzicato all’archetto. Erano due, ma sembravano otto o venti.)
Io mi sono divertito ed esaltato con questo Vino all’Opera e perfino inorgoglito in quanto italiano (cosa che, purtroppo, capita sempre più di rado).
A proposito, ma che dite, al mio rientro a fine mese, don B e  la sua cricca saranno finalmente andati via e liberemo nei lieti calici oppure li troveremo ancora lì, con un bastone infilato nel culo per tenerli in piedi e fingere che tutto vada bene e il governo non cade, non cade ancora, malgrado le tempeste internazionali e i perfidi attacchi anarco-insurrezionalisti di giudici, giornali, giovanotti giocherelloni e giureconsulti giudeo-massonici?


Altre note (aggiornamento del 24 luglio)Ieri Puerta del Sol era gremita di giovani e meno giovani indignati, una cosa da far accapponare la pelle, e io me la sono accapponata; però poi mi ha assalito il dubbio che molti erano lì per presenzialismo, per dire io c’ero, e me ne sono andato a Plaza del Carmen, dove mi sono messo a ballare per strada insieme con mia moglie, tre ragazze madrilene e un andaluso che avevano improvvisato una discoteca callejera, pompando a palla reggaeton dall’autoradio della loro utilitaria.

Campania felix, Campania fetida reloaded

28 giovedì Ott 2010

Posted by aitanblog in immagini, otherstuff, recensioni, vita civile

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immagini, recensioni, vita civile

Questa regione è così felice, così deliziosa, così fortunata, che vi si riconosce evidente l’opera prediletta della natura. Quest’aria vitale, la perpetua mitezza del cielo, la campagna così fertile, i colli solatii, le foreste sicure, le montagne perdute fra le nubi, l’abbondanza di viti e di ulivi…e tanti laghi, e dovizia di acque irrigue e di fonti, tanti mari e tanti porti! Una terra da ogni parte aperta ai commerci e che, quasi per incoraggiare gli umani, stende le sue braccia nel mare.
Plinio il Vecchio, I secolo d.C.

In Napoli son trecento mila anime, e non faticano cinquanta mila; e […]  molta gente guastano tenendoli in servitù e povertà o fandoli partecipi di lor vizi, talché manca il servizio pubblico, e non si può il campo, la milizia e l’arte fare, se non male e con stento.
Tommaso Campanella, “La città del sole”, 1606

Via Toledo è una delle più belle vie che sia dato vedere, però è fetida e sudicia! In quali mani si trova, gran Dio! Perchè mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?
Marchese de Sade, “Voyage d’Italie”, 1776

Si dica, si racconti o si dipinga quel che si vuole ma qui ogni attesa è superata. Queste rive, golfi, insenature… Siano perdonati tutti coloro che a Napoli escono fuori di senno!
Johann Wolfgang Goethe,  “Italienische Reise”, 1787

Parto. Non dimenticherò né via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo.
Stendhal, “Rome, Naples, Florence”, 1817.

The people are filthy in their habits, and this makes filthy streets and breeds disagreeable sights and smells. There never was a community so prejudiced against the cholera as these Neapolitans are. But they have good reason to be. The cholera generally vanquishes a Neapolitan when it seizes him, because, you understand, before the doctor can dig through the dirt and get at the disease the man dies. The upper classes take a sea-bath every day, and are pretty decent.
Mark Twain, “The Innocents Abroad”, 1869

…Case crollanti, vicoli ciechi, ricovero d’ogni sporcizia: tutto è restato com’era, talmente sporco da fare schifo, senza mai uno spazzino che vi appaia, senza mai una guardia che ci faccia capolino. […] Un intrico quasi verminoso di vicoletti e vicolucci, nerastri, ove mai la luce meridiana discende, ove mai il sole penetra. Ove per terra la mota è accumulata da anni, ove le immondizie sono a grandi mucchi, in ogni angolo, ove tutto è oscuro e lubrico.
Matilde Serao, “Il ventre di napoli”, 1884

bici basura

“Quando sono andato a Pavia mi hanno proibito di buttare a terra la scatola vuota delle sigarette; ho detto io: A Fratta i bambini cacano a terra!”
Mio nonno, considerazione di un suo cliente riportata in “Cronache mediche”, 1965 (?)

Bottiglie di plastica, preservativi e siringhe usate, giocattoli senza bambini e fazzolettini pieni di muco. Ogni paese ha la spazzatura che merita. Tampax, cotton fioc e rasoi usa e getta. […] Il grado di civiltà di un popolo si misura dalla capacità di gestire i propri scarti. Copertoni di pneumatici, batterie scariche, cibo avariato. […] A terra è così sporco che ti sembra ridicolo conservarti l’involucro delle caramelle fino al prossimo cestino (sfasciato). Bombolette spray, medicinali scaduti, residui hardware e radiografie accartocciate. Un branco di scugnizzi parea sui marciapiedi a colpi di sacchetti di spazzatura sui passanti. Sedie senza seduta, frigoriferi rotti e materassi sfondati […] viviamo sommersi, e non ne sentiamo neanche più l’afrore.
aitan, 7 novembre 2006

¡Cólera! ¡Cólera! Moriremos todos. La angustia no es tan lejana si se tiene en cuenta que Nápoles fue la última ciudad europea que padeció una epidemia de cólera en 1973.
La situación es tan grave que las autoridades italianas han declarado el estado de emergencia. Pero se trata de una emergencia crónica, pues dura desde hace trece años. 

El País, 23/05/2007

Un’emergenza di più di cinquemila giorni, cinquemila giorni di lordura e miasmi.
aitan, 5 luglio 2007

mio cugino che ora sta in America […] vende mozzarelle agli americani fatte col latte liofilizzato, e chissà che schifezza che viene fuori, anche se magari […] è molto meglio di quella che mangiamo noi e producono a Cancello e Arnone o ad Acerra in mezzo alle discariche e a tutta quella diossina che sprizza dalla monnezza bruciata agli angoli delle strade, per non parlare dei cumuli di rifiuti speciali sotterrati nei campi dalla camorra, che quella la camorra mica si fa scrupolo di avvelenare i suoi propri figli, o forse non è esattamente così, perché è risaputo e ci sta scritto pure nei sacrosanti testi di Roberto Saviano che i figli dei camorristi più pesanti vivono a Oxford o se la spassano coast to coast negli Stati Uniti e si mangiano la mozzarella liofilizzata che produce mio cugino
aitan, 11 settembre 2007

Napoli ormai siamo noi, i nostri consumi culturali non fanno una gran differenza, sono la poltiglia di familismo, violenza, maschilismo, superstizione, pornografia con l’ossessione consumistica come unico criterio di giudizio. Il consumismo ha travolto con le sue immondizie le ultime resistenze civili di Napoli. 
Giorgio Bocca “Napoli maledetta” in L’espresso 10/01/2008

Lungo la strada, letteralmente invasa da una fetenzìa che proprio non si può immaginare, c’è la puzza delle diossina, che è un odore che non so raccontare, che non somiglia a nient’altro di conosciuto. […]
Vedo sulla mia sinistra un grande stabilimento. E’ una fabbrica, sulla quale campeggia la scritta: Concimi biologici.
Potrebbe essere una scena comica o drammatica, a scelta.
Il coro greco nella mia testa intanto fa il sottofondo, incessantemente. Innalza lai, birignai e lamentazioni. Insistono: perché non te ne vai? Perché non te ne vai?

Flounder, 13 gennaio 2008

Situazione oltre ogni limite civiltà. Napoli.
ilsole24ore.com, 16 gennaio 2008

D’altronde, quelle, le Autorità Centrali, non andavano sempre ripetendo che pure la situazione dei rifiuti era sotto controllo?
Fin dai primi anni di questo secolo.
Del millennio che è.
E talmente la situazione fu sotto controllo che addirittura la Discarica venne istituzionalizzata come si è già detto in qualche capitolo prima.
Successe così. Dapprincipio si butterò la Regione di tante discaricucce; indi, la si disseminò di termovalorizzattori in perenne, erigenda costruzione; infine, per incrementare le entrate si disse: visto che abbiamo tutte queste belle discariche, perché non facciamo venire anche la monnezza di altri popoli e comunità? Ma questa è storia nota e non è compito della letteratura descriverla e inventarla.
Va solo detto che, per inciso, le popolazioni locali si sono abituate, accustumbrate pure a questa quinta teatrale, molto reale, ma assai particolare: il policromo, soffice mare di buste di plastica di ogni tipo.
L’afrore perenne.
E, quindi, alla Discarica nessuno può rinunciare più, oramai.
Del resto, come privare le impantacollanate, imperizomate, muliebri locali, dee madri, accompagnate dalle figlie bulimiche o anoressiche (o bulimiche e anoressiche insieme), tutte griffate ra’cap’o’per’; come privare esseloro di questo sfizio sublime, un poco tossico ma divertente, rilassante: formare, cioè, e poscia foco dare alle enormi pire di bassura, i giganteschi zigguratt di monnezza e resti umani, ovunque butteranti la Discarica, visibboli anche dalla luna?
Le si poteva mai di ciò privare?!?
Che ormai l’industria turistica regionale aveva riorentato la sua mission, e a frotte arrivavano visitatori da ogni parte, in cerca di emozioni forti, da provarsi nei safari organizzati in aree ben delimitate della Discarica: la caccia ai mutanti.
Quelli fessacchiotti, si intende.
Alfar, “Muzzarè ovvero Odisseo di Secondigliano”, capitolo trentaquatt’, 2004-2008

Leggo, ascolto e guardo e mi turo il naso cercando ragioni nel passato e nel presente; guardo, ascolto leggo e mi turo il naso e mi sento io stesso un cumulo di immondi rifiuti lasciato in un angolo di strada senza una fetente di discarica in cui andare a finire.
aitan, 16 gennaio 2008

Passano i giorni, passano i mesi, ma qui non cambia niente, aumenta solo il sudiciume e il fetore.

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

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