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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Consapevolezza digitale

26 sabato Nov 2022

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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Tag

cd2022, cittadinanza digitale, rete

Non perché tutti siano superesperti, ma perché nessuno ne resti intrappolato.



Sei anni fa, giusto sei anni fa, questa mia riflessione sul Piano Nazionale Scuola Digitale.

A un anno dall’introduzione del PNSD nella scuola italiana, mi concedo un momento di riflessione sul ruolo dell’animatore e del team per l’innovazione digitale negli istituti nazionali di ogni ordine e grado.

L’informatica e le reti digitali sono ormai una realtà pervasiva, ma la scuola italiana, in molti casi, sembra essere ancora ferma ai tempi del calamaio e del gessetto bianco che stride sulla lavagna nera.
Le nuove generazioni entrano in classe come in un viaggio nel tempo in cui anche le LIM appese in qualche stanza al muro sembrano un oggetto non identificato, trovato là per chissà quale sbalzo spazio-temporale.

In quest’ottica, il team digitale credo debba farsi carico di promuovere la necessità di un cambiamento di rotta, diffondendo e catalizzando esperienze innovative, capaci di tenere la scuola al passo coi tempi. Ma bisogna stare attenti; l’esigenza di mutare l’esistente non deve far trascurare un’altra esigenza altrettanto incombente: quella di mettere in guardia tutta la comunità scolastica sui rischi connessi a un uso sconsiderato e acritico delle nuove tecnologie sia dentro che fuori dalle mura dei nostri istituti.

Dall’avvento dei social network, il più delle volte, l’uso che fa un ragazzo dell’informatica si limita allo scambio di messaggi istantanei ed alla lettura e al copia e incolla di stati su Facebook, oppure si riduce a un clic pigiato in modo più o meno indiscriminato in calce ai post altrui. La mia impressione è che la loro (e ormai anche la nostra) sia il più delle volte una lettura piuttosto distratta seguita da un altrettanto distratto movimento delle dita sul tastino del “like” o su quello di schematiche faccine che non possono certo riassumere la complessità e la ricchezza dei sentimenti e degli stati d’animo che attraversano e pervadono le nostre vite.

Checché ne pensino i loro genitori, i cosiddetti “nativi digitali” sono spesso incapaci di utilizzare in modo competente un tablet, un computer o anche uno smartphone: la maggior parte dei nostri studenti delle scuole superiori non sembra essere in grado di fare una seria ricerca in internet, di inviare una semplice mail o di formattare un testo in modo chiaro, efficace ed adeguato.

Su questi presupposti, l’educazione e la formazione nell’era digitale dovrebbero puntare soprattutto a risolvere questi problemi di alfabetizzazione informatica, aiutando i ragazzi, i genitori e i colleghi ad un uso più consapevole e critico delle potenzialità e dei rischi che comportano le nuove tecnologie.

Non si può introdurre internet in ambito scolastico senza dare agli alunni gli strumenti per discriminare e mettere in connessione dati ed eventi e senza far capire loro quanto possa essere inefficace e perfino ambiguo un linguaggio impoverito anche quando si comunica attraverso una chat, un SMS o altri servizi di messaggistica istantanea.

Altrimenti rischiamo di lasciare le nuove generazioni sole davanti a “Falsebook”, nelle loro camerette, vittime di colossali bufale e incapaci di sviluppare un pensiero critico e di comprendere ed esprimere pensieri, sensazioni e sentimenti complessi.
Una scuola che trascuri queste problematiche sarà per sempre una parallela destinata a non incontrarsi mai con la realtà delle vite dei suoi alunni, un mondo a parte sganciato dalle esigenze del presente e del futuro.

…

Sei anni dopo, dopo la pandemia e la sua scia infodemica, dopo l’ascesa e la crisi di Facebook, dopo l’uso diffuso e diffusamente incompetente degli strumenti di comunicazione a distanza anche per uso didattico (Zoom, Meet, Team, WebEx e compagnia cantante), dopo la divulgazione pervasiva dei pensierini sul digitale dei Crepet e dei Galimberti, dopo la sostituzione di tante LIM con Monitor Touch (altrettanto maldestramente utilizzati) nelle scuole italiane, dopo l’affermazione di TikTok e dopo l’avvicendarsi di 7 ministri in sei anni,* i problemi stanno tutti là.

Resta un grande e diffusa esigenza di alfabetizzazione informatica e resta il bisogno di arrivare ad un uso consapevole ed efficace delle risorse disponibili. Anche ai fini di un pieno e compiuto esercizio dei nostri diritti e dei nostri doveri nell’ambito delle comunità reali e virtuali in cui si svolgono le nostre vite.

Già nel 2012 Douglas Rushkoff (in “Programma o sarai programmato. Dieci istruzioni per sopravvivere all’era digitale”) osservava molto opportunamente come “un’intera società che considerava Internet un percorso verso interconnessioni positivamente articolate e nuove metodologie per la creazione di significato, si ritrovi invece disconnessa al suo interno, priva di riflessioni profonde e svuotata di valori duraturi”.

Su questi presupposti e in mezzo a questa rete caotica di problemi e questioni, ho lavorato negli scorsi due anni con tanti alunni e colleghi a questo progetto sulla cittadinanza digitale che torno a proporvi qui.

Link al al sito web CD2022


Non una soluzione, ma una goccia nel mare magnum di internet.
Non perché tutti siano superesperti della rete, ma perché nessuno ne resti intrappolato.

…


* Ma ve li ricordate almeno i nomi degli ultimi sette Ministri dell’Istruzione? Io, lo confesso, ho cercato su Wikipedia. Eccoli qua, vi risparmio il minuto di ricerca: Stefania Giannini, Valeria Fedeli, Marco Bussetti, Lorenzo Fioramonti, Lucia Azzolina, Patrizio Bianchi e Giuseppe Valditara.


Fuori rete

04 martedì Gen 2022

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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Tag

hikikomori, leoni, rete, social network

Dove torno a rimbalzare disordinatamente da Facebook al blog e viceversa

Tanti amici hanno già deciso o stanno decidendo in questi giorni di mettere i piedi fuori dal meta-flusso di Facebook, per non lasciarsi contagiare dalle sue acque torbide, per non farsi trascinare dalla corrente e per fare in modo che i loro dati e le loro emozioni non siano sfruttati per fini commerciali. Altri, semplicemente, riducono progressivamente la loro esposizione ai social cercando di liberarsi in modo morbido dall’assuefazione.
Io, invece, per il momento, ci resto ancora del tutto invischiato. Forse perché mi illudo di navigare a pelo d’acqua e di governare la rotta a mio piacimento. Sento, in qualche modo, di essermi mitridizzato. E poi, mi ripeto fino all’autoconvincimento che osservare il fenomeno dall’interno serve a farmi capire meglio le nuove generazioni e la deriva che sta prendendo la mia.
Eppure, tante volte, vedendomi dal di fuori, mi sento come un tossico che mentre assume la sua dose ripete a se stesso e al mondo io-smetto-quando-voglio.
E allora, vado dicendo in giro che restare in questo magma liquido mi serve pure per confrontarmi con amici, conoscenti e sconosciuti vicini e lontani; anche se constato ogni giorno che ci vuole molta pazienza per dibattere in uno spazio polarizzato, aggressivo, viscerale e umorale come il Faccialibro. Tanto più quando si intraprende una discussione in un gruppo pubblico o privato, dove, nella moltitudine, ognuno sembra perdere il suo senso del limite, il rispetto per l’altro e il valore della propria responsabilità personale. Un po’ come accade nei fenomeni di violenza collettiva (guerre, genocidi, lotte tra bande rivali, stupri di gruppo, tifoserie da stadio, atti di bullismo e di teppismo perpetrati da una massa di persone più o meno indistinta), dove, dal gregge, vengono fuori i ruggiti dei leoni da tastiera che si sentono protetti dalla distanza, dalla complicità della propria bolla di amici virtuali e, talvolta, anche dal loro relativo anonimato.


Alla luce di questa somma indistinta di ragioni e sensazioni, ritengo e ripeto spesso che era molto meglio quando si navigava nella “blogosfera“, quando, cioè, si interagiva, ognuno dal proprio blog personale, con un gruppo di persone che, di solito, era molto più limitato e circoscritto di quello degli attuali social. Mi pare che tra i blogger ci si leggesse reciprocamente con più attenzione, che i commenti fossero più ragionati, che le comunità fossero più salde. E poi si era più padroni dei propri post e perfino dell’impaginazione e della grafica dei testi pubblicati. (Sarà per questo che mi ostino a tenere vivo il mio vecchio blog in parallelo con i miei spazi feisbukkini e tante volte il Faccialibro lo uso anche come un trampolino per far rimbalzare i miei venticinque più affezionati lettori dal social ad aitanblog.wordpress.com).

Insomma, diciamo che resto nel Faccialibro per vedere l’effetto che fa, ma anche per alimentare il mio personale narcisismo e, proprio per questo, mi spiace quando alcuni dei miei amici decidono di andare via e finiscono per lasciarmi più solo tra la folla sterminata del meta-coso.
Questo, naturalmente, non vuol dire che non capisca e non rispetti fino in fondo la scelta di chi lascia, né che non senta anch’io l’esigenza di tenermi per qualche tempo lontano da questa sovrabbondante autorappresentazione pubblica (l’io che parla a un voi) per tornare a praticare con maggiore intensità una comunicazione a tu per tu.
Non a caso, un giorno sì e l’altro pure avverto l’esigenza di disconnettermi per far sì che il tempo pubblico che passo su FB non eroda il mio spazio privato. Disconnettermi per riconnettermi con me stesso e con il mondo reale, insomma.
Anche perché temo che, sotto sotto, continuiamo a restare invischiati nei social perché ci risulta molto più facile e meno impegnativo fare dichiarazioni sulla pace universale in rete che prenderci cura di chi ci sta vicino (il prossimo), e più facile anche comunicare a una massa indeterminata di persone che chiamare un amico in difficoltà o parlare con chi si sente solo o abbattuto. Ma, soprattutto, so bene che per tutti noi è meno faticoso e più comodo fare parte di una comunità virtuale che fare comunità (e agire) nel territorio in cui viviamo.

Qualche tempo fa scrivevo in un altro contesto che “per noi boomers il mondo sembra essere tutto dispiegato sul Faccialibro e difficilmente siamo indotti ad affacciarci su quello che succede fuori dalla sua rete protettiva. Se ci debbono dire qualcosa, che lo dicano sul muro sicuro di quella bacheca. Anche perché fuori da quel microcosmo, considerato che non troveremo i nostri pollicioni, i cuoricini, gli abbracci e le faccine, non riusciremmo più ad esprimere un nostro giudizio, una nostra emozione o un pensiero personale.”
Insomma, la nostra bolla di “amici” di Facebook è diventata la nostra “comfort zone” e, il più delle volte, abbiamo poca o nessuna intenzione di uscirne
Sarà per questo che tendiamo a riversare in rete gioie, tragedie e dolori, che finiscono per diventare (in modo più o meno in/consapevole) dei meccanismi acchiappalike.
Perché, è inutile negarlo, se si scrive qua sopra, si cerca il consenso (o almeno la reazione) dell’altro; per quanto si tratti di un altro indistinto, moltiplicato per il numero degli “amici” che si hanno in bacheca. E il fatto stesso di scrivere a un voi indistinto e mobile fa adeguare il tono e lo stile della nostra comunicazione alla molteplicità degli interlocutori, rischiando anche un appiattimento di forma e contenuti. (Di questo io credo di essere abbastanza consapevole da selezionare in modo quasi automatico quello che voglio scrivere sul blog, quello che destino alla mia bacheca pubblica, quello che metto nella pagina dei vicini di aitan e quello che destino a gruppi di carattere più “politico” o, al contrario, a singoli amici ai quali sono legato da un rapporto di comunicazione più intima e personale. Magari anche fuori dalla rete, nel mondo extra-virtuale.)

Tuttavia, poi mi dico che, alla fine dei conti, anche uno scrittore di libri di carta (come un utente dei social) scrive ad un voi indistinto. Nessuno mette fuori le sue parole in forma scritta solo per rileggersele da solo (anche perché perfino l’io che rilegge i suoi propri testi, a distanza di tempo, risulterà sempre diverso dall’io del momento in cui li stava scrivendo).
Umberto Eco sosteneva che “c’è una sola cosa che si scrive solo per se stesso, ed è la lista della spesa. Serve a ricordarti che cosa devi comperare, e quando hai comperato puoi distruggerla perché non serve a nessun altro. Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa a qualcuno”.
Il problema, certo, è che quel qualcuno, in un social network, per quanto indistinto, può essere più condizionante del pubblico dei lettori di carta. Perché in Facebook, anche se hai 5mila amici, ogni potenziale lettore ha un nome e un cognome (per vero o fittizio che sia). E, se fai il medico e parli di ospedali, finisci inevitabilmente per pensare che ti leggeranno anche gli infermieri, i pazienti, i colleghi e il primario. E poi quel qualcuno che ti legge sulla “tua” pagina Facebook ha diritto di parola su quello che scrivi e può interagire con te. E spesso lo fa (lo farà) in modo spiacevole, aggressivo o adulatorio.

Il mezzo, insomma, non è innocente. Nelle sue dinamiche chiunque entri resta invischiato (irretito), anche se con differenti gradi di consapevolezza, di disumanizzazione e di dipendenza. Fino alla perdita di controllo sulla propria vita e all’isolamento come deriva esistenziale.

Il rischio della disumanizzazione (e anche quello dell’alienazione) diventa ancora più forte nelle nuove generazioni. Noi boomers conosciamo la comunicazione dello spazio e del tempo extravirtuale; sappiamo che esiste anche una comunicazione a tu per tu non amplificata e deformata dalla rete. Il rischio è che le nuove generazioni conoscano solo questa modalità comunicativa io a voi e che non sappiano più cosa voglia dire avere una propria privacy, o sussurrarsi parole all’orecchio.

Sì è creato, insomma, un terribile circolo vizioso: ci isoliamo dal mondo, viviamo collettivamente come degli arcipelaghi legati dal mare che ci separa, e poi, navigando in quelle stesse acque, cerchiamo continue conferme che gli altri abbiano letto (e gradito) i messaggi che abbiamo lanciato senza mettere un preciso destinatario sulle nostre bottiglie da naufraghi. E quando non ci leggono (o non gradiscono) cresce in noi la frustrazione e lo sconforto.

Ma, beninteso, questo non è solo un problema dei millenials, di quelli della generazione Z o dei nativi digitali.
È brevissimo il passaggio dall’hikikomori adolescente che si chiude in una stanza di fronte a uno schermo al kodokushi (la morte solitaria) del cinquantenne ritrovato cadavere putrescente in una casa trasandata in cui si accumulano rifiuti tristezza e solitudine.
La mancanza di parole per dire agli altri il proprio disagio, lo sfaldamento di ogni relazione con un’altra singola persona a favore di una pseudocomunicazione con un gruppo indistinto di altri che più che interlocutori diventano “pubblico”, la rappresentazione falsata di se stessi attraverso lati buoni, labbra a culo di gallina, fotoritocchi e avatar non fanno che aumentare la nostra solitudine, fingendo di colmarla.
Un processo di disumanizzazione e alienazione che rischia di aumentare l’insoddisfazione e renderci peggiori.
Soprattutto quando è più forte la distanza tra la nostra vita virtuale (iperattiva) e la nostra vita extra-virtuale (passiva, spenta o inesistente).
Forse il segreto consiste nel presentarsi per quello che si è ed usare un linguaggio simile sia quando si è dentro che quando si è fuori dalla rete. Senza fotoritocchi, abbellimenti, trucchi, citazioni prive di fonte, appropriazioni indebite, risate stampate sulla faccia e ricerca spasmodica del lato buono.
Essere autentici. Presentarsi per quello che si è, con i propri difetti, le proprie mancanze, i propri pregi e le proprie contraddizioni. Rispettare gli altri, non alzare la voce e rispettarsi. Essere gentili. Mettersi in ascolto. Togliersi la maschera e restare umani! Anche quando si scrive e ci si rappresenta da dietro uno schermo protettivo, al riparo della rete.

_________________

P.s. Ho scritto un testo molto lungo. Ma lo so bene, lo so che qui la distrazione regna sovrana. Tante volte, “la rete intrappola le nostre parole e lascia che il ragno fagociti i nostri pensieri senza alcun segno di interesse o attenzione.”

…


Molte di queste riflessioni si debbono a scambi di opinione a distanza che negli anni ho fatto con Mariasole Ariot, che a intermittenza fa capolino sui social, ma, fondamentalmente, non ci è mai stata.


Il simulacro

27 lunedì Dic 2021

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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Tag

plagio, rete, scrivere, social

La scrittura nella rete

Ho l’impressione che scriviamo e continuiamo a scrivere qua sopra (qua dentro) per sconfiggere la nostra solitudine e la solitudine degli altri.
Scriviamo per cercare partecipazione, per denunciare quello che ci fa male e per condividere quello che ci produce gioia o piacere.
Scriviamo per soddisfare intime necessità di comunicazione e di comunione col mondo.
Scriviamo per provare agli altri e a noi stessi che esistiamo e, scrivendo, cerchiamo una riprova della nostra esistenza nel numero dei pollici eretti che riceviamo.
Anche quando non facciamo altro che copiare e incollare parole altrui oppure quando intasiamo i social per comunicare e ipercomunicare che non abbiamo nulla da dire, ma abbiamo l’impellente necessità di farlo sapere a tutti, che non abbiamo nulla da dire.

Poi tante volte la rete intrappola le nostre parole e lascia che il ragno fagociti i nostri pensieri senza alcun segno di interesse o attenzione.
Tante volte abbiamo l’impressione che la distrazione regni sovrana e che quei pollici eretti abbiano poco o nessun senso.
Tante volte ci rendiamo conto di essere isole legate dalle acque che ci separano e finiamo per sentirci più soli e inascoltati, dopo aver lanciato nel mare magnum del web il nostro ennesimo messaggio in bottiglia sotto forma di sussurro, di riflessione o DI GRIDO.
Abbiamo la sensazione di aver scritto una lettera che non riceve risposta.
E forse non ci rendiamo nemmeno conto di star scrivendo a una moltitudine più o meno indistinta e non a un singolo destinatario degno delle nostre confidenze e attenzioni.



E intanto Zuckerberg & Co. raccolgono i nostri dati e ne fanno mercato. Perché a loro solo questo interessa. Tenerci intrappolati nella loro rete e fare in modo che non mettiamo la testa fuori di qui e da qui intravediamo la realtà e ci approvigioniamo e soddisfaciamo i nostri desideri e bisogni. Loro vivono delle nostre impronte e dei segni che lasciamo in giro come una serie di pollicini clonati che inseguono i pifferai digitali di Gafam.

Insomma, a me pare che in fondo e in superficie la scrittura sui social riunisca in sé varie motivazioni che sono comuni allo scrivere tout court: l’impulso di fermare il tempo e costringere il passato a non cacciarsi in un buco nero senza vie di uscita; l’esigenza di comunicare con se stessi e cercare chiarezza nei propri pensieri; il desiderio di scrivere a una moltitudine; la ricerca dell’intimità; la necessità di sentirsi esistenti e perfino vivi… E però, alla fine dei conti, quella che instauriamo qua dentro e qua sopra è tutta una comunicazione illusoria che crea dipendenza e può perfino allontanarci dalla realtà. Alla fine dei conti, quello che instauriamo qua sopra e qua dentro è solo un simulacro, ma un simulacro che è sempre meglio di un silenzio senza vie di uscita o soluzioni.

¿Ma poi, non è forse un simulacro anche la scrittura e perfino la parola; ogni singola parola che si sforza ogni momento, anche ora, di rappresentare la realtà che rappresenta?

La verità sta da qualche parte tra Mark Twain e Jorge Luis Borges

16 mercoledì Giu 2021

Posted by aitanblog in recensioni, riflessioni, vita civile

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Tag

citazioni, rete, verità

Pesudo-citazione di Mark Twain


“It’s easier to fool people than to convince them that they have been fooled.”

La frase è attribuita a Mark Twain, ma non si trovano riscontri nel corpus della sua opera; a parte un brano dal contenuto analogo riportato nella seconda parte della sua autobiografia.

“How easy it is to make people believe a lie, and how hard it is to undo that work again!“
“Come è facile far credere alla gente una bugia, e come è difficile ristabilire la verità!”
Mark Twain, “Autobiography – Volume 2“, University of California Press, 2013.
[La traduzione, piuttosto libera, è mia.]

Se per voi, ora, è più facile credere al meme virale che attribuisce a Mark Twain la prima citazione che a me che gli attribuisco la seconda, con tanto di citazioni delle (presunte) fonti, si conferma la verità di entrambe le citazioni.
Se, invece, propendete a credere alla mia versione dei fatti, la verità di entrambe le citazioni ugualmente non viene scalfita (in quanto indipendente dal suo autore e da questo umile e dubbio postillatore).

Chiaramente, potrebbe anche essere che nessuna delle due frasi riportare in lingua originale inglese sia di pugno di Mark Twain. Al limite, potrei aver scritto io (o chiunque altro) tutte e due. Ma ciò nulla toglie alla constatazione secondo la quale è più facile raggirare qualcuno che convincerlo che è stato raggirato.

Il che, se ci pensate, rende ancor più pericolose e insinuanti le bufale e le fandonie che circolano per la rete e rimbalzano da sito a sito come palline impazzite che saltano dappertutto e si moltiplicano ad ogni balzo.

Tanto più quando non si hanno strumenti e competenze per fare una minima analisi delle fonti e si finisce per portare l’irrealtà anche fuori dalla rete, nella vita extra-virtuale.


Scrivendo scrivendo, m’è venuta in mente quella volta che mi finsi argentino… Mi credettero così tanto che dopo non volevano capacitarsi del fatto che ero Vergara Gaetano da Frattamaggiore e non Jacinto Chiclana da Buenos Aires.

Se vi va, lo racconto qua, con qualche dettaglio che rende il tutto più vero o più verosimile (fate voi!):

https://aitanblog.wordpress.com/2007/04/13/estoy-cantando-lo-que-se-cifra-en-el-nombre/


irretito, irritato e iridescente (dove iridescente mi suona bene, ma credo che non c’entri niente)

25 lunedì Gen 2021

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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Tag

rete

intricato nelle sue maglie inquiete
mi chiedo se ci sia ancora vita
fuori da questa rete

in cui urlo mi dimeno e mi dibatto
nelle acque rafferme del nulla di fatto

…..

intrappolato nel brusio
di questo tramaglio
senza senso né costrutto

cerco consenso
aldilà di ogni
ragionevole
comprensione

e consenso offro
senza voglia
gioia
o partecipazione

…..

imprigionato
in questo
guazzabuglio
scandaglio
una via d’uscita
o uno spiraglio

ma mi trattengo
e tentennando
qualcosa
ancora
farfuglio
in questo tafferuglio
in questo subbuglio
in questo groviglio
in questo gliommero
di parole
senza senso
né guinzaglio

…..

…..

nel crinale
del finale
col cuore infranto
e il capo chino
faccio un inchino
come un rapper
in attesa d’applauso
alla chiusa
di un componimento
scrauso

che avevo perso
che ho ricostruito
che avrei fatto meglio
a lasciare nelle pieghe private
della mia memoria smarrita

Oggi ho steso un velo

29 lunedì Giu 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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Tag

rete, scrittura, velo

Post Vitam: RIFLESSIONI sulla scrittura in rete 3/3

Oggi ho steso
un velo
sul telefonino
e mi sono fermato
a guardare il cielo

Poi l’ho tolto
il velo
e ve lo sto dicendo
con gli occhi abbassati
sull’apparecchietto
e il velo
accasciato al suolo
come corpo morto

Ma è chiaro
che qui
nulla svelo
e niente rivelo

È uno sfacelo

E non è 
neanche
il caso
che io stia
ancora
a ripetervelo
e riscrivervelo

Pure voi
che velocemente
state leggendo
ve lo sarete
chiesto qualche volta
se non fosse il caso
di stendere un velo
sui vostri schermi

Magari anche solo
per avere da
raccontare
qualcosa
che non
avete letto
velocemente
su questo
specchio
vuoto

Qualcosa
che venga
dalla terra
dal cielo
o dal volo
di un animale
di un velivolo
o un pensiero
in volo

Un post
e non un repost

Per certi versi

17 mercoledì Giu 2020

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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Tag

rete, scrittura

La scrittura è anche l’elaborazione di un lutto
Che alle orecchie stanche può suonare come un rutto
Irrotto d’improvviso in un banchetto
Mettendo fuori ciò che hai in petto
Senza ragione, senno o rispetto.

_____

Soddisfatto che hai la tua sete
Resta tutto il resto come prima
Che tu arrivassi a questa rima.

Parole liberate in una rete…

In crociera tra le reti

15 venerdì Nov 2019

Posted by aitanblog in inter ludi, riflessioni, texticulos, vita civile

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Tag

comunicazione, rete

Abbiamo poco o nulla da dire, ma continuiamo a urlare ai quattro venti tra la folla che scorre distratta. Ed a volte le nostre urla sono prese per sussurri o carezze. Parole che cambiano per un momento la struttura delle acque, ma dopo tutto torna come prima e resta solo il vago ricordo del tempo perduto a trastullarci in questo mare.

Abbiamo poco o nulla da dire, ma continuiamo a urlarlo ai quattro venti.

Le incredibili possibilità dei giovani del III millennio

08 giovedì Set 2016

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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Tag

disoccupazione, giovani, rete, social network

Imparare le lingue è importante per il vostro futuro, perfino imprescindibile.
Un ragazzo che vive nel condominio di mio cugino non conosceva l’inglese e lo spagnolo ed era disoccupato. Ora si è messo a studiare ed è “unemployed“, “desempleado“.
Poi ha fatto anche un corso di informatica. Fino a qualche mese fa non aveva nemmeno idea di come si accendesse un computer; ora sta tutto il giorno su Facebook. Presto imparerà a stare tutto il giorno anche su Instagram, Twitter e Snapshot e in men che non si dica allargherà i suoi orizzonti culturali a tutta la rete mondiale.
Ma non è finita qui. All’imbrunire esce di casa ed affina le sue competenze di ricerca a caccia di Pokémon, mentre di notte torna all’ovile e approfondisce le sue capacità relazionali su YouPorn.

Insomma, voi giovani non ve ne rendete neanche conto, ma oggi avete occasioni che noi, ai miei tempi, nemmeno ci sognavamo.
E avete anche il coraggio di lamentarvi del lavoro che non c’è e degli spazi extravirtuali che vi saranno progressivamente sottratti!

Considerazioni (auto)critiche su una BACHECA di mezzo agosto

17 mercoledì Ago 2016

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos, vita civile

≈ 6 commenti

Tag

network, rete, social, vacanze

essere < o > APPARIRE?

immergersi nel flusso mutevole della vita < o > MUTARE IMMAGINE SENZA MUTARSI DENTRO?

rivolgere gli occhi, le orecchie, il tatto (ma anche il gusto e l’olfatto) al mondo per cambiare insieme con la realtà in cui siamo immersi < oppure > USARE LA REALTÀ COME SFONDO PER I NOSTRI SELFIE?

amare e (qualche volta) odiare < o > METTERE IN SCENA L’ODIO E L’AMORE?

godersi la costa, il mare e il litorale < oppure > FOTOGRAFARE GLI OMBRELLONI SENZA TUFFARSI TRA LE ACQUE E LASCIARSI SCHIAFFEGGIARE DALLE ONDE?

vivere la vita < oppure > RAPPRESENTARE LA PROPRIA SUPPOSTA ESISTENZA ATTRAVERSO UNO SCHERMO?

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

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