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((( aitanblog )))

~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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Fuori rete

04 martedì Gen 2022

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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hikikomori, leoni, rete, social network

Dove torno a rimbalzare disordinatamente da Facebook al blog e viceversa

Tanti amici hanno già deciso o stanno decidendo in questi giorni di mettere i piedi fuori dal meta-flusso di Facebook, per non lasciarsi contagiare dalle sue acque torbide, per non farsi trascinare dalla corrente e per fare in modo che i loro dati e le loro emozioni non siano sfruttati per fini commerciali. Altri, semplicemente, riducono progressivamente la loro esposizione ai social cercando di liberarsi in modo morbido dall’assuefazione.
Io, invece, per il momento, ci resto ancora del tutto invischiato. Forse perché mi illudo di navigare a pelo d’acqua e di governare la rotta a mio piacimento. Sento, in qualche modo, di essermi mitridizzato. E poi, mi ripeto fino all’autoconvincimento che osservare il fenomeno dall’interno serve a farmi capire meglio le nuove generazioni e la deriva che sta prendendo la mia.
Eppure, tante volte, vedendomi dal di fuori, mi sento come un tossico che mentre assume la sua dose ripete a se stesso e al mondo io-smetto-quando-voglio.
E allora, vado dicendo in giro che restare in questo magma liquido mi serve pure per confrontarmi con amici, conoscenti e sconosciuti vicini e lontani; anche se constato ogni giorno che ci vuole molta pazienza per dibattere in uno spazio polarizzato, aggressivo, viscerale e umorale come il Faccialibro. Tanto più quando si intraprende una discussione in un gruppo pubblico o privato, dove, nella moltitudine, ognuno sembra perdere il suo senso del limite, il rispetto per l’altro e il valore della propria responsabilità personale. Un po’ come accade nei fenomeni di violenza collettiva (guerre, genocidi, lotte tra bande rivali, stupri di gruppo, tifoserie da stadio, atti di bullismo e di teppismo perpetrati da una massa di persone più o meno indistinta), dove, dal gregge, vengono fuori i ruggiti dei leoni da tastiera che si sentono protetti dalla distanza, dalla complicità della propria bolla di amici virtuali e, talvolta, anche dal loro relativo anonimato.


Alla luce di questa somma indistinta di ragioni e sensazioni, ritengo e ripeto spesso che era molto meglio quando si navigava nella “blogosfera“, quando, cioè, si interagiva, ognuno dal proprio blog personale, con un gruppo di persone che, di solito, era molto più limitato e circoscritto di quello degli attuali social. Mi pare che tra i blogger ci si leggesse reciprocamente con più attenzione, che i commenti fossero più ragionati, che le comunità fossero più salde. E poi si era più padroni dei propri post e perfino dell’impaginazione e della grafica dei testi pubblicati. (Sarà per questo che mi ostino a tenere vivo il mio vecchio blog in parallelo con i miei spazi feisbukkini e tante volte il Faccialibro lo uso anche come un trampolino per far rimbalzare i miei venticinque più affezionati lettori dal social ad aitanblog.wordpress.com).

Insomma, diciamo che resto nel Faccialibro per vedere l’effetto che fa, ma anche per alimentare il mio personale narcisismo e, proprio per questo, mi spiace quando alcuni dei miei amici decidono di andare via e finiscono per lasciarmi più solo tra la folla sterminata del meta-coso.
Questo, naturalmente, non vuol dire che non capisca e non rispetti fino in fondo la scelta di chi lascia, né che non senta anch’io l’esigenza di tenermi per qualche tempo lontano da questa sovrabbondante autorappresentazione pubblica (l’io che parla a un voi) per tornare a praticare con maggiore intensità una comunicazione a tu per tu.
Non a caso, un giorno sì e l’altro pure avverto l’esigenza di disconnettermi per far sì che il tempo pubblico che passo su FB non eroda il mio spazio privato. Disconnettermi per riconnettermi con me stesso e con il mondo reale, insomma.
Anche perché temo che, sotto sotto, continuiamo a restare invischiati nei social perché ci risulta molto più facile e meno impegnativo fare dichiarazioni sulla pace universale in rete che prenderci cura di chi ci sta vicino (il prossimo), e più facile anche comunicare a una massa indeterminata di persone che chiamare un amico in difficoltà o parlare con chi si sente solo o abbattuto. Ma, soprattutto, so bene che per tutti noi è meno faticoso e più comodo fare parte di una comunità virtuale che fare comunità (e agire) nel territorio in cui viviamo.

Qualche tempo fa scrivevo in un altro contesto che “per noi boomers il mondo sembra essere tutto dispiegato sul Faccialibro e difficilmente siamo indotti ad affacciarci su quello che succede fuori dalla sua rete protettiva. Se ci debbono dire qualcosa, che lo dicano sul muro sicuro di quella bacheca. Anche perché fuori da quel microcosmo, considerato che non troveremo i nostri pollicioni, i cuoricini, gli abbracci e le faccine, non riusciremmo più ad esprimere un nostro giudizio, una nostra emozione o un pensiero personale.”
Insomma, la nostra bolla di “amici” di Facebook è diventata la nostra “comfort zone” e, il più delle volte, abbiamo poca o nessuna intenzione di uscirne
Sarà per questo che tendiamo a riversare in rete gioie, tragedie e dolori, che finiscono per diventare (in modo più o meno in/consapevole) dei meccanismi acchiappalike.
Perché, è inutile negarlo, se si scrive qua sopra, si cerca il consenso (o almeno la reazione) dell’altro; per quanto si tratti di un altro indistinto, moltiplicato per il numero degli “amici” che si hanno in bacheca. E il fatto stesso di scrivere a un voi indistinto e mobile fa adeguare il tono e lo stile della nostra comunicazione alla molteplicità degli interlocutori, rischiando anche un appiattimento di forma e contenuti. (Di questo io credo di essere abbastanza consapevole da selezionare in modo quasi automatico quello che voglio scrivere sul blog, quello che destino alla mia bacheca pubblica, quello che metto nella pagina dei vicini di aitan e quello che destino a gruppi di carattere più “politico” o, al contrario, a singoli amici ai quali sono legato da un rapporto di comunicazione più intima e personale. Magari anche fuori dalla rete, nel mondo extra-virtuale.)

Tuttavia, poi mi dico che, alla fine dei conti, anche uno scrittore di libri di carta (come un utente dei social) scrive ad un voi indistinto. Nessuno mette fuori le sue parole in forma scritta solo per rileggersele da solo (anche perché perfino l’io che rilegge i suoi propri testi, a distanza di tempo, risulterà sempre diverso dall’io del momento in cui li stava scrivendo).
Umberto Eco sosteneva che “c’è una sola cosa che si scrive solo per se stesso, ed è la lista della spesa. Serve a ricordarti che cosa devi comperare, e quando hai comperato puoi distruggerla perché non serve a nessun altro. Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa a qualcuno”.
Il problema, certo, è che quel qualcuno, in un social network, per quanto indistinto, può essere più condizionante del pubblico dei lettori di carta. Perché in Facebook, anche se hai 5mila amici, ogni potenziale lettore ha un nome e un cognome (per vero o fittizio che sia). E, se fai il medico e parli di ospedali, finisci inevitabilmente per pensare che ti leggeranno anche gli infermieri, i pazienti, i colleghi e il primario. E poi quel qualcuno che ti legge sulla “tua” pagina Facebook ha diritto di parola su quello che scrivi e può interagire con te. E spesso lo fa (lo farà) in modo spiacevole, aggressivo o adulatorio.

Il mezzo, insomma, non è innocente. Nelle sue dinamiche chiunque entri resta invischiato (irretito), anche se con differenti gradi di consapevolezza, di disumanizzazione e di dipendenza. Fino alla perdita di controllo sulla propria vita e all’isolamento come deriva esistenziale.

Il rischio della disumanizzazione (e anche quello dell’alienazione) diventa ancora più forte nelle nuove generazioni. Noi boomers conosciamo la comunicazione dello spazio e del tempo extravirtuale; sappiamo che esiste anche una comunicazione a tu per tu non amplificata e deformata dalla rete. Il rischio è che le nuove generazioni conoscano solo questa modalità comunicativa io a voi e che non sappiano più cosa voglia dire avere una propria privacy, o sussurrarsi parole all’orecchio.

Sì è creato, insomma, un terribile circolo vizioso: ci isoliamo dal mondo, viviamo collettivamente come degli arcipelaghi legati dal mare che ci separa, e poi, navigando in quelle stesse acque, cerchiamo continue conferme che gli altri abbiano letto (e gradito) i messaggi che abbiamo lanciato senza mettere un preciso destinatario sulle nostre bottiglie da naufraghi. E quando non ci leggono (o non gradiscono) cresce in noi la frustrazione e lo sconforto.

Ma, beninteso, questo non è solo un problema dei millenials, di quelli della generazione Z o dei nativi digitali.
È brevissimo il passaggio dall’hikikomori adolescente che si chiude in una stanza di fronte a uno schermo al kodokushi (la morte solitaria) del cinquantenne ritrovato cadavere putrescente in una casa trasandata in cui si accumulano rifiuti tristezza e solitudine.
La mancanza di parole per dire agli altri il proprio disagio, lo sfaldamento di ogni relazione con un’altra singola persona a favore di una pseudocomunicazione con un gruppo indistinto di altri che più che interlocutori diventano “pubblico”, la rappresentazione falsata di se stessi attraverso lati buoni, labbra a culo di gallina, fotoritocchi e avatar non fanno che aumentare la nostra solitudine, fingendo di colmarla.
Un processo di disumanizzazione e alienazione che rischia di aumentare l’insoddisfazione e renderci peggiori.
Soprattutto quando è più forte la distanza tra la nostra vita virtuale (iperattiva) e la nostra vita extra-virtuale (passiva, spenta o inesistente).
Forse il segreto consiste nel presentarsi per quello che si è ed usare un linguaggio simile sia quando si è dentro che quando si è fuori dalla rete. Senza fotoritocchi, abbellimenti, trucchi, citazioni prive di fonte, appropriazioni indebite, risate stampate sulla faccia e ricerca spasmodica del lato buono.
Essere autentici. Presentarsi per quello che si è, con i propri difetti, le proprie mancanze, i propri pregi e le proprie contraddizioni. Rispettare gli altri, non alzare la voce e rispettarsi. Essere gentili. Mettersi in ascolto. Togliersi la maschera e restare umani! Anche quando si scrive e ci si rappresenta da dietro uno schermo protettivo, al riparo della rete.

_________________

P.s. Ho scritto un testo molto lungo. Ma lo so bene, lo so che qui la distrazione regna sovrana. Tante volte, “la rete intrappola le nostre parole e lascia che il ragno fagociti i nostri pensieri senza alcun segno di interesse o attenzione.”

…


Molte di queste riflessioni si debbono a scambi di opinione a distanza che negli anni ho fatto con Mariasole Ariot, che a intermittenza fa capolino sui social, ma, fondamentalmente, non ci è mai stata.


Interludio pigro e distratto

28 domenica Nov 2021

Posted by aitanblog in immagini, inter ludi, recensioni, riflessioni

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Tag

distrazione, pigrizia, social network

E ho detto già troppo

Vorrei scrivere un saggio sulla pigrizia e sulla crescente distrazione che ci fa rimbalzare come una pallina impazzita da un post all’altro senza soffermare su nulla la nostra attenzione; ma non ho voglia di organizzare i miei pensieri, mettermi a scrivere e togliere dal mio testo le parole superflue e i passaggi inutili.

“Colui che potendo dire una cosa in dieci parole ne impiega dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni.”*

Senza contare che, mentre penso al mio possibile testo, già mi viene da parlare d’altro che mi pare più interessante per me e per voi.
Anche perché lo so che nemmeno voi avete voglia di leggere e volete solo saltare da un post(o) all’altro e di tanto in tanto fermarvi, senza commento, a cliccare su un pollicione, una lacrima, un cuore, un cachinno, una bocca spalancata, un abbraccio o una faccia arancione rósa dalla rabbia.

[…]

Che luna, che luna,
che luna lucente.

E chi vo’ fa’ niente?
E chi po’ fa’ niente?

[…]

Che bella canzone
tenevo p’ ‘e mmane.
Mo veco, dimane,
si ‘a pòzzo ferní.**


*
Per quelli meno distratti e più pazienti, quelli che sono arrivati fin qui e hanno perfino seguito le stelline delle note, aggiungo che la prima citazione è attribuita a Giosuè Carducci, ma non so dove e quando l’abbia détta o scritta; l’unico riferimento che trovo in rete è che è stata riportata da Pitigrilli (pseudonimo di Dino Segre) nel romanzo “Sette delitti“, edito da Sonzogno nel 1971.

**
La seconda citazione, invece, viene da “Esta’“capolavoro del 1913 di Libero Bovio musicato da Nicola Valente e più conosciuto col titolo di “Nun voglio fa’ niente“.
Una sessantina di anni più tardi, Enzo del Re darà un valore politico a questa pigrizia in un brano che si intitolava “Tengo ‘na voglia ‘e fa niente” ed era il lato B di “Lavorare con lentezza“.
Andatevele ad ascoltare che io non ho voglia di mettere i link alle versioni di Elvira Donnarumma, Massimo Ranieri, Tonino Apicella, Peppe Servillo e Daniele Sepe di questi due brani, che a qualcuno avranno di certo fatto venire in mente il Pigro di Ivan Graziani che sapeva “citare i classici a memoria”, ma non distingueva “il ramo da una foglia / Il ramo da una foglia”. Oppure avranno sentito risuonare in mente il Fannullone di De Andrè che, “senza pretesa di voler strafare”, dormiva “al giorno quattordici ore”.

Vabbuò,
s’è fatta ‘na cert’ora.
Me vaco a cucca’!

“Ma ‘a cammera ‘e lietto
Sta troppo luntano…
…va mmeglio ‘o ddivano!
…’nu passo e sto llà!“


Il Fango del Feisbù

14 martedì Set 2021

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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futuro, social network, tempo

“è un mondo difficile
vita intensa
felicità a momenti
e futuro incerto“

….

se i matematici
fossero in grado
di misurare
la nostra capacità
di incidere
sulla realtà
in cui sguazziamo
come maiali
nel fango

se fossero
in grado
di misurare
la nostra capacità
dicevo
sapremmo
con scientifica
evidenza
che siamo tutti
prescindibili
e irrilevanti

….

il presente
ci piomba addosso

e noi siamo artefici
del nostro passato
tutt’al più

soprattutto quassù

dentro il feisbù

dove ognuno
sta solo
e si reinventa
come gli pare
e piace

cercando
pace
vita
e mipiace

dove la vita
non c’è

….

se non
di striscio

….

è un mondo difficile
vita melensa
felicità a momenti
e futuro
boh?

come il presente
che anche ora
non sai cosa
stia succedendo
nell’altra stanza
dentro di te
e tra i versi
di questa
specie
di poesia
che è già
più tua che mia
e che col tempo
se ne andrà via
nel bagagliaio
delle parole
dimenticate

….

e neanche
è da escludere
che potrà seguirci
un tempo
in cui nessuno
saprà più
nemmeno cosa sia
il feisbù

il che renderebbe
incomprensibile
buona parte
di quello che scrivo

ovemai
un domani
qualcuno
per uno strano caso
si trovasse a leggere
e provasse
perfino
a cercare
un senso
in ciò
che io
sto scrivendo
nel mio presente
e lui
sta leggendo
nel suo

…

è un mondo difficile
incertezza immensa
felicità a momenti
e del resto
non so

Giochetti per conoscere se stessi (e perdere allegramente la propria privacy e la propria sicurezza)

15 lunedì Gen 2018

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni

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privacy, scammers, social network, spam, test

A chi somigli? Con chi andrai in vacanza a Katmandù? Cosa rivelano i tuoi occhi? Chi è l’uomo/la donna/l’amico/il nemico della tua vita? Quale è il paese dei tuoi sogni? Come sei realmente e come ti vedono gli altri?
Oppure: Quanto conosci l’italiano / l’inglese / lo spagnolo / l’aramaico? Cosa sai di storia, di geografia o di sport? Sei un maestro del sesso o sei una schiappa? Quali sono le tue competenze logiche, letterarie o informatiche? Qual è il tuo livello di conoscenza dell’ultima serie tivvù o della cucina giapponese?

Tutti fatti intriganti che ci interessa molto sapere e che ci offrono un momento di divertimento o un effimero spunto di riflessione.
Test della personalità e quiz che appaiono con crescente frequenza sui social e ci intrattengono in momenti di noia oppure contribuiscono a mostrare agli altri quanto siamo buoni-bravi-e-belli, attraverso la spasmodica pubblicazione dei risultati che ci sembrano più affini all’immagine ideale che abbiamo di noi stessi (e, caspita, nella stragrande maggioranza dei casi vengono fuori esiti positivi, profili interessanti e risposte divertenti o esaltanti; si vede che siamo proprio in gamba, no!?).

Purtroppo, però, non si tratta quasi mai di giochetti innocui e innocenti come sembrano.
Dietro c’è un’altissima probabilità che si nascondano delle aziende o degli “scammer” che, a nostra insaputa, violano la nostra privacy e si impossessano dei nostri dati personali per cederli a terzi per fini commerciali o per riempirci di posta indesiderata e infestare i nostri computer, tablet e smartphone di malware, virus e specchietti per gli allocchi.

Cliccando spensieratamente su ‘inizia il test’, usciamo fuori da Facebook (dove abbiamo messo i paletti, configurando degli appositi requisiti di privacy) e autorizziamo gli sconosciuti che producono il giochetto a inserire all’esterno del social network i nostri dati e una serie di informazioni che possono avere un altissimo valore di mercato: nome e cognome; data di nascita; città natale, città in cui viviamo, città che abbiamo visitato; lavoro attuale e lavori e lavoretti che abbiamo fatto in passato; scuole, corsi di formazione e università in cui abbiamo studiato o studiamo; i nostri gusti sotto forma di ‘wow’, ‘💓’ e ‘Mi piace’; libri, film, cantanti e programmi tv preferiti; i nostri video, le nostre foto e quelle in cui siamo taggati (incluso quelle contrassegnate come private); il browser che usiamo; le lingue che conosciamo; il nostro orientamento politico e sessuale; le nostre credenze; la lista dei nostri amici; il nostro indirizzo IP e, se li abbiamo inseriti, perfino il nostro numero di telefono, lo stato civile e la nostra mail personale.

Insomma, stiamo attenti e teniamo alto i nostri livelli di privacy. Già lasciamo dappertutto impronte digitali, cerchiamo almeno di difendere qualche frammento della nostra riservatezza e di non esporci alle grinfie di malintenzionati.

Giocando a conoscere noi stessi, mettiamo in gioco la nostra vita privata e la offriamo gratuitamente alla mercé dei mercanti del tempio digitale. Poi, quando pubblichiamo i risultati per mostrarli ad amici e conoscenti, diventiamo esca per chiunque si trovi a passare e, leggendo, sia indotto a giocare anche lui e cedere, inconsapevolmente, una parte della sua privacy.

Lo diceva mia nonna che non si debbono mai accettare caramelle dagli sconosciuti; e nemmeno “cookies“, spam e mele avvelenate.

Le incredibili possibilità dei giovani del III millennio

08 giovedì Set 2016

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

≈ 4 commenti

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disoccupazione, giovani, rete, social network

Imparare le lingue è importante per il vostro futuro, perfino imprescindibile.
Un ragazzo che vive nel condominio di mio cugino non conosceva l’inglese e lo spagnolo ed era disoccupato. Ora si è messo a studiare ed è “unemployed“, “desempleado“.
Poi ha fatto anche un corso di informatica. Fino a qualche mese fa non aveva nemmeno idea di come si accendesse un computer; ora sta tutto il giorno su Facebook. Presto imparerà a stare tutto il giorno anche su Instagram, Twitter e Snapshot e in men che non si dica allargherà i suoi orizzonti culturali a tutta la rete mondiale.
Ma non è finita qui. All’imbrunire esce di casa ed affina le sue competenze di ricerca a caccia di Pokémon, mentre di notte torna all’ovile e approfondisce le sue capacità relazionali su YouPorn.

Insomma, voi giovani non ve ne rendete neanche conto, ma oggi avete occasioni che noi, ai miei tempi, nemmeno ci sognavamo.
E avete anche il coraggio di lamentarvi del lavoro che non c’è e degli spazi extravirtuali che vi saranno progressivamente sottratti!

Mehr Licht!

12 martedì Lug 2016

Posted by aitanblog in recensioni, riflessioni

≈ 2 commenti

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blog, lucia tosi, social network

Il 9 luglio abbiamo perso una delle nostre amiche più lucide. Una mente illuminata, illuministica e appassionata. La scuola ha perso un pilastro di conoscenze e competenze. E la sua famiglia, una donna che sapeva amare di un amore vero, concreto. Abbiamo perso tutti una poetessa che metteva la sua poesia in ogni cosa della vita, la sua cucina, il tango, il suo acume critico, le sue pagine dense e acuminate.

Internet è un arcipelago: una cosa come un insieme di isole unite dal mare che le separa. Ma a volte la voce risuona da isola ad isola e ci si riconosce, ci si sente parte della stessa patria fatta di parole.
Succedeva soprattutto ai tempi dei blog.
Con Facebook succede un po’ meno.

Lucia Tosi l’ho conosciuta nella blogosfera e la nostra modalità di conversazione è durata una decina di anni seguendo i tempi lunghi della riflessione bloggistica più che l’immediatezza superficiale dei social.
Ora Lucia non c’è più.
Mentre scrivo, si stanno tenendo i suoi funerali nella Chiesa di S. Pietro Apostolo di Favaro Veneto.

A 700 chilometri di distanza, passo in rassegna stralci delle nostre conversazioni e ricordo i momenti in cui le nostre vite si sono incrociate. Una volta che dovevo assistere un mio caro congiunto che ebbe una delicata operazione a Verona, mi fu di grande aiuto, la Lucia. Aveva un grande amore per i dialetti, e soprattutto per il napoletano. Credo che avesse dedicato la sua tesi di laurea alle poesie di Salvatore Di Giacomo. Mi piaceva correggerla o farmi correggere da lei.

Mi mancherà. Mi manca già.

Disfracebook

22 lunedì Feb 2016

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

≈ 10 commenti

Tag

facebook, immagini, social network

Questo fatto che i social ci fanno stare in mezzo agli altri restando lontano dal mondo e dai suoi odori ha i suoi effetti collaterali. Vedi persone timide presentarsi come leoni, donne e uomini pieni di pudore scrivere di passioni violente e sboccate, ragazzi violenti copincollare frasi tenere e iperromantiche e vecchietti riservati dibattere con acerbo furore. Facebook è uno specchio della realtà che sta davanti, dietro e di lato rispetto a questi schermi; ma i suoi specchi sono specchi deformanti che ingrossano, sfilzano, ingrassano, incattiviscono e imbellettano la realtà extravirtuale.

Tra tutte queste deformazioni grottesche, quella che mi incuriosisce di più è la veemenza che noto in certe discussioni che nascono e muoiono in rete. Non te lo aspetti che l’impiegato del quarto piano che quando lo incontri sembra aver paura anche di salutare possa incazzarsi tanto parlando di calcio, di Sanremo o di politica internazionale. È come se la nostra voce uscisse ingigantita dalle cavità di una maschera indossata con scarsa o nulla consapevolezza del suo potere di amplificazione.

disegno do gaetano "aitan" vergara (c)(c) 2014

Certi comportamenti mi ricordano i cambiamenti che subiamo un po’ tutti quando siamo in macchina. Chiusi in quella scatoletta che è un prolungamento della nostra casa, ci sentiamo in diritto di fare e dire cose (dita nel naso, rutti, urla, bestemmie, imprecazioni) che non ci si sogneremmo mai di dire e di fare camminando a piedi, per strada, tra persone conosciute e sconosciute. Ma là dentro, protetti come nel ventre materno, l’opinione altrui è vissuta come un’invasione, come un’orda di extracomunitari che ti arriva in casa e ti ruba l’orologio della prima comunione e la biancheria di famiglia, e cominci a imprecare come un ergastolano in cella di isolamento.


disfraz [sm]: maschera (f), travestimento

disfrazar [v tr]: travestire, mascherare

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

L’aitanblog delle origini

Link all'aitanblog di splinder duplicato su iobloggo con relativo blogroll delle origini, in memoria dei tempi andati.

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