“La speranza di un sogno” dei Tproject con la straordinaria partecipazione di Jennà Romano.
Come è ormai consuetudine, vi presento l’ultima produzione dei Tproject. Il brano, intitolato in modo immaginifico e surreale “In autunno anche gli alberi perdono i capelli“, si avvale della preziosa collaborazione di Jennà Romano, che ha partecipato sia alla composizione che alla realizzazione ed alla postproduzione, effettuata tra “Laboratori di provincia” di Grumo Nevano e “Masadecrea production” di Bologna.
Sul video scorrono immagini della lotta per la libertà e la conquista dei diritti di giovani donne e uomini iraniani: un inno alla libertà che non conosce frontiere e può essere esteso alla liberazione da altre forme di oppressione di questo piccolo tormentato mondo; un’onda inarrestabile in un mare che fluisce sereno e inquieto come le note di questo suggestivo brano strumentale. The hope of a dream, la speranza di un sogno da realizzare.
La musica è un ethno-prog contemporaneo in cui gli effetti digitali, le tastiere e il basso elettrico di Gino Frattasio insieme con le percussioni e la batteria di Pasquale Marchese fanno da tappeto sonoro ai colori caldi della balalaika, del dulcimer, della diamonica e dell’originale tres elettrico di Jennà Romano. Fluidità ritmica e melodia per una giusta causa. Come piace ai TP e a JR.
Ascoltatelo e fatelo ascoltare in giro. Fatevi spacciatori di bellezza.
Il termine spagnolo “sueño” copre una vasta area semantica che in italiano comprende sia il “sonno” che il “sogno”. Come per il napoletano “suonno“, la stessa parola indica sia l’atto (e la voglia) di dormire (il sonno) che l’attività onirica che si svolge durante l’atto stesso (il sogno).
Eppure, continuiamo a tradurre la scritta che accompagna la più celebre incisione di Goya come se il “sueño de la razón” si riferisse univocamente alla parola “sonno”, intendendo per essa una sorta di interruzione, un letargo dalla facoltà di pensare. Tuttavia, se proviamo a pensare che quella scritta ci stia parlando del “sogno” (e non del sonno) “della ragione”, si innestano scenari interpretativi che possono ribaltare la prospettiva illuministica con cui ci hanno abituato a leggerla, aprendo brecce e feritoie di spaventosa attualità.
Il sogno della ragione, l’illusione di incasellare la realtà in categorie precostituite, genera mostri più terribili di un sonno privo di senno e di sogni. Le lucide follie degli orizzonti distopici possono essere più orrende e dannose delle scelte irrazionali dei singoli e dei popoli.
La ragione genera mostri.
Per questo vi vorrei più dubbiosi e meno raziocinanti. Mi piacerebbe avere intorno e sopra di me meno persone che sentono di avere… ragione in modo assoluto e, in virtù di quella ragione, prendono decisioni che finiscono per coinvolgerci (e distruggerci) tutti.
“[…] Ora che sono trascorse le illusioni e le delusioni del positivismo, sappiamo che la ragione, priva del supporto del sentimento, può concepire mondi alternativi e “magnifiche sorti e progressive” che possono rivelarsi più mostruose e nefaste della realtà stessa. Come un pazzo criminale che concepisce un piano perfetto di ammirabile ordito, come un serial killer che applica i suoi piani scellerati con tutta la razionalità che la sua mente lucida gli permette.
Alla luce di questa interpretazione, quel personaggio addormentato non sarebbe tanto l’uomo che nel sonno si priva della ragione e viene sopraffatto dai mostri dell’irrazionalità, quanto piuttosto una metafora della ragione che sogna i suoi mostri e, sognandoli, li evoca e li ri-produce. Insomma, in questa prospettiva, un visionario come Goya, usando “sueño” nella sua accezione onirica, avrebbe previsto prima quello che a tanti sarebbe stato chiaro dopo (dopo l’aria irrespirabile e lo smog dei quartieri industriali della Londra del XIX secolo e della New Delhi del XXI secolo, dopo il terrore giacobino e lo strapotere napoleonico, dopo i Lager e i Gulag dei sogni totalitari, dopo due guerre mondiali, dopo l’atomica e i disastri nucleari, dopo l’inquinamento planetario e le isole di plastica, dopo la cementificazione di mezza Europa, dopo le emergenze climatiche e i disastri ambientali del Brasile, dell’Africa e della Cina). Il sogno della ragione ha generato i suoi mostri che turbano i nostri sonni più delle bestie svolazzanti prodotte dall’abuso o dall’assenza della ragione nell’acquaforte di Goya […]”.
È forse giunta l’ora di allontanarsi dalla ragione e vivere nel torto oppure di imparare ad essere persone sentipensanti, capaci di sognare ragionando e ragionare sognando. Ma questo potrebbe essere solo un paradosso della retorica privo di un vero appiglio nella realtà; e poi non voglio mettere troppa carne e troppa anima al fuoco: delle persone sentipensanti preferisco parlarvi un’altra volta, appoggiandomi, come faccio spesso, sulle spalle di Galeano e su quelle, più incerte, di Gaetano (che poi sarei io, in qualche modo).
Tipo svegliarsi un bel mattino, darsi un pizzico, sentire che fa un po’ male e compiacersi dell’onda breve di dolore, pensando che è stato tutto un brutto sogno.
Scendere in strada felice facendo le scale a due a due e trovare tutti con in faccia ancora quelle maledette mascherine.
Fare marcia indietro, risalire le scale e tornare a dormire per un paio di anni ancora.
Sono seduto nella fila centrale, sull’ultimo ordine di sedie dell’aula magna della scuola dove insegno. Nell’aula ci sono solo io, ma la cosa non mi inquieta più di tanto. Quello che mi sorprende è il silenzio. Mi guardo intorno e a un certo punto mi rendo conto di non avere gli occhiali. Per fortuna, però, le scritte sulla lavagna sono così grandi che riesco ugualmente a leggere senza fare troppa fatica.
Leggo.
L’ARTE IMITA LA REALTÀ. L’ARTE CERCA LA BELLEZZA NELLA REALTÀ. L’ARTE INTERPRETA LA REALTÀ. L’ARTE, DELLA REALTÀ, RAPPRESENTA UN DISTILLATO. L’ARTE È LA REALTÀ. L’ARTE TRASCENDE LA REALTÀ E CERCA LA VERITÀ. L’ARTE O È RIVOLUZIONARIA O NON MERITA DI ESSERE NELLA REALTÀ. L’ARTE CREA UNA REALTÀ PARALLELA E PIÙ SIGNIFICATIVA DELLA REALTÀ STESSA.
IN REALTÀ, TUTTO QUELLO CHE CI INTERESSA DELL’ARTE È L’ARTE.
Mi alzo, scendo lentamente gli scalini dell’aula magna. I miei passi risuonano nella stanza vuota e io pesto con forza crescente i gradini di legno per sentirmi meno solo. Mi avvicino alla lavagna, prendo un pezzo di gesso rosso e cancello l’ultima frase.
Rileggo tutta quella scritta, salvo la parte cancellata, dal basso verso l’alto e mi fermo qualche secondo a pensare.
Metto via il gesso rosso e ne scelgo un altro. Ci sono tutti in fila gessetti cilindrici di decine di colori differenti ordinati per gradazione di colore. Solo l’arancione e l’azzurro sono fuori sequenza.
Dopo un attimo di esitazione, prendo il gesso azzurro e aggiungo tre puntini a destra della sequela di scritte alla lavagna.
…
Poi prendo il gesso arancione e scrivo in obliquo, con caratteri ancora più grandi di quelli che ho trovato già segnati sulla lavagna,
E I SOGNI
Getto via il gesso arancione, riprendo quello azzurro e faccio seguire le mie tre parole da uno spropositato punto interrogativo.
Quel mattino scesi come ogni giorno alle 7 e 35 per andare a lavoro. Ma niente sembrava lo stesso, quel mattino. Quel mattino la nebbia avvolgeva ogni cosa e sfumava i contorni della realtà conosciuta. Sfumava ogni cosa, la nebbia, quel mattino, ma non il mio dolore. Era arrivato dopo una lunga notte insonne, quel mattino, e io avrei voluto dissolvermi nella nebbia, ma mi toccava andare al lavoro, come ogni giorno e ogni mattina. Montai in macchina e accesi gli abbaglianti a luce gialla. Guidai senza pensare più a nulla. Attento solo a non uscire fuori strada. Non so quanto tempo avrò guidato. La macchina a un certo punto si fermò da sola. Probabilmente era finita la benzina. C’era ancora la nebbia, ma ormai era sera. Bussai alla tua porta e ti chiesi dov’ero. Tu invece di rispondere mi chiedesti spiegazioni.
Stamattina sono sceso come ogni giorno alle 7 e 35 per andare a lavoro, ti dissi. Ma niente sembrava lo stesso, stamattina, aggiunsi. Stamattina la nebbia avvolgeva ogni cosa e sfumava i contorni della realtà conosciuta. Sfumava ogni cosa, la nebbia, stamattina, ma non il mio dolore. È arrivata dopo una notte insonne, questa mattinata, e io avrei voluto dissolvermi nella nebbia, stamattina, ma dovevo andare al lavoro come ogni giorno e ogni mattino. Sono salito in macchina e ho acceso i fari fendinebbia. Ho guidato senza pensare più a niente. Attento solo a non scartare di lato e uscire fuori strada. Non so quanto tempo ho guidato. La macchina a un certo punto si è fermata da sola. Probabilmente è finita la benzina. Caspita, se è così avrò guidato a lungo… Avevo fatto il pieno due giorni fa. Intorno a me c’era ancora la nebbia, ma era sera, stasera. Ho bussato alla tua porta e ti chiesto dove fossi. Tu invece di rispondere mi hai chiesto spiegazioni, conclusi.
Lei mi fissò negli occhi e mi guardò come si guarda un bambino perso in un supermercato. Dallo specchio alle sue spalle osservai che si era diradata la nebbia. La riconobbi, finalmente, e la abbracciai.
Olanda. Sono in auto. Corro su una strada sospesa sull’acqua. Supero i limiti di velocità. Il vigile mi ferma e mi chiede in romanesco patente e libretto aggiungendo una battuta che non ricordo. Mi sembra di conoscerlo. È Alberto Sordi.
Lo guardo negli occhi, poi guardo avanti a me il lungo rettilineo tra le acque e gli faccio:
El sueño de la razón produce monstruos. (Francisco Goya y Lucientes, “Caprichos“, 1797-1799, a pochi anni dalla rivoluzione francese. Acquaforte, 306 x 201 mm.)
Il sonno della ragione genera mostri. Ma anche il sogno non scherza. Tecnicamente si parla di distopie.
E lo scrivo parafrasando Goya, ma anche ricordando che lo spagnolo “sueño” corrisponde in italiano sia a “sonno” che a “sogno”. Ugualmente polisemco ‘o suonno del dialetto napoletano. E non so se ci siano altre lingue che usino la stessa parola per indicare l’atto (e la voglia) di dormire (il sonno) e l’attività onirica che si svolge durante l’atto stesso (il sogno). ‘A ‘na certa ora me vene suonno versus Aggia fatto ‘nu suonno.
Oppure, Tengo suonno versus Tutt’e juorno faccio nu suonno ca m’addorme cu vuje.
Dunque, alla luce di questo senso doppio del lemma “sueño“, può cambiare e perfino ribaltarsi il senso della celeberrima frase di Goya. Possono essere le stesse utopie e i sogni della ragione a generare mostri più terribili della stessa assenza della ragione.
Insomma, ora che sono trascorse le illusioni e le delusioni del positivismo, sappiamo che la ragione, priva del supporto del sentimento, può concepire mondi alternativi e “magnifiche sorti e progressive” che possono rivelarsi più mostruose e nefaste della realtà stessa. Come un pazzo criminale che concepisce un piano perfetto di ammirabile ordito, come un serial killer che applica i suoi piani scellerati con tutta la razionalità che la sua mente lucida gli permette.
Alla luce di questa interpretazione, quel personaggio addormentato non sarebbe tanto l’uomo che nel sonno si priva della ragione e viene sopraffatto dai mostri dell’irrazionalità, quanto piuttosto una metafora della ragione che sogna i suoi mostri e, sognandoli, li evoca e li ri-produce.
Insomma, in questa prospettiva, un visionario come Goya, usando “sueño” nella sua accezione onirica, avrebbe previsto prima quello che a tanti sarebbe stato chiaro dopo (dopo l’aria irrespirabile e lo smog dei quartieri industriali della Londra del XIX secolo e della New Delhi del XXI secolo, dopo il terrore giacobino e lo strapotere napoleonico, dopo i Lager e i Gulag dei sogni totalitari, dopo due guerre mondiali, dopo l’atomica e i disastri nucleari, dopo l’inquinamento planetario e le isole di plastica, dopo la cementificazione di mezza Europa, dopo le emergenze climatiche e i disastri ambientali del Brasile, dell’Africa e della Cina).
Il sogno della ragione ha generato i suoi mostri che turbano i nostri sonni più delle bestie svolazzanti prodotte dall’abuso o dall’assenza della ragione nell’acquaforte di Goya.
Un progresso privo di ogni sensibilità per la salvaguardia della natura e il diritto dell’uomo alla propria autodeterminazione è una declinazione di questi sogni della ragione, una lucida follia che punta a dominanare il mondo e a consumare tutto il consumabile senza ritegno.
Un sonno e un sogno della ragione che stanno diventando il nostro incubo collettivo.
Un sonno e un sogno della ragione che ci conducono progressivamente alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo e a un dominio sulla natura che, in ultima istanza, portano a un razionalissimo suicidio di massa.