Quando scrivo poco, penso molto.
Considerazioni sulla scrittura poetica con molti riferimenti ai classici e con i moderni nascosti tra le righe del non detto.
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“[A]ut prodesse volunt aut delectare poetae
aut simul et iucunda et idonea dicere vitae”
(Orazio “Epistole”, Libro II Epistola III, “Ars poetica”)
Per quanto Orazio abbia sostenuto che “i poeti si propongono di provocare giovamento o diletto, oppure di dire a un tempo cose piacevoli e utili alla vita”, l’esperienza insegna che tra l’utile e il dilettevole i più, tra i versificatori, si inclinano sul versante del dilettevole.
E non è (solo) una questione edonistica.
In fondo, suscitare emozioni è una parte preponderante del loro mestiere e probabilmente risulta più agevole mettere insieme parole attentamente scelte, autenticamente ispirate ed esteticamente appaganti che provare a portare giovamento insegnando e divulgando cose che difficilmente si possono insegnare, oppure offrendo a chi legge specchi in cui ogni attento fruitore possa riconoscere parti di sé o del mondo in cui vive.
In un certo senso, possiamo dire con Leopardi che, mentre può esistere una poesia inutilmente piacevole, non potremmo mai definire poesia un testo utile ma non dilettevole.
“La poesia può essere utile indirettamente […] ma l’utile non è il suo fine naturale, senza il quale essa non possa stare, come non può senza il dilettevole, imperocché il dilettare è l’ufficio naturale della poesia“.
(Leopardi, “Zibaldone”, pensiero del 1817)
In altri termini, per quanto non esistano scorciatoie o facili ricette, sappiamo che, quando l’impasto riesce bene e il lettore è ben disposto, si innesta la magia e scatta il godimento fruitivo in modo indipendente dal contenuto etico o didascalico dei versi.
Ma in fondo (ed anche in superficie) contano poco i buoni propositi del poeta poetante.
Spesso ci piacciono cose che sappiamo per certo o per sentito dire che non ci fanno bene, spesso desideriamo perfino ciò che può, con tutta probabilità, farci (del) male. Insomma, mi pare evidente che i meccanismi del desiderio e del piacere sono quasi sempre scollegati dai concetti di utilità e di benessere.
In qualche modo, la lettura di versi ben concepiti solletica gli stessi gangli nervosi del piacere, e il piacere è manifestamente indipendente dalla ragione e dal torto.
(Credo che Octavio Paz si riferisse proprio a questo collegamento col piacere quando scrisse da qualche parte: “La poesía es erotismo verbal“. E mi pare evidente che, per certi seduttori in forma scritta, risulti più facile essere attraenti o apparire interessanti che rendersi utili ai propri amanti).
Poi è chiaro che ci sono maestri che hanno saputo scuoterci e segnarci un cammino dilettandoci e maestri che ci hanno dilettato scrivendo cose immediatamente utili: lezioni di vita; istruzioni per il montaggio di aeroplani di carta; ricette per pozioni magiche o uova fritte; ammaestramenti sulla vita di santi e santoni, sull’arte della guerra e sulla pace universale; indicazioni sulla realizzazione di un orto concluso e insegnamenti di etica, di morale o di politica.
Poeti della razza e della stazza di Eraclito (che annovero tra i poeti più grandi), Esiodo, Lucrezio, Virgilio, Juan de la Cruz, Teresa d’Ávila, Trilussa, Borges, Rafael Alberti, Rodari, Gloria Fuertes e Bertolt Brecht. Poeti come Dante Alighieri e T.S. Eliot che ci hanno messo in connessione col passato e col presente, per aiutarci a raggiungere una comprensione più profonda di noi stessi e della realtà in cui siamo immersi ed emersi.
Poeti che hanno preso tutti i punti del “poetry slam” mescolando l’utile e il dilettevole in giuste dosi per creare una poesia che ci nutre, ci delizia e ci offre sprazzi di luce tra le sue combinazioni di vocali e consonanti.
“Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando pariterque monendo“. Di nuovo Orazio dalle pagine dell’Ars poetica (versi 342- 343).
Quante cose ho imparato leggendo i loro versi utili, dilettevoli e interessanti e quante emozioni mi hanno dato mentre apprendevo e imparavo… Quante storie d’amore ho avuto con le righe brevi delle loro pagine! Un erotismo un po’ di testa, qualche volta, ma molto intenso e appagante, per lo più.
“Che se altri richiedesse se la poesia sia utile o no, io a questo risponderei ch’ella non è già necessaria come il pane, né utile come l’asino o il bue; ma che, con tutto ciò, bene usata, può essere d’un vantaggio considerevole alla società. E, benché io sia d’opinione che l’instituto del poeta non sia di giovare direttamente, ma di dilettare, nulladimeno son persuaso che il poeta possa, volendo, giovare assaissimo. Lascio che tutto ciò che ne reca onesto piacere si può veramente dire a noi vantaggioso; conciossiaché, essendo certo che utile è ciò che contribuisce a render l’uomo felice, utili a ragione si posson chiamare quell’arti che contribuiscono a renderne felici col dilettarci in alcuni momenti della nostra vita […].”
La quadratura del cerchio nel celebre “Discorso sopra la poesia” (1761) di Giuseppe Parini.
E, più tardi, anche nel dichiarato intento manzoniano di perseguire “l’utile per scopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo“.
(Alessandro Manzoni, “Lettera sul romanticismo al Marchese Cesare d’Azeglio”, 1823)
Tuttavia, è chiaro che ci sono periodi di crisi personale o epocale in cui si ci concentra tutti sul mezzo, mettendo da parte l’utile e il vero.
Ma ci sono anche momenti in cui bisogna imbracciarle, le cetre, anziché appenderle alle fronde dei salici. Per dire quello che si deve dire suscitando l’interesse di chi ci legge e spargendo diletto tra i nostri amanti/e-lettori (quelli che scelgono di trascorrere con le nostre parole alcuni intervalli della loro vita troppo preziosa per essere sprecata a leggere cose che si leggono futilmente e senza piacere). A limite di questo discorso mi viene da dire che, con le parole, si fa l’amore con il rischio e la possibilità che possano essere generative e da parola possa nascere parola. Altro che “art for art’s sake“! L’arte poetica autentica è creativa e generativa. Non ha parole giuste o parole sbagliate, ma solo combinazioni sterili e combinazioni produttive che vengono alla luce con l’aiuto del lettore e che, a loro volta, indicano nuove strade agli illuminati.
(Senza contare l’estremo vizio di soggettività insito nei concetti di “dilettevole”, di “interessante”, di “vero” e di “produttivo” che si rincorrono in questo testo senza mai afferrarsi del tutto, proprio in virtù della loro imprendibile, personale e variabile essenza.)
(In questa ulteriore parentesi mi viene da osservare che, in ogni modo, girano per i libri, per le riviste e per la rete decine e decine di filastrocche di qualità molto superiore a decine di migliaia di liriche di “poeti laureati” in cui non scorre né il sangue né la ragione: sprechi di tempo, carta e spazi fisici o digitali che avrebbero fatto meglio a restare nella mente dei loro creatori, ma che magari hanno dato loro la soddisfazione effimera di un parto indolore e improduttivo. Fuffa né vera, né utile, né dilettevole, né interessante. Metafore di seconda mano, discorsi inutili, forme incerte e concetti consunti dal tempo. Poesie/sveltine, versi facili facili che danno il piacere, a lettori poco avvezzi all’arte amatoria, di aver goduto anche loro di una storia d’amore con la poesia. Ma in genere si tratta di roba che genera poco altro che un fenomeno editoriale o qualche intervista su qualche giornale che leggono in pochi o nessuno e che è destinato a durare lo spazio di un mattino).

Ma poi, alla fine dei canti, la questione è sempre una.
Utile, interessante, vero, dilettevole, poco importa…
L’arte non ha regole, obiettivi e finalità precise e univoche.
Non è tanto come DOVREBBE essere e come dovrebbe farsi, il problema; il problema dell’arte è come POTREBBE essere e come potrebbe essere fatta in un dato momento della storia per svolgere la sua sfuggente funzione e rimanere nel tempo oltre quel dato momento della storia; per continuare a parlare oltre lo spazio di quel mattino che sfuma già in un altro tramonto della nostra in/civiltà e per fare di chi legge una persona più consapevole e capace di senno, senso e intendimento.
Scrivendo ‘sto sonetto mi propongo,
a chi lo leggerà di dar piacere,
ed anche un po’ di senno e intendimento
su quello che io sento e dissento
Tutto il resto è tutto il resto su cui non dico né insisto.