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Ignoro profondità più spinte delle mie viscere, e anche se le conoscessi, non me ne farei interessare.
Piuttosto che immergermi dentro e perdere di vista le meraviglie dei mondi di fuori, preferisco scavare solo in superficie, ché già la superficie è tanto vasta che ci vuole una vita per percorrerla tutta (e noi una vita teniamo…).
Per favore, non grattate sotto la scorza di queste mie parole: vi potreste trovare affacciati su un ammaliante buco nero. Col rischio di venire risucchiati nel mio inutile vuoto in cui mi avvoltolo e accartoccio come una lettera in attesa del suo cestino; come un condannato a vita in attesa del suo destino; come una madre gravida aspetta il suo bambino e il giorno espera la luce del mattino che verrà. Inesorabile.
Beh, se si giunge in un blog di proposito, è impossibile non leggere.Ma sai Aitan che i sentimenti "de panza" sono più veri e genuini, nonché profondi, dei sentimenti di testa? Perché nella testa abbiamo un severo censore che ci fa fare considerazioni come le tue.Aspettiamo allora… altre profondità come queste!
..l'inevitabilità del vivere e del morire…se ad un certo punto del nostro esistere scegliamo di continuare a vivere, per non annoiarci a morte…in ehm…attesa della mortebisogna pure che qualcuno cominci a grattare no??non sotto i piedi però che soffro il solletico e poi tiro i calci…un sorriso…m.
Siamo tutti un buco con qualcosa intorno… zuccherato, per non farci ricordare del buco.A volte si incontrano ottime ciambelle.
ma che bel disegno :)
"Ignoro profondità più spinte delle mie viscere" potrebbe essere un incipit intrigante per un romanzo…..gastrointestinale.Lo stomaco è un organo straordinario, quando ne percepivo una morsa senza senso sapevo che m'ero innamorata. l'ultima volta è successo nel 1996.elsia del toboso
1Non sono certo di aver capito il tuo commento, Elis, però, "de panza", ti ringrazio.2 Be’, io forse, tutto sommato, preferisco i gratti sotto i piedi, M., a quelli sulla superficie delle mie parole.3 Sì, Cristina, siamo fatti soprattutto di vuoto.4Mi fa piacere, Yaki, che qualcuno si sia soffermato sul disegno.L’ho fatto con l’i-pod touch… Un vero disegno digitale, perché con quell’aggeggetto lì si disegna con un dito solo su uno schermetto di circa 7 x 5 centimetri.5 Oddio, come passa il tempo, Elsia,Saluti viscerali a te e a tutti.
oscar wilde redivivo!basura…io mi credevo che fosse un bicchiere di mojito, e invece era nu bidone 'e monnezza!un bidòn de scoasse!e com'è quello che c'è attorno al buco, com'è? quella cosa che si accartoccia e involtola, com'è?hai detto ammaliante buco nero: sei un narcisone, ecco quello che sei!lloron! para llorar eres un artista!
gratta, gratta , se con un solo dito hai saputo fare un simile disegno su un piccolo schermo, mi piacerebbe vedere gli altri. Mi piace, mi piace molto!
Trovo l'umiltà al contrario pretenziosa e fuori moda.
7Credo che quell’ammaliante buco nero sia stata una mia caduta di stile, Lucy, se più di uno l’ha interpretato come un segno del mio narcisismo (del quale non nego la possibilità di esistenza – come vedi, mi impegolo anch’io in una ardita litote come il gentile Utente Anonimo del commento 9).In ogni caso, vorrei spiegare che, nelle mie intenzioni, quell’ammaliante buco non voleva significare una mia presunta e presuntuosa bellezza interiore. Tutt’altro. Nelle mie intenzioni (sicuramente espresse male) volevo illustrare la mia idea (nient’affatto originale, peraltro) secondo la quale, sotto la superficie di ognuno di noi, si nascondono aree depresse di grande forza centripeta che ci possono irretire con la loro annichilente profondità.Spero di essermi spiegato un po’ meglio, ora.Insomma, può essere a-mal-iante anche il male, e quel buco nero per me è proprio un male ammaliante, un male oscuro che ci portiamo dentro tutti.8Grazie, Falconier. In ogni modo, la stragrande maggioranza dei disegnini che vedi su questo blog, anche in alto a destra, nel frame di sinistra e nelle scorse pagine, sono miei.Questo è un blog narcisistico e autarchico.9Mi scuso molto per gli eccessi e ti rimando al commento 7, gentile Utente Anonimo.
La prima idea era stata di fare due personaggi: il signor Palomar e il signor Mohole. Il nome del primo viene da Mount Palomar, il famoso osservatorio astronomico californiano. Il nome del secondo è quello di un progetto di trivellazione della crosta terrestre che se venisse realizzato porterebbe a profondità mai raggiunte nelle viscere della terra. I due personaggi avrebbero dovuto tendere, Palomar verso l’alto, il fuori, i multiformi aspetti dell’universo, Mohole verso il basso, l’oscuro, gli abissi interiori. Mi proponevo di scrivere dei dialoghi basati sul contrasto tra i due personaggi, uno che vede i fatti minimi della vita quotidiana in una prospettiva cosmica, l’altro che si preoccupa solo di scoprire cosa c’è sotto e dice solo verità sgradevoli…Solo alla fine ho capito che di Mohole non c’era alcun bisogno perché Palomar era anche Mohole: la parte di sé oscura e disincantata che questo personaggio generalmente ben disposto si portava dentro non aveva alcun bisogno di essere esteriorizzata in un personaggio a sé…Rileggendo il tutto, m’accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: “Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato”
(Italo Calvino 1983)
«Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifica per lui. Infine non sono le onde che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso.»
http://cartasdeamor.splinder.com/post/7552733#7552733
espera.per oggi potrebbe bastarmi quest'unica parola.e le foglie nel bicchiere.
Non gratteremo, va bene, sei stato convincente. C'è sempre tempo per scavare, fossa compresa.
11, 12, 13Palomar, come modello consapevole o come memoria inconsapevole, sta sicuramente sotto la scorza di questo frammento, Zar.“Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose […] ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile.”Leggendo le tue citazioni ho rievocato quest’altra che riportai qui nel primo anno di vita del blog.Pure la tua lettera, la ricordavo. Soprattutto quel fatto che anche il palombaro “non ignora quali anfratti sottomarini è d’obbligo ignorare”. Certe ignoranze salvano la vita.14Espera, Lievito, è un termine spagnolo che sta per “aspetta” e “spera”.Ma forse questo già lo sai.Quello che invece probabilmente non sai è che “le foglie nel bicchiere” per me sono “fogli nel cestino”. Ma è una questione di dettagli e di punti di vi(s)ta.15Diventare cibo per i vermi, effettivamente, è l’ultima cosa che vorrei fare, Cristina. E vorrei farla il più tardi possibile. A limite anche il più tardi… impossibile! Ché io quaggiù, nonostante tutto, mi trovo ancora piuttosto bene.
Sopra e sotto la superficie. Però… Potrebbe anche essere che sopra il buco si nasconda la superficie e che si possa grattarla solo dall'interno. Non lo vedo così "male" un continuo movimento dentro-fuori e viceversa… Gioiosi salutiAntonella
uh, la settimana degli inutilmente offesi, me n'ero dimenticata!passi tu, passo anch'io.
mamma che figata, non ho un cent ma mi piacerebbe molto averlo :)
e poi importi sul computer in jpeg con una usb?
miii, uf
17Bentornata, Antonella, e grazie per il gioioso e dondolante commento. 18 Più umiliati che offesi, Lucy.(Anche se, in verità in verità ti dico, secondo me è tutto un gioco in cui anche la suscettibilità fa la sua parte ;o). 19 La tecnologia è una cosa bella, Yaki, ma ogni cosa ha il suo prezzo quaggiù. Uffa uffa e mannaggia la miseria!
ah, ecco!
#/;o) X
cercare, guardare, accettare, godere della… prorpria monnezza nobn è da tutti. che poi questa monnezza possa (fare, produrre, provocare, partorire…) qualcosa è delirio capitalistan che ce piglia a tutt' quant'che ce piglia a tutt quantcon la maxima exstimaalfar
Beh scegliere di guardare solo la superfice è una scelta, come è una scelta quella di andare più a fondo.Qualcuno una volta mi disse: "ogni scelta è una negazione" e io questa affermazione la vedo appropriata a questo post.E rispondo come allora: la negazione di una scelta serve per affermarne un'altra.Hai scelto di vedere le meraviglie del mondo fuori (che per altro già conosci) per non sapere se effettivamente c'è un ammaliante buco nero (qualunque sia il senso che dai al termine ammaliante), e in cosa consiste.Hai scelto, una scelta è una scelta e va sempre rispettata.PS il post è scritto in prima persona, ho scelto di rivolgere a te anche il commento. Se vuoi tu (e tuoi lettori) puoi leggerlo anche in terza (persona)
23Qua o deliriamo o buttiamo bombe, caro Alfar.
24 Grazie, Kuu.Massimo rispetto soprattutto per Spinoza che di quella massima che informa tutta la mia vita è l’autore.Per il resto, credo che tu abbia ragione: una scelta è una scelta e va sempre rispettata. In qualunque persona si coniughi.
A poterci parlare, con Spinoza, mi sarebbe piaciuto chiedergli di correggerla un po', quella massima. Ché ogni scelta non sia, allora, una negazione, ma una privazione. Invertendo la prospettiva dall'effetto negante sulla scelta-non scelta (negazione) a quello sull'agente della scelta stessa (privazione). Non mi è mai piaciuto pensare che scegliere tra due o più alternative sia "negare" (verneinen-annullare-rendere "niente") l'altra/le altre, ma ritengo definirlo piuttosto un "privare" se stessi delle alternative scartate. Ma è probabile che qualcosa si sia perso nella traduzione (sempre qualcosa si perde, nella traduzione – lost in translation) e forse Spinoza voleva intendere (anche) che operare una scelta significa sempre negarsi qualcosa (e in questo senso pare anche a me di aver sentito qualcuno ripetutamente citare e citarsela, quella massima). E in questo senso, inoltre, mi pare anche "diversamente" significativo che ogni scelta va rispettata (il rispetto che consiste anche nel non negare le alternative scartate, oltre al rispetto riconosciuto a quella abbracciata). "Omnis determinatio est negatio", per altro in tedesco suona"jede Bestimmtheit ist eine Verneinung", dove Bestimmtheit non ha esattamente il significato di "scelta", quanto piuttosto di "definizione", "determinazione". Mentre Verneinung richiama proprio un Nein, se non un Nichts.Vabbé, chiudo qua l'elucubrazione.(in fondo non era che una scusa per un saluto a Kuu :-) )
Kuu condivide molto del commento 27 anche se ha capito poco della parte tedesca!E aggiungerebbe anche che si, si sceglie, ma le scelte sono come le regole, prima o poi vanno infrante. Sopratutto quando si sceglie con estrema determinazione. Io per esempio avevo scelto con convinzione e senza possibilità di ripensamento, di mettere una regola per questi giorni, sopratutto per oggi. Andare a letto presto che sono particolarmente stanca e durante il giorno (domani poi…) un pò incasinata. E invece ho deliberatamente scelto di infrangere questa regola , almeno stasera.Ma in fondo approfitto di questa precisazione per ricambiare il saluto a zaritmac^.^
27Come premessa un chiarimento.Quella frase, Spinoza non l’ha mai detta in quei termini. Gliela ha messa in bocca Hegel.Lui aveva scritto ancora più sinteticamente (e in latino) "determinatio negatio est” in una lettera a un suo amico (tale Jarig Jelles).Quell’omnis (che non so dire se assolutizza o riduce l’ambito delle scelte) lo aveva aggiunto Hegel, nella “Scienza della logica”.Per il resto, Spinoza e Hegel, non so, ma io credo di intendere questa frase in modo simile a te, Zar: se scegli qualcosa ti privi di un’altra, te ne neghi la possibilità…
28Sì, Kuu, ma sia le scelte che le regole non credo che vadano infrante perché sì o perché col tempo scadano e vadano a male come il latte o il prosciutto di maiale. Piuttosto penso che possano essere entrambe infrante, quando ti accorgi che non ti appartengono più e senti l’esigenza di sostituirle con delle altre.