Pietro e Paolo (a.k.a. Simone e Saulo), due santi, uno di Galilea e l’altro di Tarso, due vite parallele accomunate dal martirio in Roma e messe insieme da una solennità religiosa tra le più celebrate dalla chiesa cattolica, apostolica e romana. Un tempo, mi dicono, era anche festa nazionale.
Qualcuno, come Pasolini, celebra oggi la solennità doppiamente. A loro e a tutte quelle e quelli che portano o che portavano il nome di Pie(t)ro, Paolo o loro derivati lascio i miei auguri con tre ritratti che El Greco dedicó ai due martiri apostoli negli ultimi venti anni del ‘500.
Ammirateli.
In due tele su tre, Pietro è raffigurato chiavi in mano e Paolo con la sinistra appoggiata su un libro aperto. Le mani lunghe e affusolate dei due santi la fanno da protagoniste in tutte e tre le composizioni e in tutte e tre le composizioni Pietro, il padre della Chiesa, è rappresentato vecchio e remissivo, mentre Paolo appare più giovane, dinamico e combattivo (in uno dei tre dipinti imbraccia perfino una spada). Anche il cromatismo delle vesti appare abbastanza cristallizzato: Pietro veste in giallo e Paolo in rosso. Per il resto, Paolo guarda sempre lo spettatore (come se fissasse la telecamera), mentre il buon Pietro guarda il compagno di sventura nei primi due dipinti e fissa noi, mestamente, nel terzo.
Tre capolavori, in ogni modo, custoditi in Russia, in Svezia e in Spagna. Io ne ho visto da vicino solo uno, il terzo, esposto a Barcellona, al MNAC, Museo Nacional de Arte de Cataluña (anche se il quadro – d’autore cretese vissuto tra Venezia, Roma e Toledo – di catalano non ha nulla; d’altra parte, nonostante il nome, il MNAC non ospita solo opere catalane e quel “de Cataluña” è da intendersi come un possessivo, non come un complemento d’origine; il che aprirebbe una lunga discussione su quella C maiuscola; ma preferisco evitarla, la discussione, e concludere questo breve testo con rinnovati auguri, ribaditi tra parentesi e rafforzati dall’affetto).
Quanti saccenti che non sanno niente Quanti visionari Quanti veggenti Che riempiono di fiamme e di fumo le loro parole E offuscano il senso e la direzione del loro percorso Per sembrare più interessanti Innanzitutto a se medesimi Dando l’impressione che hanno da dire Molto di più di quanto hanno da dire
Guardateli Stanno dicendo ora stesso Molto di più di quello che stanno dicendo Ma il mondo distratto Non riesce a sentire Tutto quello che hanno da dire Signora mia
Ascoltateli La gran parte di loro Non ha nulla da dire Ma lo dice Andando insistentemente da capo Prima che si arrivi alla fine del rigo
Pare che questo sia Il primo motore della poesia Signora mia Immutato dal tempo che fu (Ancor prima che sia nato Gesù) Con tutto lo spreco di carta Che ne deriva e comporta
Ma questo Alla poesia Cosa diavolo importa? Il buon poeta e il poeta buono Sono poco versati nelle circostanze effimere dell’attualità e Nelle problematiche della vita sociopolitica della gente comune
È d’uopo altresì rifuggire la rima Che conferisce al testo Un sapore di buone cose di pessimo gusto
E poi Per l’amor del cielo Nessuna citazione Poco linguaggio figurato E spruzzi di parole desuete scelte a cazzo di cane con acribia e convinzione
“Meglio un albero senza fusto Meglio un ramoscello o un arbusto Che un caffè dall’aroma robusto Infarcito di un linguaggio frusto trito e ritrito Fatto di formulette che puoi ripetere a menadito Per sfornare il tuo piatto adusto” E fare in modo che Come da rito Nessuno legga Con dovuta attenzione Né possa esservi qualcuno che regga Tutta intera La lettura della composizione
E poi è d’obbligo suonare esoterici e oscuri Ma questo credo di averglielo già detto Signora mia
Oppure giocare a fare i banali Per nascondere quanto banali si sia per davvero Dietro un muro di simpatiche anafore Infarcite di battute ad effetto E colpi di teatro Fatti per essere detti in pubblico Tra il rumore dei bicchieri e qualche rutto che dia ritmo alla serata
O anche (E con questo passo e chiudo) puntare a più amplie platee Discettando di natura a chi vive in città E darsi pose da provinciale universale Essendo trito ed essendo banale Come il pane senza sale Che ti danno in ospedale Per accompagnare la pastina e il merluzzo (E se ti va bene Arriva anche una mela Avvolta in una bustina di plastica Trasparente ma opaca )
Per il resto Le consiglio di seguire il mio laboratorio di poesia Costa pochissimo e le assicura un posto in prima fila Nel nulla della poesia contemporanea Nel quale m’onoro di naufragare Come chi ha di fronte un bicchiere E si sente nel mare
Tutte cose già dette, ripetute in altro modo. Ma non dobbiamo mai smettere di relazionarci con i classici.
Un classico è un libro che non si esaurisce alla prima lettura. Un libro che continuano a leggere diverse generazioni di lettori, perché parla agli uomini di ogni tempo. Un testo in cui troverai sempre qualcosa di nuovo. Uno scrigno che non finirai mai di scoprire. Una voce che, se saprai ascoltare, continua a parlare anche a te, e ad ogni lettura sentirai nuovo o rinnovato quello che avevi già sentito e risentito.
Versi e prose che si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale; opere che non si finisce mai di scoprire e riscoprire, e pare sempre che sia la prima volta ed ogni volta abbiano altro ancora da dirci; testi che rimandano a testi del passato e preannunciano il futuro; opere piccole o grandiose che sono per chi le legge una miniera inesauribile in cui ritrovare parti di se stessi e del proprio presente, in qualunque epoca o condizione si legga il loro prezioso lascito.
Un classico è una superficie riflettente in cui ti pare di intravedere anche le sagome di chi si è rispecchiato prima di te.
Da un classico trovi sempre qualcosa da saccheggiare o da imparare e una musicalità che è capace di incarnare e trascendere ogni tempo e ogni concetto.
Un classico è un tempio e un motore.
I classici sono occhiali che fanno vedere i ciechi e sentire i sordi.
I classici ci mettono in contatto con noi stessi e con la realtà che ci gira intorno. Leggendoli ci allontaniamo dal mondo per comprenderlo meglio.
Un classico è un’estensione della nostra immaginazione; una bugia che dice la verità.
(In un certo senso ogni libro è un classico, per un lettore di classici.)
Un classico è un testo fecondo che nutre e feconda anche te che lo leggerai domani. Qualunque sia il supporto che userai per far passare dentro di te quella serie pressoché perfetta di parole.
…
In buona parte, per scrivere questa decina di paragrafetti, ho fatto mie le considerazioni, lette nel secolo scorso, di un classico di Italo Calvino sul perché leggere i classici. Ma sono andato a memoria. E potrei aver scritto altro.
Da un classico trovi sempre uno specchio per riflettere e reinterpretare te stesso. A volte anche a prescindere da quello che c’era scritto nella versione originale.
Un racconto bianco, fantascientifico, metafisico e stanco, ma non tanto. Un racconto brutto, adusto, oscuro e farlocco, ma non troppo.
Le cose andavano di male in peggio. Decisi di andare su ai piani alti a dirgliene quattro. Noi laggiù ci sbracciavamo e facevamo del nostro meglio. Ma era evidente che il problema era di struttura. Non si poteva andare avanti così. Sprofondato nella sua stanza bianca, con indosso un camice bianco uguale al mio e del tutto simile al bianco delle pareti della poltrona, del tavolo, delle sedie e dei fogli sparsi sul pavimento bianco bianco bianco, mi disse: “Non si preoccupi, è tutto calcolato”. “Ma come è tutto calcolato? Qui non funziona niente”, gli dissi. “Era calcolato anche questo”, aggiunse, senza tradire nemmeno un’ombra di emozione. “La aspettavamo, sapevo che sarebbe venuto”.
Pensai di afferrarlo alla gola e di strangolarlo. Pensai di minacciarlo con un coltello. Pensai di fracassargli una sedia in testa, o almeno di dargli un pugno sulla faccia e prenderlo a calci senza pietà. Immaginai un rivolo rosso di sangue sul suo camice bianco.
Ma forse lui aveva previsto anche questo. Forse era proprio quello che voleva, pensai. Forse era anche lui un ingranaggio di quei calcoli e cercava in me quel cambiamento che lui, da solo, non era in grado di realizzare. O almeno voleva, attraverso un mio gesto, una liberazione dal calcolo, pensai. Qualsiasi tipo di liberazione. Anche a costo della sua propria vita, pensai.
Dopo un attimo di esitazione, mi dissi che non mi sarei mosso di un centimetro. Mi dissi che non gli avrei dato nessuna soddisfazione e lo fissai negli occhi senza fare niente.
Lui si alzò lentamente dalla sua poltrona e si allontanò. Mentre usciva dalla stanza aggiunse che ora il suo posto era mio. “Si sieda”, aggiunse e si allontanò a testa bassa.
Poi sei arrivato tu e mi hai detto che le cose andavano di male in peggio e che non funzionava niente. Io ti ho detto di non preoccuparti e ho aggiunto che era tutto calcolato. Ora mi stai fissando esterefatto. Tra un po’ mi dirai che col cavolo che è tutto calcolato. Qui non funziona niente. E io ti dirò che era calcolato anche questo e poi aspetterò la tua reazione. Tutto continuerà secondo i calcoli e nel pieno rispetto dell’andatura, del passo e della struttura degli ingranaggi.
Sopraffatto da troppi impegni che si moltiplicano in modo direttamente proporzionale alla mia congenita incapacità di dire no, mi chiedo se sia meglio fermarmi un attimo e pianificare con calma le cose da fare cercando il modo di incastrare le ore e i minuti nel modo più fluido e indolore possibile o se invece non sarebbe meglio scappare via in cerca di una montagna su cui nascondermi al mondo per un mese o due; oppure, mi dico, potrebbe essere ancora più bello se fossero gli altri, tutti gli altri, a scapparsene sulla montagna di cui sopra, mentre io me ne resterei qua, tutto tranquillo, senza nessuno a cui dire sì o dire no, e poi, magari, me ne andrei tutto solo al mare, certo di non imbottigliarmi in una coda di auto e senza più perdermi tra le fila di ombrelloni e l’obbligo di pianificare cosa si fa stasera o rispondere ai quesiti a due uscite di chi ti ha già organizzato la serata e aspetta il tuo sì obbligatorio che di certo non mancherà o, per meglio dire, non mancherebbe, in virtù della congenita (o da tempo immemore acquisita) incapacità di cui dicevo (o, meglio, scrivevo) prima di avviarmi alla conclusione di questo pensiero con una fine improvvisa a causa degli impegni già accumulati che poco ci manca che non mi diano nemmeno il tempo di vagheggiare alternative inesistenti o di mettere un punto alla fine di questo pensiero che mi sono preso la libertà di stendere su questo schermo tra pronuncia di un sì e di un altro sì
Gira ormai da una quindicina di anni una lista di 100 libri che sarebbero stati scelti dalla BBC come gli imprescindibili, quelli che non si può fare a meno di leggere. Oggi mi è balzata di nuovo agli occhi.
Ma eccovi la famigerata lista a vostro uso e consumo, in modo che la possiate liberamente confrontare con il vostro gusto e la vostra “enciclopedia delle conoscenze personali”.
1 Orgoglio e Pregiudizio – Jane Austen 2 Il Signore degli Anelli – J.R.R. Tolkien 3 Il Profeta – Kahlil Gibran 4 Harry Potter – JK Rowling 5 Se questo è un uomo – Primo Levi 6 La Bibbia 7 Cime Tempestose – Emily Bronte 8 1984 – George Orwell 9 I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni 10 La Divina Commedia – Dante Alighieri 11 Piccole Donne – Louisa M Alcott 12 Lessico Familiare – Natalia Ginzburg 13 Comma 22 – Joseph Heller 14 L’opera completa di Shakespeare 15 Il Giardino dei Finzi Contini – Giorgio Bassani 16 Lo Hobbit – JRR Tolkien 17 Il Nome della Rosa – Umberto Eco 18 Il Gattopardo – Tommasi di Lampedusa 19 Il Processo – Franz Kafka 20 Le Affinità Elettive – Goethe 21 Via col Vento – Margaret Mitchell 22 Il Grande Gatsby – F. Scott Fitzgerald 23 Bleak House – Charles Dickens 24 Guerra e Pace – Leo Tolstoy 25 Guida Galattica per Autostoppisti – Douglas Adams 26 Brideshead Revisited – Evelyn Waugh 27 Delitto e Castigo – Fyodor Dostoyevsky 28 Odissea – Omero 29 Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll 30 L’insostenibile leggerezza dell’essere – Milan Kundera 31 Anna Karenina – Leo Tolstoj 32 David Copperfield – Charles Dickens 33 Le Cronache di Narnia – CS Lewis 34 Emma – Jane Austen 35 Cuore – Edmondo de Amicis 36 La Coscienza di Zeno – Italo Svevo 37 Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini 38 Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere 39 Memorie di una Geisha – Arthur Golden 40 Winnie the Pooh – AA Milne 41 La Fattoria degli Animali – George Orwell 42 Il Codice da Vinci – Dan Brown 43 Cento Anni di Solitudine – Gabriel Garcia Marquez 44 Il Barone Rampante – Italo Calvino 45 Gli Indifferenti – Alberto Moravia 46 Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar 47 I Malavoglia – Giovanni Verga 48 Il Fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello 49 Il Signore delle Mosche – William Golding 50 Cristo si è fermato ad Eboli – Carlo Levi 51 Vita di Pi – Yann Martel 52 Il Vecchio e il Mare – Ernest Hemingway 53 Don Chisciotte della Mancia – Cervantes 54 I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe 55 Le Avventure di Pinocchio – Collodi 56 L’ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon 57 Siddharta – Hermann Hesse 58 Il mondo nuovo – Aldous Huxley 59 Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon 60 L’Amore ai Tempi del Colera – Gabriel Garcia Marquez 61 Uomini e topi – John Steinbeck 62 Lolita – Vladimir Nabokov 63 Il Commissario Maigret – George Simenon 64 Amabili resti – Alice Sebold 65 Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas 66 Sulla Strada – Jack Kerouac 67 La luna e i Falò – Cesare Pavese 68 Il Diario di Bridget Jones – Helen Fielding 69 I figli della mezzanotte – Salman Rushdie 70 Moby Dick – Herman Melville 71 Oliver Twist – Charles Dickens 72 Dracula – Bram Stoker 73 Tre Uomini in Barca – Jerome K. Jerome 74 Notes From A Small Island – Bill Bryson 75 Ulisse – James Joyce 76 I Buddenbroock – Thomas Mann 77 Il buio oltre la siepe – Harper Lee 78 Germinale – Emile Zola 79 La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray 80 Possession – AS Byatt 81 A Christmas Carol – Charles Dickens 82 Il Ritratto di Dorian Gray – Oscar Wilde 83 Il Colore Viola – Alice Walker 84 Quel che resta del giorno – Kazuo Ishiguro 85 Madame Bovary – Gustave Flaubert 86 A Fine Balance – Rohinton Mistry 87 Charlotte’s Web – EB White 88 Il Rosso e il Nero – Stendhal 89 Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle 90 The Faraway Tree Collection – Enid Blyton 91 Cuore di tenebra – Joseph Conrad 92 Il Piccolo Principe– Antoine De Saint-Exupery 93 The Wasp Factory – Iain Banks 94 Niente di nuovo sul fronte occidentale – Remarque 95 Un Uomo – Oriana Fallaci 96 Il Giovane Holden – Salinger 97 I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas 98 Amleto– William Shakespeare 99 La fabbrica di cioccolato – Roald Dahl 100 I Miserabili – Victor Hugo
Personalmente ne ho letti una trentina, qualcuno l’ho cominciato e poi lasciato in sospeso e, in casa, ne ho più della metà. Almeno una sessantina.
In ogni caso, ogni volta che mi è capitato tra le mani questo elenco, ho sentito nell’aria un olezzo di bufala. Fin dal principio ho avuto l’impressione che non fosse un’autentica produzione della BBC ed ho immaginato che, al limite, si potesse trattare di una lista nata lì nella British Broadcasting Corporation, ma modificata e rimaneggiata nei vari passaggi di rete da lettore a lettore. Peraltro, mi pareva molto strano che la più celebre tra le emittenti televisive inglesi, su 100 testi, avesse inserito ben 17 titoli italiani (e neanche di quelli più noti a livello internazionale); e che tra i romanzi di Dickens avesse preferito Casa desolata a Grandi Speranze, Il Circolo di Pickwick e Tempi Difficili; strano, poi, che mancassero Middlemarch di George Eliot e L’Isola del Tesoro e Dottor Jekyll di Stevenson; inoltre, si parlava di Harry Potter come di un solo libro e si citava una volta l’opera omnia di Shakespeare e poi il solo Amleto (come se il tutto non comprendesse la parte)…
E allora, alla luce di questi ed altri dubbi, ho deciso di attuare un controllo facendo la cosa più facile del mondo. Ho cercato nella web di lingua inglese la presunta lista e, in un attimo, mi sono imbattuto nel sito (autentico) dei 100 libri della BBC.
La lista c’era. Suddivisa in due pagine web di 50 titoli ciascuna. Ma effettivamente, come sospettavo, si trattava di un elenco notevolmente differente da quello che gira nel web di lingua italiana.
Con l’ausilio di Google Lens ho trasformato le due immagini in un elenco testuale simile a quello che ho inserito prima in italiano, per agevolare il confronto tra le due liste (che ho realizzato con l’ausilio di un foglio elettronico).
Risultato: le corrispondenze tra le due liste sono meno di 40. I testi della lista made in BBC sono quasi tutti appartenenti al panorama letterario inglese, rari anche quelli della letteratura angloamericana. Ma, soprattutto, a ben leggere, quella lista non è stata redatta da esperti, critici o professoroni di Oxford o Cambridge, è solo il risultato di un sondaggio tra gli spettatori della BBC realizzato nel 2003.
In April 2003 the BBC’s Big Read began the search for the nation’s best-loved novel, and we asked you to nominate your favourite books.
Abbastanza ovvio, allora che manchi tutta la letteratura francese, spagnola e italiana e che non ci siano nemmeno opere che, personalmente, considero fondamentali come Le mille e una notte, i Frammenti di Eraclito, l’Antigone di Sofocle, L’Idiota di Dostoevskij, Casa di Bambola di Ibsen, Finzioni di Borges, tutto Proust (che io, tuttavia, non ho letto), le poesie di Leopardi, il Libro delle Inquietudini di Pessoa, i racconti di Chekov, i romanzi di Verne e quelli di Salgari, il Diario di Anna Frank, le opere di Céline e Celan, La Divina Commedia di Dante Alighieri e Cecità di Saramago. D’altro canto ci sono nella lista farlocca italiana capolavori assoluti che mancano nella lista inglese, come l’Odissea, il Don Chisciotte di Cervantes, Il Processo di Kafka, Moby Dick di Melville e Le Affinità Elettive di Goethe. Ma probabilmente la mancanza più vistosa sarebbe la completa assenza di opere di Shakespeare, se non si facesse attenzione al fatto che, nella lista originale inglese, siamo al cospetto di soli romanzi (così come richiesto dal gioco; il che, a questo punto, giustifica anche l’assenza di una Divina Commedia o di un Paradiso Perduto, tanto per fare un paio di esempi di capolavori della letteratura universale non scritti in forma di romanzo).
Insomma, il gioco è simpatico, ma lascia il tempo che trova se non serve almeno a spronarci a lasciare un po’ da parte questi social per dedicarci alla lettura di uno di questi 100 o di quegli altri 100mila capolavori della letteratura universale che ci aspettano nei nostri scaffali, sulle mensole delle biblioteche e delle librerie o nella memoria digitale del nostro e-reader.
Pare che ogni giorno nel mondo vengano pubblicate tremila novità librarie. E noi non ne leggiamo nemmeno tre in trecento giorni. Pare.
D’altronde, come diceva il Massimo comico napoletano nato dopo Totò: “Io non leggo mai, non leggo libri, cose… pecché che comincio a leggere mo’ che so’ grande? Che i libri so’ milioni, milioni, non li raggiungo mai, capito? pecché io so’ uno a leggere, là so’ milioni a scrivere, cioè un milione di persone e io uno, mentre ne leggo uno…” (Citato in Massimo Troisi. Il mondo intero proprio – Pensieri e battute a cura di Marco Giusti, Mondadori, 2004).
Napoli è un paradiso che puzza di zolfo, fumi, fiamme e sangue liquefatto.
Napoli è un basso (1) nettato, ripulito, lindo e pinto. A Napule ‘a munnezza se votta ‘a fora e ‘o pulito resta adinto. (2)
Napoli è terra di conquista. ‘A piazza, ‘e palazze, ‘o mare e pure l’aria ca se rispira mmiezz’a via so robba d’o rre e nun so’ cosa mia.
Napoli è desiderio di autodistruzione. Napoli è chiasso e involuzione.
Napoli è l’odore del mare e delle sfogliatelle. Napoli è la terra dell’ammore e delle femmine belle.
Napule se crede sfaccimma, (3) ma e’ cchiù fessa ca bbona. Napule canta, balla e stona.
Napoli è una carcassa circondata da sciacalli ed avvoltoi che si ripetono e si moltiplicano dentro e fuori di noi.
Napoli è una pernacchia e un rutto che risuonano dalle viscere del Vesuvio.
Napule è ‘nu vico addo’ (4) nun vatte ‘o sole, ma tu ‘o saje che isse sta là fora e se fa mille stelle ‘mmiezz’o mare.
Napoli è tutto il bene e tutto il male del mondo.
Napule è ‘na luce ca s’appiccia e se stuta. (5) ‘O sanghe ‘e Napule se mozzeca, (6) ma nun se sputa.
Napule sirena, Napule rigina, Napule priezza (7) che luce ‘mmiezz’o mare.
Napule pezza sporca Napule fetenzia, Napule munnezza ‘nfracetata int’a lota. (8)
Napule ca s’arrevota. (9)
Napule se chieja (10) ma nun se spezza.
Napule tremma, ma nun cade.
Napule se trammea, (11) ma s’aiza (12) n’ata vota.
(‘Napule è ‘na sirena crisciute int’a munnezza e mmiezz’a lota.)
Napule se trascina, s’accascia e se more. Ma po’ torna a nascere e s’arrevota n’ata vota.
Napoli non immagina cosa potrebbe essere e nemmeno sa cos’è.
…
Ma questo, amici miei, di certo non è tutto, perché tutto non si può dire e nisciuno ‘o po’ sape’.
…
Nap less Nap more Napulammore
…
Video originale realizzato con mie vecchie foto con e senza Vesuvio. Nella colonna sonora un frammento della voce di Fausta Vetere che canta “Ricciulina” (dall’album della Nuova Compagnia di Canto Popolare “Li sarracini adorano lu sole“, 1974).
12 note linguistiche per non napoletano-parlanti
(1) basso, s.m.: in napoletano “vascio“, è una piccola abitazione di uno o due vani, con accesso diretto sulla strada; tipica dei quartieri più popolari della città.
(2) adinto, avv.: dentro.
(3) sfaccimma, agg.: in questo contesto vuol dire sveglia, furba, scaltra; ma il termine, talvolta scritto e pronunciato anche con la P invece che con la F nella prima sillaba, indica anche lo sperma e viene usato anche come esclamazione: “Che sfaccimma!” (Che caspita!) o in modo denigratorio “‘A sfaccimma d’a gente” (La schifezza della gente”), “Omme ‘e sfaccimma” (Uomo di merda).
Fernando Martins de Bulhões e Taveira Azevedo nacque a Lisbona, nel 1195, da una famiglia benestante di nobili origini e morì a Padova, il 13 giugno del 1231, nella cella buia di un monastero. Una parabola dalla ricchezza familiare alla povertà ricercata e voluta che ricalca quella di Francesco d’Assisi.
«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Sostiene Gesù in Matteo 19, 21 (versione Diodati del Nuovo Testamento).
Ma torniamo a Fernando Martins de Bulhões. Molto probabilmente il suo nome vi dirà poco o niente. Tuttavia, sono certo che vi risulterà più familiare se aggiungo che qui in Italia lo conosciamo come Antonio di Padova (riferendoci alla città dove visse negli ultimi anni 4 o 5 anni della sua vita), mentre in Portogallo lo chiamano António de Lisboa, rimarcando la sua origine lusitana. Insomma, stiamo parlando di uno dei santi più popolari del calendario cristiano cattolico, già canonizzato 11 mesi dopo la sua morte.
Fernando, aveva cambiato nome nel 1220 per sottolineare il netto mutamento di rotta dalla vita mondana a quella monastica. Scelse di chiamarsi come il santo eremita, il monaco egiziano copto sant’Antonio Abate, ricordato anche come sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto e sant’Antonio l’Anacoreta. Quello delle tentazioni e dell’herpes zoster (cfr. “Requiem“, il romanzo più portoghese di Antonio Tabucchi); il santo che come il Cristo aveva affrontato nel deserto il fuoco di fila delle tentazioni del diavolo, facendo scatenare l’immaginazione di tanta arte pittorica occidentale.
Guglielmetto Fantini, “Le tentazioni di Sant’Antonio”, 1440-50 (Pecetto, Torino, Chiesa di San Sebastiano)Hieronymus Bosch, dettaglio dal “Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio”, 1501 circa (Lisbona, Museu Nacional de Arte Antica).Giovanni Battista Tiepolo, “Le tentazioni di Sant’Antonio Abate”, 1724–1725 (Milano, Pinacoteca di Brera).Diego Morelli (Napoli 1823-1901), “Le tentazioni di Sant’Antonio”, 1878 (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea).Salvador Dalì, “La tentazione di Sant’Antonio”, 1946 (Bruxelles, Musée des Beaux-Arts)
Ma torniamo per un momento al nostro santo portoghese, protettore dei viaggiatori, ma anche fonte di ausilio per trovare ciò che abbiamo perso o non abbiamo mai avuto:
“Sant’Antonio dalla barba bianca, fammi trovare quello che mi manca”.
A proposito di miracoli e mancanze, i frati della basilica di Padova riportano la storia di una signora sudamericana che, indispettita con il santo che non faceva trovare un marito alla figlia, gettò dalla finestra la statuetta di Sant’Antonio. Ma, miracolo, la statuettà colpì un passante che, di lì a poco, sarebbe diventato suo genero.
Va be’, tanti auguri a tutti gli Antoni, le Antonie, le Antonelle, le Antoniette e derivati. E che ognuno possa trovare quello che gli manca (anche Sant’Antonio la sua barca bianca – che, immagino, non abbia mai avuto, morto come fu a soli 36 anni, densi di viaggi, prodigi e cambiamenti).