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~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

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La nuova tegola di MetaFacebook caduta sulla testa degli utenti ignari

08 sabato Gen 2022

Posted by aitanblog in riflessioni, vita civile

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Tag

bufale, facebook, fake news, metà


Ormai è una decina di giorni, una decina di mesi e una decina di anni che “Domani inizia una nuova regola di Facebook…”

Ma possibile che ai tanti condivisori di questi messaggi non venga mai il dubbio che si possa trattare di una bufala?
Non destano qualche sospetto quei punti esclamativi ripetuti!!!, quel linguaggio che fa leva sulla paura (“può essere usato nei contenziosi contro di te”), il solito incitamento a fare qualcosa che “non ti costa niente…” e l’abuso delle MAIUSCOLE (suvvia, non indugiate e “FATE COPIA/INCOLLA”)? Non fa accendere qualche lampadina la ripetitività ciclica di questi messaggi sulla proprietà delle nostre foto o su presunti metodi per bypassare le regole di Zuckeberg e apparire ai primi posti sulle bacheche dei nostri amici virtuali?

Come se stessero nelle nostre mani le regole del gioco…

L’unica variazione sostanziale della bufala di questo nuovo anno consiste nel citare il cambiamento di nome (reale) da Facebook a Meta. Un classico espediente dei diffusori di fake news: mischiare un fatto reale con una fandonia per rendere il pacco più verosimile e spendibile.

Certo, si tratta di bufale piuttosto innocue. In fondo, veramente non costa niente fare copia e incolla: un gesto innocente e superstizioso che ha un che di vagamente apotropaico, tipo cambiare strada quando passa un gatto nero (“non è vero, ma ci credo); ma a ‘mme continua ugualmente a preoccuparmi questa incessante diffusione acritica di post altrui, questo copia/incolla indiscriminato e compulsivo.
Quasi una prova di forza dei diffusori di bufale (se posso fargli credere questo, posso fargli credere qualsiasi cosa).

E allora, per l’ennesima volta, cerco di fare un po’ di chiarezza sulla questione (veramente annosa).

Innanzitutto, deve essere chiaro che non si possono cambiare le regole del gioco incollando sulla nostra pagina personale dei post che non sono altro che una versione contemporanea e amplificata delle vecchie (e odiose) catene di Sant’Antonio. Il testo che state contribuendo a diffondere come un virus epidemico serve solo a intasare le bacheche con un messaggio ripetuto ad infinitum et ad cazzum di canem.

Le vere regole sulle “autorizzazioni concesse dall’utente a Facebook” si possono leggere sulle loro pagine ufficiali evitando così di diffondere sciocchezze e creare allarmismi:

https://m.facebook.com/terms?locale=it

Certo non tutto è chiarissimo, ma in buona sostanza si capisce che Meta non ha alcun interesse a riutilizzare i nostri contenuti e la nostra proprietà intellettuale per farne commercio in modo diretto. Ve lo immaginate Zuckerberg che vende a Pink Pallin una vostra foto o una vostra filastrocca, e magari dice pure che l’ha scritta lui?

Zuckerberg & Co. fanno affari attraverso i nostri dati e i nostri comportamenti (soprattutto i nostri comportamenti compulsivi, tipo copincollare inutili catene di Sant’Antonio), non vendendo a terzi le nostre immagini o i nostri futili messaggi (compreso questo, naturalmente).

Facebook ce lo dice chiaramente che paghiamo la sua gratuità con i nostri dati personali e – in questa pagina – ci lascia pure controllare quali dati vengono usati per mostrarci le inserzioni. Si legge, tra l’altro:

“Anziché richiedere all’utente un pagamento per l’utilizzo di Facebook o degli altri prodotti e servizi coperti dalle presenti Condizioni, Facebook riceve una remunerazione da parte di aziende e organizzazioni per mostrare agli utenti inserzioni relative ai loro prodotti e servizi. Utilizzando i nostri Prodotti, l’utente accetta che Meta possa mostrargli inserzioni che Meta ritiene pertinenti per l’utente e per i suoi interessi. Facebook usa i dati personali dell’utente per aiutare a determinare quali inserzioni mostrare all’utente.
Facebook non vende dati personali dell’utente agli inserzionisti […]. Al contrario, gli inserzionisti possono indicare a Facebook elementi come il tipo di pubblico di destinazione delle proprie inserzioni e Facebook mostrerà tali inserzioni agli utenti che potrebbero essere interessati. Forniamo agli inserzionisti report sulle prestazioni delle proprie inserzioni per consentire loro di comprendere in che modo gli utenti interagiscono con i loro contenuti.”

Insomma, se continuiamo a copincollare falsi messaggi e probabile che poi ci ritroviamo in bacheca inserzioni che ci vogliono vendere il colosseo o post che ci incitano a votare per Trump, Biden, Renzi, Meloni, Salvini, De Luca o il futuro partito di Draghi.

Meditate gente!
Meditate e FATE COPIA/INCOLLA di questo messaggio su tutte le vostre pagine e in tutti i gruppi che conoscete o praticate.

((( parola di aitan )))
aitanblog.wordpress.com

Post triangolare da Aitan al Facebook e ritorno

09 giovedì Apr 2020

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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Tag

facebook, triangoli

Il problema non è quanti dei 18 triangoli vedete.
Il problema è che vi prendono in giro e alla fine, qualunque numero diate, vi dicono sempre che siete brave persone, indistruttibili e più forti di quello che la gente potrebbe pensare.

E questa volta, lo con-fesso, ci stavo cadendo anch’io.
Mi sono fermato alla soglia del paese dei balocchi attratto da tanti inconsapevoli lucignoli cui voglio bene e con cui mi faceva piacere giocare un po’, almeno a distanza.

Ci fanno divertire, ci distraggono dai nostri problemi, ci lusingano e intanto succhiano i nostri dati.
Sono almeno un paio di anni che lo ripeto.
Se non ci credete, leggete qui…

https://aitanblog.wordpress.com/2018/01/15/test-e-privacy/

A no, è pericoloso cliccare su un link che porta fuori dalle pareti protette del Faccialibro…
Ma il triangolo no, non lo avete considerato.

Das Opium des Volkes

28 sabato Mar 2020

Posted by aitanblog in recensioni, riflessioni, vita civile

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Tag

facebook, Marx, oppio

Bisogna stare attenti. Si deve dubitare di tutto e di tutti. Delle fonti ufficiali come della controinformazione.
Non bisogna farsi ipnotizzare dalle notizie e dalle citazioni.
Soprattutto da quelle che rimbalzano ossessivamente sui social.

Come diceva Karl Marx:

“Facebook ist das Opium des Volkes“

ovvero

“Facebook è l’ oppio dei popoli“.

Il brano proviene dall’introduzione a “Per la critica della filosofia hegeliana del diritto“, scritto nel 1843 e pubblicato postumo, ma l’introduzione che contiene la famosa citazione era già stata riportata separatamente nella raccolta di articoli e saggi marxiani “Deutsch-Französische Jahrbücher“, gli “Annali Franco-Tedeschi” editi nel 1844 in collaborazione con Arnold Ruge.

Ma fermiamoci a leggere la citazione completa, non accontentiamoci degli spezzoni:

“Facebook è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Esso è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. Facebook è il sospiro della creatura oppressa, è l’anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. È l’oppio del popolo. Eliminare Facebook in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica a Facebook, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui Facebook è l’aureola.”

Impressionante, no!?

I segni della nostra presenza

21 venerdì Dic 2018

Posted by aitanblog in vita civile

≈ 7 commenti

Tag

facebook

Ho l’impressione che scriviamo e continuiamo a scrivere e a lasciare segni della nostra presenza in vita sulla pagina infinita di Facebook per sconfiggere la nostra solitudine e la solitudine degli altri.
Scriviamo per cercare partecipazione al vuoto delle nostre esistenze, per denunciare quello che ci fa male e per condividere quello che ci produce gioia o piacere.
Scriviamo per soddisfare intime necessità di comunicazione e di comunione col mondo.
Scriviamo e spargiamo in giro foto e immagini di noi stessi per provare che c’è ancora vita fuori di qui.
Scriviamo per mostrare agli altri e a noi stessi che esistiamo e, scrivendo, cerchiamo una riprova della nostra esistenza nel numero dei pollici eretti che riceviamo. Ogni pollice fa aumentare le nostre sacche di energia; come quei tragici videogiochi in cui, una volta finite le riserve, eri morto e potevi solo cominciare un altro post, un’altra partita. E partivi, ad ogni giro, di nuovo da zero.

Perché tante volte la rete intrappola le nostre parole e lascia che il ragno fagociti i nostri pensieri senza alcun segno di interesse o attenzione nei nostri riguardi.
Tante volte ci rendiamo conto di essere delle isole legate dallo stesso mare che ci separa, e finiamo per sentirci più soli e inascoltati, dopo che abbiamo lasciato tra le righe del web una traccia in forma di sussurro o di grido.
Tante volte abbiamo l’impressione che tra le maglie di questa rete la distrazione regni sovrana e che tutti quei pollici eretti che riempiono le bacheche altrui abbiano poco o nessun senso (i nostri pollici, sì, quelli sì che sono sensatissimi e meritati, ma quelli degli altri, che senso hanno e quale insulso valore…?).

E intanto Zuckerberg e i suoi epigoni raccolgono i nostri dati e ne fanno mercato. Perché a loro questo interessa. Loro vogliono che noi continuiamo a cliccare, scorrere dati altrui e lasciare sulla strada i nostri dati come molliche di Pollicino, per venire a scovarci fin dentro lo nostre tane e venderci i loro prodotti e le loro illusioni. Vogliono che noi continuiamo a essere distratti e disinformati e fanno in modo che siamo sempre pronti all’acquisto; prevedono i nostri movimenti come se fossimo cavie di un mega-esperimento skinneriano. “Se metto qui questo video, il topo ci cliccherà sopra, e poi giocherà a questo giochino e lo condividerà coi suoi compagni, e ogni topo che lo condividerà ci lascerà inconsapevolmente i suoi dati; e attraverso i loro dati noi identificheremo il loro profilo e i loro gusti e sapremo quali sono i loro desideri per proporre a ognuno di loro di comprarseli online, e loro, i topi, li compreranno, certo che li compreranno, senza scendere di casa e mischiarsi coi profumi e gli afrori del mondo…; basterà solo un altro paio di clic e il prodotto gli arriverà fin dentro le loro tane, fin dentro le loro stanze.”

Insomma, a me pare che in fondo e in superficie il Faccialibro riunisca in sé varie istanze dalla parte dei Grandi Venditori che lo governano e una serie di motivazioni, apparentemente incongruenti allo scopo, dalla parte della sterminata massa di clienti che affollano le sue pagine. Motivazioni che sono spesso comuni allo scrivere tout court: l’esigenza di comunicare con se stessi, il desiderio di scrivere a una moltitudine, la necessità di sentirsi esistenti e perfino vivi attraverso la lettura, la scrittura e la rappresentazione di se stessi… Ma, alla fine dei conti, quella che instauriamo qua dentro e qua sopra è tutta una comunicazione illusoria che crea dipendenza e può perfino distrarci dalla realtà. Alla fine dei conti, quello che instauriamo qua sopra e qua dentro è solo un simulacro, ma un simulacro che continua a sembrarci migliore di un silenzio senza vie di uscita o soluzioni a portata di mano, o di clic.

Facebook, Pulcinella e i nostri Dati pubblici e segretati

21 mercoledì Mar 2018

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

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Tag

dati personali, facebook

Scandalo di Pulcinella: una società inglese di analisi dei dati (la Cambridge Analytica) ha raccolto informazioni di una cinquantina di milioni di utenti Facebook e li ha usati per profilare i potenziali elettori di Trump e di chissà quanti altri politici di tutto il mondo, in modo da concepire messaggi propagandistici e pubblicitari cuciti addosso ai singoli votanti della parte del pianeta che si sveglia e si addormenta col telefonino in mano.

Segreto di Pulcinella by Gaetano 'Aitan' Vergara

È una brutta storia, un fatto preoccupante, un cancro della democrazia rappresentativa… Ma vi sembra davvero una novità il fatto che il prezzo che paghiamo per trascorrere il nostro tempo su Facebook a trastullarci, ad arrabbiarci e, soprattutto, a metterci in mostra sia costituito dai nostri dati messi a disposizione degli inserzionisti e delle società marketing e di analisi predittive che, non dimentichiamolo, sono le  finanziatrici principali del social network più diffuso al mondo?
Prima d’ora non vi siete mai resi conto che tante volte avete svenduto voi stessi il vostro profilo e quello dei vostri amici anche a terzi che non appartengono direttamente all’entourage di Mark Zuckerberg, condividendo pensieri e foto e partecipando a giochini e test in cui li autorizzate a profilarvi?
Eppure ve lo detto e ridetto un sacco di volte anche da qua:

https://aitanblog.wordpress.com/2018/01/15/test-e-privacy/

Insomma, ben venga questo scandalo se servirà a farvi chiedere perché mai Facebook sia offerto gratuitamente e da dove vengano le sue decine di miliardi di entrate e la sua quotazione in borsa messa periodicamente in crisi da qualche più o meno consistente rivelazione.

Ma soprattutto questa crisi momentanea del sistema potrebbe aiutarci a mettere a fuoco le ragioni e i rischi della nostra presenza e della nostra sovraesposizione in rete.

Pascal si rese conto già 4 secoli fa che siamo pronti a sacrificare tutto per alimentare la nostra vanità e catturare un po’ di attenzione.

“La vanità è a tal punto radicata nel cuore dell’uomo che un soldato, un attendente, un cuciniere, un vessillifero si vantano e vogliono degli ammiratori. E anche i filosofi li vogliono, e quelli che scrivono contro tutto ciò vogliono la gloria di avere scritto bene, e quelli che leggono vogliono la gloria di averli letti, e anch’io che sto scrivendo ho forse questo desiderio, e forse quelli che lo leggeranno.”

Sicuramente questo desiderio consuma anche me e te che stiamo pseudocomunicando attraverso questo schermo (magari anche solo per sentirci meno soli e isolati). Ma, perdindirindina, cerchiamo almeno di essere consapevoli che questa vanità ci rende un po’ meno liberi e mette noi e i nostri amici alla mercé dei mercanti del tempio digitale.

Disfracebook

22 lunedì Feb 2016

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, vita civile

≈ 10 commenti

Tag

facebook, immagini, social network

Questo fatto che i social ci fanno stare in mezzo agli altri restando lontano dal mondo e dai suoi odori ha i suoi effetti collaterali. Vedi persone timide presentarsi come leoni, donne e uomini pieni di pudore scrivere di passioni violente e sboccate, ragazzi violenti copincollare frasi tenere e iperromantiche e vecchietti riservati dibattere con acerbo furore. Facebook è uno specchio della realtà che sta davanti, dietro e di lato rispetto a questi schermi; ma i suoi specchi sono specchi deformanti che ingrossano, sfilzano, ingrassano, incattiviscono e imbellettano la realtà extravirtuale.

Tra tutte queste deformazioni grottesche, quella che mi incuriosisce di più è la veemenza che noto in certe discussioni che nascono e muoiono in rete. Non te lo aspetti che l’impiegato del quarto piano che quando lo incontri sembra aver paura anche di salutare possa incazzarsi tanto parlando di calcio, di Sanremo o di politica internazionale. È come se la nostra voce uscisse ingigantita dalle cavità di una maschera indossata con scarsa o nulla consapevolezza del suo potere di amplificazione.

disegno do gaetano "aitan" vergara (c)(c) 2014

Certi comportamenti mi ricordano i cambiamenti che subiamo un po’ tutti quando siamo in macchina. Chiusi in quella scatoletta che è un prolungamento della nostra casa, ci sentiamo in diritto di fare e dire cose (dita nel naso, rutti, urla, bestemmie, imprecazioni) che non ci si sogneremmo mai di dire e di fare camminando a piedi, per strada, tra persone conosciute e sconosciute. Ma là dentro, protetti come nel ventre materno, l’opinione altrui è vissuta come un’invasione, come un’orda di extracomunitari che ti arriva in casa e ti ruba l’orologio della prima comunione e la biancheria di famiglia, e cominci a imprecare come un ergastolano in cella di isolamento.


disfraz [sm]: maschera (f), travestimento

disfrazar [v tr]: travestire, mascherare

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

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