Eran le sei ed erano tanti,
non c’era spazio per tutti quanti;
pronti gli alunni per la partenza
con dieci tate in assistenza.
“Un guasto brutto ad un motore”,
disse, ansimando, il direttore,
“aveva in un attimo bello e distrutto
un progetto perfetto in tutto e per tutto.”
Di due bus era giunto sol uno
e ci voleva adesso qualcuno
pronto a proporre una soluzione
per far calare l’ingente tensione.
“Prima i nostri, qui siamo a Milano!”,
gridò d’emblée un padre padano
buttando fuori un bimbo lucano,
quattro ghanesi ed un indiano.
“Prima i nostri, in terra italiana”,
faceva eco una siciliana
tenendo basso il tono e l’accento
nel proferire il proprio commento.
“I primi posti agli italiani,
se poi ve ne è, ai napoletani,
ai filippini, agli americani…,
e in second’ordine agli africani.”
“Più spazzio al bianco e al cristiano
e a chi palla pebbene ‘taliano,
nel rispetto della costituzzione
e di ogni nomma d’educazzione.”
“Nessun sedile per i musulmani,
i rom, i sinti e i talebani
che tiran sangue, soldi e risorse
dal nostro sangue e le nostre borse.”
“Prima i nostri, per lor non v’è posto!”,
diceva una parlando del “costo
versato dall’intera nazione
per finanziare l’immigrazione”.
“Prima i nostri e i nostri prima”,
si riscaldava sempre più il clima,
mentre stavan muti e in disparte
venti migranti senz’arte né carte,
tristi, delusi ed anche arrabbiati
per come furon tratti e trattati.
E ancor più tristi i loro figli
messi da parte come conigli…
Ma càpita a volte che la sventura
si volga di scatto e cambi andatura
spingendo sopra chi sta in basso
e giù per terra l’altivo gradasso.
Si volse la ruota della fortuna,
si volse il vento, si volse la luna
che quella notte s’alzò sopra un monte
e spintonò nei pressi di un ponte
tutti insieme in fondo a un abisso
tate, bambini e un crocifisso
ch’aveva al collo l’autista italiano
di quel catorcio di settima mano.
Non funzionò lo sterzo ed il freno,
cadde giù il bus nel terrapieno
e con lui cade codesto finale
che mesto scivola lungo il crinale.
In breve la colpa fu attribuita
alla massa che non era partita
e senz’alcun rischio s’era salvata
da morte certa e assicurata.
Così che il popolo dei migranti
fu accusato dai padri ululanti
d’aver esecrato e maledetto
il sacro gruppo del popolo eletto,
che ottemperò ai propri doveri
mettendo al rogo tredici neri
per atti osceni non ben definiti,
cattivi pensieri da starne allibiti,
imprecisati ulteriori misfatti
ed altri fatti ancora più brutti
per il buon ordine della nazione
e la difesa della popolazione
di pura razza ario-italiana
e cieca fede catto-cristiana.