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((( aitanblog )))

~ Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio.

((( aitanblog )))

Archivi Mensili: settembre 2018

Fatto di Parole

29 sabato Set 2018

Posted by aitanblog in immagini, versiculos

≈ 4 commenti

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ASCII, parole

Fatto di Parole (ASCII) e

C’è chi si fa di eroina
Chi di coca e chi di coccoina.
C’è chi si fa di crack,
Chi fuma cobret e chi mescalina.
C’è chi assume farmaci,
Chi prostitute e chi metamfetamina.
C’è chi prende tranquillanti,
Chi barbiturici e chi acqua frizzantina.
C’è chi si fa la ketamina,
Chi l’MDA e chi sua cugina.

Io sono fatto di parole
come un tossicomane
all’ultimo stadio.

A Mente Fresca e Penne Posate

27 giovedì Set 2018

Posted by aitanblog in riflessioni, versiculos

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versi

Credevo di avere da dire qualcosa al mio presente
Che potesse risuonare anche tra le pareti del futuro

Ma alla fine penso di non aver detto niente
E di aver costruito un altro muro sopra un muro.

Anniversario di periferia

23 domenica Set 2018

Posted by aitanblog in da lontano, otherstuff

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blog

In un giorno come questo nacque ((( aitanblog ))).

Questi erano i post di settembre del 2003.

https://aitanblog.wordpress.com/2003/09/

Ma ho visto che nel passaggio dalla piattaforma italiana di Splinder (che ha ospitato i miei “sbariamienti” fino al 2012) a quella mondiale di WordPress (ancora attualmente attiva e vegeta) mi sono perso il disegnino che illustrava il mio secondo post. Magari, quando ho un po’ di tempo, faccio una ricerca sul PC per cercare di capire di che si trattasse.

Venezia Violenta

19 mercoledì Set 2018

Posted by aitanblog in texticulos

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pun, violenza

Dal temo al t’amo il passo è breve, disse lui tomo tomo mentre le stringeva le mani al collo in un calle oscuro.

*Prima i Nostri e i Nostri prima* – Ballata del bus con pochi posti – (Versione riveduta e corretta).

13 giovedì Set 2018

Posted by aitanblog in texticulos, versiculos, vita civile

≈ 1 Commento

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bus, migranti

Eran le sei ed erano tanti,
non c’era spazio per tutti quanti;
pronti gli alunni per la partenza
con dieci tate in assistenza.

“Un guasto brutto ad un motore”,
disse, ansimando, il direttore,
“aveva in un attimo bello e distrutto
un progetto perfetto in tutto e per tutto.”

Di due bus era giunto sol uno
e ci voleva adesso qualcuno
pronto a proporre una soluzione
per far calare l’ingente tensione.

“Prima i nostri, qui siamo a Milano!”,
gridò d’emblée un padre padano
buttando fuori un bimbo lucano,
quattro ghanesi ed un indiano.

“Prima i nostri, in terra italiana”,
faceva eco una siciliana
tenendo basso il tono e l’accento
nel proferire il proprio commento.

“I primi posti agli italiani,
se poi ve ne è, ai napoletani,
ai filippini, agli americani…,
e in second’ordine agli africani.”

“Più spazzio al bianco e al cristiano
e a chi palla pebbene ‘taliano,
nel rispetto della costituzzione
e di ogni nomma d’educazzione.”

“Nessun sedile per i musulmani,
i rom, i sinti e i talebani
che tiran sangue, soldi e risorse
dal nostro sangue e le nostre borse.”

“Prima i nostri, per lor non v’è posto!”,
diceva una parlando del “costo
versato dall’intera nazione
per finanziare l’immigrazione”.

“Prima i nostri e i nostri prima”,
si riscaldava sempre più il clima,
mentre stavan muti e in disparte
venti migranti senz’arte né carte,

tristi, delusi ed anche arrabbiati
per come furon tratti e trattati.
E ancor più tristi i loro figli
messi da parte come conigli…

Ma càpita a volte che la sventura
si volga di scatto e cambi andatura
spingendo sopra chi sta in basso
e giù per terra l’altivo gradasso.

Si volse la ruota della fortuna,
si volse il vento, si volse la luna
che quella notte s’alzò sopra un monte
e spintonò nei pressi di un ponte

tutti insieme in fondo a un abisso
tate, bambini e un crocifisso
ch’aveva al collo l’autista italiano
di quel catorcio di settima mano.

Non funzionò lo sterzo ed il freno,
cadde giù il bus nel terrapieno
e con lui cade codesto finale
che mesto scivola lungo il crinale.

In breve la colpa fu attribuita
alla massa che non era partita
e senz’alcun rischio s’era salvata
da morte certa e assicurata.

Così che il popolo dei migranti
fu accusato dai padri ululanti
d’aver esecrato e maledetto
il sacro gruppo del popolo eletto,

che ottemperò ai propri doveri
mettendo al rogo tredici neri
per atti osceni non ben definiti,
cattivi pensieri da starne allibiti,
imprecisati ulteriori misfatti
ed altri fatti ancora più brutti
per il buon ordine della nazione
e la difesa della popolazione
di pura razza ario-italiana
e cieca fede catto-cristiana.

 

Gatto e Sepe a spasso nel tempo

10 lunedì Set 2018

Posted by aitanblog in musiche, recensioni

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gatto, Sepe

Roberto Gatto l’ho visto per la prima volta agli inizi degli anni ’80 con Maurizio Giammarco al Circo Massimo di Roma. Era il primo festival di jazz cui partecipavo in vita mia e cominciai alla grande con lui, Ornette Coleman, Chick Corea, Gary Burton e il mio compaesano Gegé Munari, tutti nello stesso spazio a pochi giorni di distanza. Bei ricordi. Avevamo un posto per dormire a Casalotti, in periferia di Roma, ma siccome si faceva tardi dormivamo fuori alla stazione ripassando la musica e le emozioni vissute al Circo (a dire il vero, io dormivo, ma i miei amici mi svegliavano ogni due e tre perché erano passati a farci visita, in ordine sparso, un barbone tedesco, qualche accattone locale, una prostituta, uno spacciatore di non so che, un pazzo che si dichiarava l’ottavo re di Roma e millanta altri nottambuli di passaggio).

Daniele Sepe lo ascolto e lo seguo dalla seconda metà dello stesso decennio degli ’80, fin dai vinili di “Malamusica” e “Plays standards and more”. Erano i tempi dell’università e lo vedevamo spesso al Riot, al Velvet, da Intramoenia e in altri locali fighetti di Napoli. Po’ isso s’è fatto gruosso, ma è rimasto sempe curioso, frisco, perspicace e ricercatamente antipatico come ai primi tempi.

Gatto e Sepe sono due musicisti che attraversano il jazz da dentro, da fuori e dalla periferia, e strada facendo acchiappano nel meglio della musica che gira intorno. Nei dischi di Roberto Gatto si va dagli standard jazz a composizioni originali, colonne sonore, brani a passo di tango, riletture di canzoni rock, passioni jazzrock e perfino canzoni napoletane (ricordo una meravigliosa “Te voglio bene assai” cantata da un Servillo di quelli nell’album “#7”).
Daniele Sepe è perfino più onnivoro. Acchiappa ‘a tutte parte con un gusto speciale per macinare il meglio, da Miles Davis a Hermeto Pascoal, da Víctor Jara a Frank Zappa, da Zawinul a Milton Nascimento o a Luigi Tenco.
Entrambi, poi, hanno una lunga esperienza come turnisti nella migliore e peggiore musica di consumo nazionale…
Insomma, questi due si dovevano solo incontrare, per regalare al pubblico concerti scoppiettanti, eclettici, godibili e ben suonati come quello di ieri sera, alla chiusura estiva del Pomigliano Jazz Festival. Si sono accoppiati sotto la sigla “Cronosisma” rubata a Kurt Vonnegut e, accompagnati da Tommy De Paola al piano e al rhodes e Pierpaolo Ranieri al basso, hanno deciso di mettere in scena un terremoto temporale che sballotta il pubblico avanti e indietro nel tempo e nello spazio.

Comunque, bando alle ciance e alle fanfole, se ieri non siete venuti a Pomigliano, vi siete persi, nell’ordine:

– “Ya Mustafá” (brano multilingue del compositore egiziano Mohammed Fawzi reso popolare agli inizi degli anni ’60 da Bob Azzam; ma io questo, purtroppo, non l’ho sentito, perché s’è fatto tardi pe’ truva’ parcheggio)
– “Palladium”(composizione di Wayne Shorter risalente all’album del 1977 “Heavy Weather” dei Weather Report, una dichiaratissima passione comune di Gatto e Sepe)
– “Mademoiselle Mabry” (brano di Miles Davis che Sepe ci spiega essere dedicato a una signorina che Miles condivideva con Jimi Hendrix)
– “Nunca más” (di Gato Barbieri, con cui Gatto ha suonato e Sepe avrebbe voluto suonare)
– poi c’è stato un brano di “world jazz music” basato sul giro di basso di “Birdland” (il più popolare pezzone dei Weather Report) nel quale Sepe ha suonato una specie di miniclarinetto tirando fuori suoni simil-duduk e simil-ciaramella
– “La manfredina” (un bel pezzo di musica medievale che il maestro napoletano aveva già registrato in “Kronomakia”, con l’Ensemble Micrologus e i Rote Jazz Fraktion)
– una struggente ninna nanna svedese risalente ai tempi in cui nei dischi e nei concerti di Sepe cantava Auli Kokko
– “Rebulico” del grande Hermeto Pascoal (mito brasiliano di Daniele)
– “Young and fine” di Joe Zawinul (mito austroungarico di Roberto, Daniele, Tommy De Paola e, immagino, pure di Pierpaolo Ranieri)
– “Range fellon”, cantata da Andrea Tartaglia che è venuto dalla ciurma di Capitan Capitone (multiprogetto di Sepe realizzato con decine di altri artisti di area napoletana) a risvegliare il pubblico meno abituato ai suoni della musica sincopata. Tartaglia, dopo aver subito i teatrali sfottò del maestro, ha intervallato il brano con un opportuno “Get up, Stand up” di bobmarleyana memoria
– Per concludere, un graffiante “Rugido do leão” di Piero Piccioni, che faceva da colonna sonora al più apertamente politico film di Alberto Sordi: “Finché c’è guerra, c’è speranza”. Una metafora di questo concerto: produrre opere godibili, fruibili, ma non spensierate e fuori dal mondo. Il sogno di una canzone che faccia addormentare i bambini e risvegliare gli adulti.

Get Up, Stand Up, stand up for your right!
Get Up, Stand Up, don’t give up the fight!

I superstiti della canzone d’autore italiana

06 giovedì Set 2018

Posted by aitanblog in musiche

≈ 3 commenti

Tag

cantautori, superstiti

Dopo che sono morti, tendiamo a inondare la rete di ricordi, “coccodrilli”, citazioni e brani dei nostri cantanti e autori preferiti.

Partendo dal principio catalanesco che i buoni interpreti è meglio ascoltarli dal vivo che dal morto, sto raccogliendo sul mio spazio Tumblr alcuni dei brani più belli dei superstiti della canzone d’autore italiana.

L’unico criterio aggiuntivo al gusto personale che mi sono dato è stato quello di scegliere canzoni di cantautori viventi che abbiano già compiuto 60 anni.


Per ora ho scelto brani di

  • Gian Piero Alloisio
  • Fausto Amodei
  • Enzo Avitabile
  • Angelo Branduardi
  • Edoardo Bennato
  • Alberto Camerini
  • Paolo Conte
  • Francesco De Gregori
  • Roberto De Simone
  • Eugenio Finardi
  • Francesco Guccini
  • Enzo Maolucci
  • Gianfranco Manfredi
  • Alan Sorrenti

Prossimamente, raccoglierò altri brani scegliendoli tra il repertorio di questi altri cantautori e cantautrici over 60 (consapevole del fatto che per alcuni di questi artisti scegliere un solo brano che mi piaccia sarà molto difficile, per altri… sarà difficile trovarne anche uno solo):

  • Alice
  • Claudio Baglioni
  • Franco Battiato
  • Gianni Bella
  • Eugenio Bennato
  • Gualtiero Bertelli
  • Sergio Caputo
  • Ivan Cattaneo
  • Fabio Concato
  • Giorgio Conte
  • Toto Cutugno
  • Nino D’Angelo
  • Edoardo De Angelis
  • Eduardo De Crescenzo
  • Nicola Di Bari
  • Peppino di Capri
  • Don Backy
  • Franco Fanigliulo
  • Alberto Fortis
  • Ivano Fossati
  • Paolo Frescura
  • Enzo Gragnaniello
  • Goran Kuzminac (R.i.P. – 18-09-2018)
  • Lalli
  • Mario Lavezzi
  • Mimmo Locasciulli
  • Loy e Altomare
  • Marco Luberti
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Che dite, tra me e i miei amici del Faccialibro, abbiamo dimenticato qualcuno che trovate imprescindibile o almeno degno di aggiungersi al novero?

Mehr Licht – Il lato illuminato della luna e la ricerca dell’alba dentro l’imbrunire

03 lunedì Set 2018

Posted by aitanblog in texticulos

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Tag

alba, luce

Dopo sette giorni e sette notti il Maestro avvicinò le dita alla fiamma e spense l’ultima candela, senza aspettare che si esaurisse il tratto residuo di cera che dava luce a quell’anfratto oscuro.
Un fremito di freddo mi percorse la schiena. Nella grotta era calata la più assoluta delle oscurità.

– Maestro, perché hai spento la fiamma prima che spuntasse l’alba del nostro ultimo giorno di esclusione dal mondo?

Un lungo silenzio seguì la domanda del più giovane di noi.
Il ragazzo aveva incarnato i dubbi di tutti i seguaci, ma nessuno osò aggiungere nulla alle sue parole. La grotta era così pervasa dal nostro silenzio che mi pareva di poter distinguere il respiro di ciascuno di noi ed il battito del mio cuore.

D’improvviso, il Maestro tirò un lungo sospiro e disse:

– Nel buio spariscono le ombre e le idee prendono luce.

Chiusi gli occhi e me ne stetti immobile ad aspettare per ore ed ore, fino a che un raggio di sole non trovò uno spiraglio tra i massi liberandomi dal supplizio dell’attesa.

_______

All’imbrunire, mentre passeggiavamo lungo il fiume, confessai che dentro me non aveva preso luce un bel nulla; l’unica illuminazione che ricordavo in sette giorni erano le fiamme fioche dei ceri che facevano trepidare i nostri volti e le pieghe delle tuniche. Insomma, anche quell’ultima notte di buio assoluto, per quanto mi fossi sforzato, ero restato all’oscuro di tutto, attendendo invano la mia illuminazione fino all’alba del nuovo giorno.

– Accidenti, quante parole… Era quella la tua luce!

_______

Al calare della notte restai sveglio a guardare il cielo.
La luna sembrava la fiamma di una candela e sentivo che le fremeva dentro la luce del nuovo giorno.

Poesia Verticale XII – 15 (ovvero, la serendipità secondo Roberto Juarroz)

01 sabato Set 2018

Posted by aitanblog in idiomatica

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serendipità

Cercare una cosa
è sempre scoprirne un’altra.
Così, per trovare qualcosa,
bisogna cercare ciò che non è.
Cercare il passero per incontrare la rosa,
cercare l’amore per trovare l’esilio,
cercare il nulla per scoprire un uomo,
muoversi all’indietro per andare avanti.

La chiave del cammino,
più che nelle sue biforcazioni,
il suo sospetto inizio
o la sua dubbia fine,
risiede nel caustico umore
del suo doppio senso.
Si arriva sempre,
ma ad un’altra parte.

Tutto passa.
Ma in senso inverso.

______
Cercavo un’altra poesia del poeta argentino Roberto Juarroz (1925-1995), ma mi sono imbattuto in questa e non ho potuto fare a meno di tradurla.
Se non vi piace la mia resa, potete leggere qui la versione originale pubblicata da Juarroz nel 1991, quando ancora il termine serendipity/serendipità/serendipia non era tornato in voga, dopo il suo primo conio risalente ad una ormai famosa lettera del 1754, in cui Horace Walpole citava una fiaba persiana basata sui “tre principi di Serendip” che ‘facevano continue scoperte, grazie al caso e alla sagacia, di cose di cui non erano in cerca’. Insomma…

Buscar una cosa
es siempre encontrar otra.
Así, para hallar algo,
hay que buscar lo que no es.

Buscar al pájaro para encontrar a la rosa,
buscar el amor para hallar el exilio,
buscar la nada para descubrir un hombre,
ir hacia atrás para ir hacia delante.

La clave del camino,
más que en sus bifurcaciones,
su sospechoso comienzo
o su dudoso final,
está en el cáustico humor
de su doble sentido.
Siempre se llega,
pero a otra parte.

Todo pasa.
Pero a la inversa.

(Juarroz, “Poesía Vertical, XII – 15”)

link al sito personale di Gaetano "Aitan" Vergara

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