Più ci penso, più, dietro tutta la grande macchina di Sanremo, intravedo una macchinazione commerciale in cui un personaggio come Geolier è stato coinvolto apposta per fare audience, per fare cassa con i televoto e, soprattutto, per accalappiare il pubblico under 20 dei social. E immagino anche che la sua squadra produttiva di tutto questo sia stata, fin dal principio, abbastanza… consapevole.
Semplicemente Geolier & Co. hanno trovato anche loro il loro tornaconto e una possibilità di allargare il proprio già vasto pubblico. Il Mercato – questa divinità pagana e contemporanea – fagocita tutto quello che può fagocitare e trasformare in denaro facile e mette via tutto il resto, indipendentemente dalla sua qualità e dal suo valore intrinseco ed estrinseco. Per il resto, come diceva altrove Jennà Romano – con cui stamattina chiacchieravo proprio di questi fatti – “ASPETTARE OGNI ANNO 365 giorni per poi lamentarsi delle canzoni che scelgono a Sanremo, è un po’ come lamentarsi di come si mangia ogni volta che si va al McDonald’s. Chi ha l’esigenza di mangiare bene, è chiaro che va a cercarsi dei buoni ristorantini, è disposto anche a pagare bene ciò che mangia, fa ricerche, si confronta con chi ha già avuto modo di andarci in quel ristorante, ci mette passione insomma. […] Anche oggi c’è molta musica buona in giro, basterebbe dedicare solo più tempo ad informarsi, ad andare oltre il mainstream, soprattutto ad andare ai concerti e non solo ai gradi eventi di massa giusto per farsi dei selfie e far sapere a tutti di esserci stati. La musica (studiata, sudata, suonata con gli strumenti in mano) è qualcosa di molto più serio di quello che stanno facendo credere ai giovani.”
Poi, aggiungo io, ogni tanto pure il McDonald’s, per esigenze di marketing e allargamento del Mercato, produce (finti) panini gourmet con firme di chef famosi oppure localizza il prodotto per andare incontro ai gusti di determinate clientele. Ma le sue sono sempre esigenze puramente lucrative e commerciali che prescindono dalla qualità del prodotto.
Mi fermo qua. Ho detto già troppo su questo Festival che per mezzo secolo ho sanamente pressoché ignorato. Anche perché mi piacciono poco le gare. Soprattutto quelle che vogliono mettere in classifica di qualità prodotti di ingegno e passione.
Intanto, per espiare questa settimana di chiacchiere sanremesi, ho appena prenotato online la produzione integrale ECM di Meredith Monk. 13 CD e un libretto di 300 pagine. Ma non credo che sia abbastanza. Ho commesso troppi peccati in questo ultimo paio di giorni.
Quella notte il vecchio professore di greco si addormentò pensando: “Se questo è l’ἄριστον* figuriamoci il peggio…”, e sognò il suo festival suonato all’aperto e alla luce del sole. Come ai tempi di Woodstock, Parco Lambro, Licola e l’Isola di Wight.
Il giorno dopo, le bacheche dei social erano piene di commenti sui meravigliosi incontri canori e musicali del giorno prima.
A me è piaciuto molto il duetto di De André e Cohen che cantavano Il disertore di Vian. Una cosa snob assai comme me piace a ‘mme. E poi quella dichiarazione sui morti di Gaza buttata là come un dito chiuso nella portiera dell’auto. Una cosa che ci voleva proprio.
#saremoimmaginario #duetti #gaza
Pure Pino Daniele e James Senese che ci hanno fatto sentire Sto ‘ncazzato, sto ‘ncazzato, sto ’ncazzato niro con Franco Del Prete alla batteria, Ron Carter al basso e un coro di agricoltori di Avellino nun c’è stato male.
#saremoimmaginario #duetti e pure #triii e #quartetti col #coro #campagna
Ma l’avete sentita la Meloni che cantava Soul Makossa di Manu Dibango con Dollar Brand al piano, Charles Mingus al contrabbasso e John Coltrane e Archie Sheep che si alternavano ai sax?
#saremoimmaginario #italia-africa
Uha’, ma da dove è uscita questa Zamuner che ha duettato con Robert Wyatt in un medley da brivido di Te recuerdo Amanda, Construção e Vincenzina e la Fabbrica?
Io ho votato per Mina ed Ella Fitzgerald che hanno proposto Nature boy con l’accompagnamento di Joe Pass alla chitarra e Ike Quebec al sassofono. Gli orchestrali hanno fatto applausi a scena aperta. Secondo me, sono stati contenti di smettere un po’ di suonare e mettersi all’ascolto. Brividi! Brividi veri!!!
#saremoideale #innocenza #peaceandlove
A me m’è piaciuto PatrizioTrampetti che ha rievocato Un Giorno Credi insieme con Jennà Romano. Li accompagnavano Pasquale Di Resta alle chitarre, Vittorio Remino al basso, Giovanni Sorvillo al sax, Filippo Piccirillo alle tastiere, Anoushka Shankar al sitar, Trilok Gurtu alle tablas, Capone alla scopa elettrica e Mirko Del Gaudio alla batteria. Antonio Del Gaudio e Porfirio Rubirosa facevano il coro, in calzamaglia e con le ali dei cherubini di Raffaello Sanzio che si muovevano a tempo. Sull’ultima strofa hanno cantato tutti. Pure il pubblico un po’ sballato. Mi pareva di stare sulle rive del Gange o del Mandakini.
#sanremoideale #nostalgie #utopie
Per me la cosa più bella è stata Nada che ha cantato Fora da Ordem con Caetano Veloso e la conduzione orchestrale del Maestro Morelenbaum.
Qualcosa è fuori dall’ordine Fuori dal vecchio ordine Mondiale It’s something Is going out of order Out of da velha ordem Mundial… It’s something Is going out of order Out of new order Alguma coisa Está fora da ordem Fora da nova ordem Mundial… Alguma coisa Está fora da ordem 新世界秩序 Out of da velha ordem mundial
Poi mi sono svegliato e non c’era più il vecchio professore e nemmeno tutto il resto. Ma aveva vinto Geolier. Peccato non averlo manco sentito.
Vabbuò, adesso tocca a te!
Quale è stato il tuo duetto della testa e del cuore? A quale di questi o dei duetti a venire darai il tuo voto senza pagare nemmeno i 51 centesimi della chiamata?
…
*
ἄριστος – dal greco antico, indica il migliore, l’eccellente, l’ottimo, il più buono.
Un’anteprima della VII edizione della manifestazione frattese di musica, teatro e parole.
Il 14, 15 e 16 Luglio, con il patrocinio del Comune di Frattamaggiore, si terrà la settima edizione del “Mediterraneo Reading Festival” nel suggestivo chiostro del Centro Sociale di Via Lupoli.
La manifestazione di quest’anno conferma lo spirito di commistione dei generi del nostro festival, restando in una sorta di zona franca, un’isola felice che non conosce barriere e steccati geografici, mentali e culturali. Vogliamo fare di queste tre serate una finestra senza grate, parapetti o inferriate che si affaccia sul Mediterraneo e sul mondo, con l’intento di intensificare, ampliare, amplificare ed allargare l’orizzonte culturale della nostra bistrattata provincia a Nord di Napoli.
Si comincia venerdì 14 luglio con un concerto di Porfirio Rubirosa, un originale cantautore veneziano che, con la sua poetica dadaista, delirante e grottesca, rappresenta una realtà deformata e illuminata da guizzi di intuizione e lampi di genio. Il tutto portato in pubblico con l’accompagnamento di una musica colta e al tempo stesso popolare che pesca dappertutto, dai classici ai contemporanei, per tutto stravolgere e riproporre in modo nuovo e personale.
A seguire, assisteremo a uno spettacolo di teatro e musica intitolato “Storiacce“, diretto dal regista napoletano Raffaele Di Florio. Ne sono autori e interpreti Cristina Donadio (nota al grande pubblico come la Scianel di “Gomorra“) e Maurizio Capone, in scena con i suoi strumenti realizzati con materiale di riciclo. Lo spettacolo intreccia il piano drammaturgico con quello musicale nel quale Maurizio Capone canta alcune sue canzoni completando ed amplificando gli stati emotivi con dei contrappunti sonori al recitato.
La serata di sabato 15 luglio vedrà l’Infinity World Trio, composto dal pianista pugliese Michele Fazio, dalla violinista e cantante giapponese Aska Maret Kaneko e dal bassista argentino Carlos Buschini, unire le loro anime provenienti da Europa, Asia e America (Latina). Un trio che abbraccia tre continenti producendo composizioni avvolgenti, affascinanti, di difficile incasellamento in un genere specifico. Una musica da camera, senza l’apporto di strumenti percussivi, un cross over tra jazz, musica classica, new tango e tradizione giapponese. Una musica di forte impatto emotivo, ora cullante e meditativa, ora più mossa, ritmica e trascinante Ma, soprattutto, una conferma ulteriore del fatto che la musica è l’arte dell’incontro e non conosce steccati o confini.
Domenica 16 Luglio sarà la volta del nuovo progetto di Jenna’ Romano, un concerto per solo voce e strumenti a corde intitolato #ConCorde, come l’aereo che abbatteva le barriere spazio-temporali e collegava Parigi a New York in meno di quattro ore. Sul palco con JR due bassisti: Anselmo Pascale (al basso elettrico) e Luca Varavallo (al contrabbasso). Ascolteremo riletture di brani di Jenna’ Romano e i Letti Sfatti, brani inediti e reinterpretazioni di classici della canzone d’autore italiana suonate con chitarre reinventate e strumenti non convenzionali come bouzouki e dulcimer.
Insomma, manca poco. Preparatevi ad immergervi in tre serate di commistioni culturali, dove le parole si uniscono alla musica per creare un’atmosfera di apertura, scambio e arricchimento reciproco.
Un’ultima cosa. I tre concerti non vi costeranno niente. Le serate saranno tutte ad ingresso gratuito. A conti fatti vi conviene sicuramente venire al chiostro, piuttosto che ammuffirvi sul divano o cercare refrigerio sul balcone o sotto le ali di un condizionatore.
Come ogni anno, faccio un resoconto a caldo per ricordare a me stesso, a chi c’era e a chi non c’era gli eventi che abbiamo presentato al Mediterraneo Reading Festival (MRF), giunto ormai alla sua sesta edizione. Il Festival di musiche e parole di Frattamaggiore è nato nel 2016 nello spirito della commistione dei generi e dell’abbattimento di ogni steccato fisico e mentale e con l’intento dichiarato di intensificare, ampliare, amplificare ed allargare l’orizzonte culturale della nostra bistrattata provincia a Nord di Napoli.
Il primo evento di quest’anno era intitolato While my guitar… – La chitarra nella canzoned’autore e vedeva sul palco quattro eccezionali musicisti che, oltre ad avere una loro personale carriera solistica, hanno accompagnato artisti del calibro di Pino Daniele, Gino Paoli, Enzo Gragnaniello, Lucio Dalla, Edoardo Bennato, Eduardo De Crescenzo e Tricarico… Un piatto prelibato per la mia generazione cresciuta a pane e cantautori.
[Piccola parentesi storica. Idealmente, un cantautore era uno che si scriveva le canzoni da solo e poi le eseguiva chitarra e voce, per lo più strimpellando semplici accordi di prima posizione senza mai andare oltre i primi tre o quattro tasti dello strumento. Il modello, per molti, era Bob Dylan, che riusciva a ricreare un mondo con tre o quattro accordi a canzone. Poi le cose, per fortuna, si sono un po’ complicate. Gli arrangiamenti si sono arricchiti. Gli stessi cantautori hanno sentito l’esigenza di ampliare il raggio delle loro conoscenze musicali ed aprirsi a nuove esperienze (col tempo, qui in Italia, sono venuti fuori anche cantautori-chitarristi, come Lucio Battisti, Pino Daniele, Ivan Graziani e Alex Britti). La chitarra, in ogni modo, è rimasta una protagonista nella canzone d’autore, grazie anche a valenti musicisti che hanno accompagnato la voce dei cantautori con accordi, arpeggi e assoli ispirati a una sterminata letteratura chitarristica che spazia dal mondo classico, al blues, al rock, al jazz, al folklore, al flamenco ed alla musica brasiliana.]
I quattro chitarristi ospitati dall’MRF costituiscono una valida rappresentanza del rilievo e della duttilità dello strumento nella storia recente del cantautorato nostrano.
Il primo a imbracciare la sua chitarra davanti al pubblico del festival è stato Gianni Guarracino; musicista nato artisticamente in quel brodo di coltura che fu il Neapolitan Power, suonando con Jenny e con Alan Sorrenti, con Pino Daniele, con Franco Del Prete, con James Senese, con i Città Frontale (nati da una costola degli Osanna) e poi, più tardi, anche con Gino Paoli, Mango, Mia Martini, Enzo Gragnaniello ed Edoardo De Crescenzo (ma ne dimentico di certo qualcuno)… La sua cifra caratteristica è un’impostazione classica su cui si innesta una forte influenza della musica flamenca che ha finito per contagiare anche molti degli artisti con cui Guarracino ha suonato dagli anni ‘80 ad oggi. Da questo brodo di coltura ispaneggiante, sono nate canzoni come “‘Appecundria” di Pino Daniele (brano del 1980 ispirato al Paco de Lucia di “Entre dos aguas”), “Jetteco maluso” di Enzo Gragnaniello (contenuto nell’album “Salita Trinità degli Spagnoli” del 1985) e le canzoni dell’album di Eduardo De Crescenzo intitolato con terminologia tipicamente flamenca “Cante Jondo” (1991), un lavoro, questo, in buona parte scritto proprio da Guarracino a quattro mani con il nostro genius loci Franco Del Prete.
Sul palco dell’MFR Guarracino ha eseguito tre brani di sua composizione suonando da seduto (qualche giorno fa è caduto dalla bicicletta e risentiva ancora di qualche sofferenza che, a suo dire, non gli avrebbe consentito di dare il meglio di sé; ma noi non ce ne siamo accorti). Di seguito, lo ha raggiunto sul palco Jennà Romano ed hanno eseguito insieme una bella versione a due chitarre di “Ha tutte le carte in regola”, brano di Piero Ciampi che Guarracino aveva già suonato con Gino Paoli in un album del 1980 dedicato al cantautore livornese e Jennà Romano aveva ripreso nell’album dei Letti Sfatti del 2012 “…E se il mondo somigliasse a Piero Ciampi” (galeotto Franco Del Prete che aveva avvicinato Jennà al mondo di Ciampi e aveva suonato con Guarracino nel disco di Paoli).
A questo punto, Gianni Guarracino ha passato il testimone a Jennà Romano che, oltre a essere un chitarrista versatile, è anche compositore di canzoni interpretate sia dal suo gruppo, i Letti Sfatti, che dai gruppi di Franco Del Prete e da altri artisti come Patrizio Trampetti, Peppe Lanzetta, Arisa, Dalla, De Gregori e Tricarico. Dopo aver ricordato Fausto Mesolella, con cui ha più volte duettato, JR ha eseguito tre brani di sua composizione: “La fiamma di una candela”, “Dietro quella porta” e “Me pare ammore”, una canzone scritta originariamente per l’album di Antonella Maisto, “Di Terra”. Nel corso della sessione di Romano abbiamo ascoltato la sua tipica modalità di accompagnare la voce con una chitarra arricchita da una vasta gamma di timbri e voci ottenuti con un sapiente uso della pedaliera.
Di seguito, si è avvicendato sul palco Giuseppe Scarpato, conosciuto soprattutto come chitarrista di Edoardo Bennato (che lo ha ingaggiato dopo averlo più volte ascoltato e riascoltato in un trio dedicato alle colonne sonore dei primi film di Quentin Tarantino). La sessione di Scarpato è stata energica ed emozionante. E’ cominciata con un’originale interpretazione di “Signor Censore” di Edoardo Bennato, suonata con un aggressivo piglio blues arricchito da interventi di JR, ed è proseguita con due convincenti rivisitazioni di “Streets of Philadelphia” di Bruce Springsteen (canzone da Oscar nel 1994) e “Jealous Guy” di John Lennon (dall’album “Imagine” del 1971).
Last but not least, è arrivato Ricky Portera, mitico chitarrista di Lucio Dalla e degli Stadio, poco propenso a parlare e raccontare – magari anche per non tradire il personaggio rock che è -, ma sempre disposto a lasciarsi andare alle corde della sua chitarra elettrica.
Ed è per questo che a te la gente tutto ti perdona Perché dicono: “Guarda come suona la chitarra Quel grande figlio di puttana”. (Dal brano di Dalla a lui dedicato e cantato agli inizi degli anni ‘80 dagli Stadio e poi ripreso in DallAmeriCaruso nel 1986).
Portera, dopo aver accennato due brani del repertorio degli Stadio, ci ha deliziato con un suo prezioso arrangiamento del classico di Dalla “Come è profondo il mare”. E non fa nulla che non ricordava tutte le parole… Poi lo ha raggiunto sul palco Scarpato ed hanno interpretato una magica versione di “Mad World”, brano dei Tears For Fears portato al successo da Gary Jules (dopo che la sua cover è stata utilizzata nella colonna sonora di “Donnie Darko”).
Ma attenzione, l’intensa serata frattese delle chitarre non è finita qua. I quattro musicisti si sono riuniti sul palco per suonare insieme senza rete (posso documentare che avevano provato pochissimo pochi minuti prima dell’inizio dello spettacolo). Ci hanno deliziato con “Appecundria” di Pino Daniele; “Stella di mare” di Dalla (con JR al bouzouki), “Grande figlio di puttana”, sempre di Dalla e, grand finale, “Feste di Piazza” cantata da Patrizio Trampetti, che di quella canzone è coautore insieme con Edoardo Bennato.
Il giorno 9 è stato dedicato a Totò e Pasolini che abbiamo fatto rincontrare idealmente sul palco del Centro Sociale “Pezzullo” di Via Lupoli, qui a Frattamaggiore. Si è cominciato con “Totò Poetry Culture”, interessante progetto del poeta-performer Gianni Valentino e del musicista-producer Lello Tramma incentrato su una rielaborazione della produzione poetica del Principe sotto forma di composizioni di musica elettronica. Senza soluzione di continuità, si sono susseguiti brani come “Che me manca”, “’A cchiù sincera”, “Voglio bene ê femmene”, “’A ‘nnammurata mia” e “Malafemmena”. Poi ad un certo punto, Gianni Valentino ha anche declamato ritmicamente un testo in cui Pasolini parla di Totò, della sua cultura piccolo-borghese e dei suoi sogni aristocratici innestati su un’origine sottoproletaria. Apprendiamo che Pier Paolo Pasolini era intrigato e inquietato dalle capacità inventive di Totò, dalla sua bontà da “napoletano buono, realistico, vero” e dalla maschera disarticolata che impersonava (che in qualche modo GV rievoca sul palco facendo cenno a passi di danza che riportano ai movimenti marionettistici di Totò). Sul finale, alcuni versi inediti di Valentino dedicati alla moglie di Totò, che lui chiamava con il vezzeggiativo “Mizuzzina”. Il tutto su un tappeto di musica elettronica intessuto da Lello Tramma che alterna le manopole a momenti in cui suona la chitarra e la ciaramella in un mix di analogico e digitale.
Nella seconda parte della serata, c’è stato un reading di poesie di Pasolini intervallato da sue canzoni e da canzoni a lui dedicate. Si è partiti con due classici del repertorio pasoliniano interpretati da Silvana Silvestri con l’accompagnamento di Filippo Piccirillo: “Cosa sono le nuvole?” (realizzata nel 1968 da Pasolini e Modugno) e “Cristo al Mandrione” (il brano di Pasolini scritto in romanesco con Piero PIccioni e dedicato a una delle borgate più degradate della Roma degli anni ‘50). Bravissimi e convincenti sia Silvana che Filippo.
Dopo le due canzoni, Mimmo Giuliano ha letto “La Solitudine” ed io “Supplica a mia madre”. A seguire una bella interpretazione di “Una storia sbagliata”, brano di Fabrizio De André e Massimo Bubola dedicato alla morte di PPP, e una mia lettura di “Alla mia nazione”, la famosa invettiva di Pasolini che è diventata un manifesto contro l’omologazione e il conformismo del neo-capitalismo italiota. Dopo che Filippo Piccirillo ha interpretato il “Preludio 20 in Do minore” di Chopin (utilizzato da PPP come colonna sonora del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”), l’attrice MonnaPina Vergara ci ha regalato una sua intensa e personale interpretazione di “Marylin”, struggente poesia tratta dal film di montaggio di Pasolini “La rabbia – I parte” (1963). Fuori programma, sono tornati sul palco Lello Tramma e Gianni Valentino accompagnati da Jennà Romano per interpretare una lettura straniata e contemporanea di “Non è Amore”.
[…] E poi quando adolescente nella nazione conobbi altro che non fosse la gioia del vivere infantile – in una patria provinciale, ma per me assoluta, eroica – fu l’anarchia. […]
L’ultima serata della VI edizione del MRF è stata riempita (è il caso di dirlo) da un intimo ed emozionante concerto di Bungaro accompagnato dal bravissimo percussionista Marco Pacassoni, il quale oltre a suonare il vibrafono (che domina magistralmente) ha suonato anche un piccolo xilofono, un glockenspiel, le tablas, una cabasa e una kalimba. Lui, Tony Bungaro, era alla chitarra, che domina con sicurezza e un certo riferimento alle sonorità della bossa nova e del tropicalismo brasiliano. D’altronde, che siamo di fronte a un artista di buoni ascolti e buone letture si rende chiaro fin dalla prima strofa di “Più veloce degli altri”, canzone con cui ha aperto il concerto sottolineando che gli “piace Sakamoto / e i libri sconosciuti / e tutti quei silenzi / gridati e poi vissuti”. Più avanti, in “Zen”, citerà Caetano Veloso, Domenico Modugno, Elvis Costello e i Talking Heads e, con “Apri le braccia”, ci farà ascoltare una versione italiana di “Once In A Lifetime” di David Byrne e Brian Eno (da “Stop making sense”, 1984). Insomma, è evidente che Tony Bungaro si è ben formato prima di mettere fuori la sua produzione, che comprende brani interpretati anche da altri artisti (e soprattutto artiste) con cui ha collaborato, come Patrizia Laquidara (della quale abbiamo ascoltato il brano “Agisce” intessuto con rime e assonanze fluide e insinuanti); Giusy Ferreri (“Il mare immenso”), Ornella Vanoni (“Imparare ad amarsi”) e Fiorella Mannoia (“Io non ho paura”). Preziosa la rilettura della poesia di Gianni Rodari “Il cielo è di tutti” cantata su disco con la Mannoia e interpretata in concerto con Marco Pacassoni che fa uscire dal suo vibrafono un delizioso effetto carillon.
Spiegatemi voi dunque, in prosa od in versetti, perché il cielo è uno solo e la terra è tutta a pezzetti.
Durante il concerto, Bungaro e Marco Pacassoni cercano (e trovano) anche un’interazione col pubblico tra schiocchi di dita, battiti di mano, momenti di “call and response” (ovvero botta e risposta) e ammiccamenti al repertorio immortale del tango all’italiana che esplorano in un gustoso medley di “Violino tzigano” (in cui Marco suona anche la diamonica), “Tango delle capinere” e “Agata”. Seguono quattro preziose canzoni del ricco repertorio di Tony Bungaro: “L’amore che serve”, “Le previsioni della mia felicità”, “Ti tau” e “Guardastelle”. Infine, un bel bis con “Perfetti sconosciuti” e una esilarante versione di “La donna riccia” (del grande Modugno) in cui Marco Pacassoni offre il meglio della sua capacità solistica e improvvisativa.
Si conclude così, con il pubblico contento e ben nutrito, questa tre giorni di musica, reading, canzoni e poesia diffuse in un bel chiostro della sterminata provincia a Nord di Napoli. Grazie al Presidente dell’associazione MRF Quirino Ganzerli, al direttore artistico Jennà Romano, al socio fondatore ed ex presidente Mimmo Giuliano ed all’Amministrazione comunale di Frattamaggiore che comincia a credere in noi. E grazie ancora a Gennaro Cimmino che ci ha regalato il palco e alla CRG di Carmine Guerriero per il service. Senza di loro, non ci sarebbe stato spettacolo.
Sospeso tra la festa del Durante e il Mediterraneo Reading Festival
Settimana densa di avvenimenti: mentre i miei alunni di quinta sono impegnati nell’ultima tappa degli Esami di Stato, io mi sto dedicando all’allestimento della VI edizione delMediterraneo Reading Festival e all’organizzazione della festa annuale dell’Associazione ex Allievi del Liceo Durante.
Nel corso della festa durantina sarà presentato il libro Alle sue spalle, una raccolta di 31 racconti di Grandi personaggi raccontati dalle loro donne. Personalmente ho contribuito alla stesura della raccolta con un racconto in cui ho dato voce alle donne dei discepoli di Cristo (nientedimeno) ed ho realizzato la copertina, oltre ad aver concepito il titolo insieme con il Maestro Pasquale Vergara. In anteprima, ecco come si presenta il libro nella sua facciata esterna.
Lo so. Avrei potuto fare meglio. Forse sarebbe stato più di impatto se avessi costruito la copertina rossa con la versione desnuda della mia Maja…
Ma temevo di incorrere in qualche censura o di risultare sgradito a qualcuno dei soci.
E poi (anche se da adolescente ho già illustrato un libro e realizzato qualche manifesto e qualche logo) non sono un grafico di professione. Come in tante altre cose, sono e resto un dilettante: uno che si diletta a fare cose che non sa fare. Ma mi impegno, mi cimento, più che altro perché non riesco a dire di no e perché mi fa piacere far risparmiare qualche soldino alle associazioni (senza scopo di lucro) di cui faccio parte.
Spinto dalle stesse motivazioni (che di certo, a giusta ragione, non saranno gradite ai grafici di professione) ho preparato queste quattro locandine web per il Mediterraneo Reading Festival.
Il primo giorno del festival mi diletterò anche a presentare i musicisti dell’evento While my guitar…, cercando di stimolare storie, aneddoti e riflessioni sul loro percorso artistico. Avrò l’onore di stare sul palco con Gianni Guarracino, Giuseppe Scarpato, Jennà Romano e Ricky Portera, quattro chitarristi che hanno accompagnato alcuni dei più grandi cantautori del panorama musicale italiano (tra gli altri, Gino Paoli, Lucio Dalla, Alan Sorrenti, Pino Daniele, Enzo Gragnaniello, Edoardo Bennato, Franco Del Prete, Edoardo De Crescenzo e Tricarico). Ne ascolteremo di belle e di bellissime, composizioni che hanno fatto la storia della canzone d’autore italiana, riarrangiate per l’occasione in versioni minimali che ne faranno risaltare la struttura ritmica ed armonica.
Purtroppo, però, l’evento avverrà in contemporanea con la presentazione del libro di cui sopra. Per cui potrò partecipare solo alla parte finale della festa del Durante…
Consapevole di non essere né ubiquo né bino, non posso che rammaricarmi di non poter prendere parte a tutta la presentazione della raccolta di racconti (che sarà curata dalla Prof.Teresa Maiello insieme con Margherita Ma.da Damiano, MonnaPina Vergara e Pasquale Guitar Vergara). Se tutto va bene, li raggiungerò verso le 11 e 30 (o, al limite, ‘round midnight). Tuttavia, mi sto dilettando a dare loro una mano per preparare una sinossi dei racconti e per scegliere qualche brano da leggere durante la serata.
Ma torniamo al Festival. Il 9 luglio sarà un evento in bilico tra Totò e Pasolini. Due mostri sacri che in vita si sono spesso incrociati artisticamente. Si comincerà con un dj set a cura di Lello Tramma e Gianni Valentino basato sulle poesie del Principe e si continuerà con un reading di poesie di Pasolini intervallato da sue canzoni interpretate da Silvana Silvestri con l’accompagnamento di Filippo Piccirillo e Jennà Romano. Tra i lettori dei versi di PPP, Mimmo Giuliano (ex presidente del MRF), MonnaPina (attrice e amica del vicepresidente del MRF) e io (vicepresidente del MRF).
Il 10 luglio ci sarà l’evento conclusivo del Festival con il cantautore Bungaro, che presenterà un concerto in duo con il percussionista Marco Pacassoni. Curiosamente il concerto si chiama l’Entronauta, come un racconto in sette parti che mi sono dilettato (ed anche un po’ dilaniato) a scrivere circa trenta-quarant’anni fa.
Fatto questo, dal 12 luglio, a scuola, comincerà il periodo di riparazione del debito formativo.
Il 20, infine, sarò in ferie e avranno inizio i miei pseudo-tre mesi di vacanza estiva, che (in realtà) vanno dal 20 luglio al 31 agosto.
Conclusa un’altra estate, sarà la volta di un nuovo anno scolastico in cui mi dirò che, questa volta, non prenderò nessun impegno extrascolastico. E poi ne prenderò altri mille. Mai per lucro e sempre per diletto.
Anche perché io me la ricordo sempre quella volta che trasformai il mio garage in uno spazio culturale con entrata a pagamento (con tanto di teatro di burattini, centro lettura e calciobalilla), e mia madre, quando scoprì la cosa, mi fece andare casa per casa a restituire gli introiti dei biglietti, facendomi vergognare come se quei soldi li avessi rubati dalle tasche dei miei amici. Avevo 11 o 12 anni. Forse anche meno. Credo che fu allora che cominciò a sedimentare dentro di me il dilettante perenne che sono e fui.
Ora che è trascorso qualche giorno, provo a fare un resoconto delle tre serate del Mediterraneo Reading Festival viste da dentro. Quest’anno mi onoro di essere il vicepresidente della neonata associazione che cura il festival; un’associazione che, come dice il nostro presidente Mimmo Giuliano, si propone di creare un terreno culturale fertile per dare vita a momenti di arte e di sperimentazione sui linguaggi, in modo tale che le giornate estive di spettacoli, incontri ed esibizioni debbano diventare il culmine di una ricerca artistica destinata a durare per tutto l’anno.
Sono stati tre giorni molto belli ed intensi che hanno avuto un precedente nella presentazione del Festival fatta la settimana prima con l’incontro con Angelo Petrella e la lettura di tre vibranti poesie di Lina Sanniti accompagnate al piano da Filippo Piccirillo.
Giornate intense, dicevo, che hanno tenuto fede al nostro obiettivo di realizzare incontri di musiche e parole che partano dalla provincia a nord di Napoli per affacciarsi sul Mediterraneo e sul mondo. Il nostro vuole essere un festival aperto all’intimismo, alla convivialità, alla riflessione, alla gioia di vivere, alla sperimentazione ed alla commistione dei generi in un clima di confronto e di partecipazione, mettendo in scena esibizioni delle arti “più disparate e disperate”.
Il primo giorno si è aperto alla grande con il cantautore Antonio Del Gaudio che ci ha presentato tre brani di teatro e musica (due accompagnati al piano) che trasudavano dolore, disperazione ed autoironia. Il primo, recitato in duetto con una voce fuori scena, è stato un confronto acceso e imbarazzante con una madre ingombrante come una mamma del sud o una “yddish mame“. Il secondo, un stralunato canto di corteggiamento. Il terzo un dialogo di un bambino con il padre, incentrato sul quesito filosofico e surreale “Cosa c’è dietro il mare?“. Il tutto con un sottofondo pianistico sapientemente suddiviso tra la voce del padre accompagnata dalla mano sinistra sulla tastiera e quella del figlio dalla destra.
Le canzoni sghembe di Del Gaudio mostrano un dominio della composizione musicale che mi fa pensare a quegli acrobati che camminano sul filo travestiti da pagliacci e fingono di non essere in grado di arrivare all’altro capo della fune. Ma poi ci arrivano tra mille piccole acrobazie che mostrano una perizia mascherata da goffaggine.
La sua performance è stata apprezzata anche da Mariella Nava, che qualche minuto dopo ha emozionato il pubblico che affollava il suggestivo chiostro del centro sociale di Frattamaggiore con la sua musica e le sue parole.
La celebre cantante e autrice era accompagnata da un chitarrista ed un bassista (in qualche caso si è servita anche di qualche base o ha lasciato le tastiere per una tammorra) ed ha alternato le canzoni con interessanti aneddoti sui suoi esordi, sulla sua carriera, i suoi incontri artistici, i big della canzone italiana che hanno interpretato le sue composizioni (tra gli altri, Gianni Morandi, Edoardo De Crescenzo, Renato Zero…) e i modi svariati in cui possono nascere brani popolari come “Questi figli”, “Come mi vuoi”, “Spalle al muro”, “Notte americana” e “Così è la vita”…
La Nava ha anche accompagnato al piano la lettura di due poesie: ‘O mare, di Marco Junior Dentale, e Io non ho paura, di Florin Valentin, lette dagli autori che sono ospiti delle strutture riabilitative psichiatriche Spartaco/Gladiatore di Sant’Antimo e Tifata di San Prisco.
La seconda serata è stata introdotta dal giovane chitarrista Gian Piero Bencivenga che ha interpretato con gusto e padronanza un arrangiamento di Fausto Mesolella della “Pavane” di Grabriel Fauré. Fausto Mesolella è una presenza che aleggerà sempre sul nostro Festival. Ci aveva deliziato, nella prima edizione, con le note della sua chitarra in un concerto trascinante e solitario. Alla seconda lo abbiamo celebrato con un brano suonato da Jennà, Mirko, Tricarico e Vittorio Remino. Ed ora è tornato con la materia della sua musica attraverso questa rilettura della Pavane…
Subito dopo, è stata la volta dell’inedito incontro dei Letti Sfatti con un quintetto di ottoni diretto dal Maestro trombonista “Tonino” Domenico Brasiello, accompagnato da Vincenzo Leurini (tromba), Francesco Amoroso (tromba), Luca Martigliano (corno), Alexandre Cerdà (tuba).
In totale, otto musicisti in scena, sapientemente alternati in varie formazioni che hanno dato al concerto un andamento eclettico e variegato in cui si sono susseguiti:
– brani in solo di Jennà Romano
– duetti con Mirko Del Gaudio (suo sodale di sempre), alla batteria
– duetti con Pasquale Di Resta, alle chitarre (Pasquale è diventato da poco il terzo elemento del gruppo. In questi pomeriggi ho avuto modo di fare molte chiacchierate con lui. È una bella persona con una profonda conoscenza musicale e mi auguro che possa suonare a lungo con Mirko e con Jennà)
– trii in formazione rock o pop
– brani arricchiti dagli ottoni del Neapolis Quintet Brass Ensamble.
La contaminazione è il leit-motiv di un festival che ha come prima parola della sua denominazione il Mediterraneo, un mare che unisce, separa e si riempie di cadaveri. In questo incontro abbiamo assistito a una produttiva e liquida miscela tra il repertorio dei Letti Sfatti e gli stilemi del quintetto classico di ottoni, in tutte le sue declinazioni, anche quelle che si fondono con il jazz o con la musica da banda.
Il concerto si è aperto con un’interpretazione per sola chitarra e voce di “Tu no”, dolente canzone d’amore di Piero Ciampi, il poeta maledetto livornese che è una sorta di nume tutelare e spirito guida dei Letti Sfatti (oltre ad aver vinto nel 2009 un premio a lui dedicato, nel 2012 Jennà e Mirko hanno anche dedicato a Ciampi un intero album arricchito da una splendida foto di copertina di Salvatore di Vilio. Peraltro, Ciampi era stato già evocato in questo festival nell’intro della troppo breve performance di Antonio Del Gaudio).
A partire dal secondo, dal terzo e dal quarto brano in scaletta, “Zollette di stelle”, “Lei balla il mambo” e “Palmiro”, i suoni si sono via via andati arricchendo di nuovi elementi che hanno dato nuova vita a brani già di per sé avvolgenti e ben costruiti. E precipitiamo subito nel mondo dei Letti Sfatti fatto di storie d’amore mal corrisposto, malessere esistenziale e personaggi di periferia in un Paese che cambia lasciando indietro gli ultimi.
“Io sono quello che non ha mai avuto un ombrello e quando piove d’amore non si sa riparare…”
“Il suo nome è Palmiro, Ma non lo ha scelto lui. Suo padre era comunista E ora è solo di sinistra. Il suo nome è Palmiro, Come un marchio sbiadito…”
Di seguito, i rimpianti di “La fiamma di una candela” si fanno più struggenti grazie agli interventi musicali di Pasquale di Resta che comincia a farci sentire un primo assaggio della sua chitarra elettrica suonata con l’archetto.
Il quinto brano, che è tra quelli che sono riuscito a videoregistrare quasi integralmente, ci permette di ascoltare il bel lavoro di arrangiamento dei fiati fatto da Brasiello. Si tratta di “Quello che ho di te”. Ascoltate quanto è bello il “bridge“.
Di seguito, è stata la volta della versione tradotta in napoletano dai Letti Sfatti del capolavoro di Piero Ciampi (rieccolo qua) “Il Vino”. Purtroppo, riesco a farvi sentire solo la coda del brano. Ma credo che sia sufficiente per farvi apprezzare l’arrangiamento vagamente dixieland dei fiati e il drumming deciso e sicuro di Mirko. Un’atmosfera ubriaca che ci lascia in bilico tra Ciampi, Totonno ‘e Quagliarella e il Tom Waits di The piano has been drinking (not me) o di Swordfishtrombones e di Bone Machine.
Tra gli applausi, Mirko e il quintetto si allontanano per lasciare sul palco Jennà e Pasquale che interpretano questa struggente versione di “Casandrino”, una canzone dedicata a un ragazzo che emigra nel degrado della provincia e perde la sua partita con la vita. Trovo molto suggestivi i suoni che Pasquale tira fuori dalla sua chitarra con quell’archetto che gli permette note lunghe come quelle di un violoncello. Ascoltate.
Con “Dietro quelle porte” si cambia atmosfera tornando all’energia percussiva di Mirko che ci regala anche un trascinante e coinvolgente assolo di batteria.
Ugualmente prezioso il suo lavoro che funziona come il clic di un metronomo per il brano seguente, in cui tornano a suonare tutti e otto gli elementi di questo concerto dei “Letti Sfatti allargati”.
Il brano è “Comincio a credere che”, di cui vi faccio sentire la bellissima coda con una tessitura armonica dei fiati che ho sentito varie volte nelle prove e che nella mia testa è diventata una specie di sigla del concerto.
L’ultimo brano prima del bis è una canzone dedicata a questa Italia qua che, guarda un po’, si intitola “La troia”.
Lungo applauso alla troia e poi il bis, che si apre con un brano dedicato a “Pantani”, che mette in dialogo il “Bartali” vincente di Paolo Conte con il destino sfortunato del “pirata”.
Segue una bellissima versione di “Stella di mare” di Lucio Dalla.
Jennà forse non lo sa (o forse glielo ho già detto, non mi ricordo), ma io lo ho cominciato ad apprezzare proprio ascoltando la sua versione percussiva di questo brano suonato da solo al bouzouki. Questa è un’altra versione da brivido che si avvale dell’apporto di Mirko e Pasquale.
L’ultimo brano del concerto è una ripresa di “Zollette di stelle” che potete ascoltare qua…
Insomma, se sabato non siete venuti, avete fatto male.
E avete fatto male anche se non siete venuti domenica, quando c’era il concerto-spettacolo di Massimo Masiello “Gli amici se ne vanno”, dedicato alle “note ineguali di Umberto Bindi”. Si tratta di una sorta di biopic teatrale scritto da Gianmarco Cesario e Antonio Mocciola e dedicato alla vita sfortunata e dolente di questo grande proto-cantautore genovese, condannato all’ostracismo dopo che fu rivelata la sua omosessualità. Molto convincente l’interpretazione di Masiello che si avvale anche di buone qualità vocali messe in risalto dagli arrangiamenti minimali ed essenziali di Jennà Romano.
E con questo spettacolo contundente e scomodo il festival è finito, gli amici se ne vanno…
Arrivederci alla prossima edizione e grazie a tutti quelli che hanno dato una mano o un pezzo del loro grande cuore.