A quelli che si sentono scrittori perché hanno seguito un corso di scrittura creativa o perché prima dell’avvento del Faccialibro avevano un blog con 25 follower, a quelli che si definiscono uomini di teatro dopo aver fatto una comparsa in una filodrammatica, ai musicisti e ai ballerini del sabato sera ed ai pittori della domenica, a tutti, a tutti costoro, a me stesso e ad altri che non voglio elencare, vorrei ricordare, parafrasando Alessandro Bergonzoni, Alessandro Manzoni e Alessandro Magnum P.I., che non basta un corso d’acqua per diventare un fiume in cui risciacquarsi i panni e apparire diversi da quello che siamo e sono loro ed io.
Sant’Alessandro di Bergamo, di Giovanni Gasparro, giovane pittore barese.
“La stupidità deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall’avere, per ogni cosa, una domanda.”
Milan Kundera non l’ho mai letto, ma questa citazione l’ho trovata là, nella rete sterminata, ed ho pensato che ci stava bene qua, tra i dubbi che mi dilaniano in questo periodo in cui vedo troppa ostentazione di instabili certezze.
Stamattina, per esempio, mi chiedevo se sono solo io a rabbrividire all’idea di un obbligo vaccinale che, leggo, può portare fino al licenziamento degli insubordinati.
Personalmente, ho scelto di vaccinarmi, ma non mi sentirei mai di imporre ad altri la mia scelta, tanto più in mezzo a tanta confusione e a tanti passi falsi della medicina, della scienza e dei governi. Per non parlare degli interessi delle mega-industrie del settore farmaceutico.
Sarà pure che a me spaventano tutte le emergenze e le possibili conseguenze degli Stati d’Eccezione: dall’istituzionalizzazione delle soluzioni realizzate in tempi di crisi al probabilissimo proliferare degli avvoltoi che volteggiano sulle carcasse dei cadaveri di ogni emergenza.
Lo so, l’ipotesi di decreto al momento riguarda soli gli operatori sanitari a contatto con i pazienti. Ma immagino che, una volta introdotto il principio, basti poco per estendere le misure coercitive ad altre categorie (i commercianti, i commercialisti, gli artigiani e gli artisti; i medici di base e i farmacisti; gli insegnanti, i borseggiatori e gli apprendisti; i passeggeri, i passanti, le passanti e i turisti…). Oggi, ha detto superMario Draghi, “non va bene che operatori sanitari non vaccinati siano a contatto con malati”; domani potrebbe non andare bene che macellai non vaccinati siano a contatto con carnivori vaccinati; o viceversa.
E lo so bene, lo so, che, nel momento in cui entro in contatto con te, i tuoi diritti corrispondono ai doveri miei (e viceversa); ma ¿hai il coraggio di impormi il tuo vaccino quando ancora non hai tutte le certezze scientifiche sui suoi effetti e la sua efficacia? Insomma, tu hai il diritto di sentirti sicuro quando mi incroci per strada; ma io ho il diritto di scegliere cosa rende sicuro me; la mia libertà finisce dove comincia la tua libertà e la tua sicurezza, ma anche la tua libertà è delimitata dagli stessi confini…
Caspita, questo terzo millennio sta innescando una catena di corti circuiti dell’etica e ci sta mettendo di fronte a pesantissimi conflitti esterni ed interiori!
Come ci appaiono semplici e spensierati gli anni ’90, al cospetto. E quante domande senza risposta! Senza neanche la consolazione di un po’ di kunderiana saggezza.
– A man can fish with the worm that ate a king, and then eat the fish he catches with that worm. – What do you mean by that? – Nothing but to show you how a king may go a progress through the guts of a beggar. _____
AMLETO Un uomo, un uomo qualsiasi, qualsiasi uomo al mondo può pescare mettendo all’amo il verme che si è cibato delle spoglie di un re, di un governante, di un magistrato, ‘nu grand’omme. E poi mangiare il pesce che ha pescato usando quel verme.
CLAUDIO Che cazzo vuoi dirmi?
AMLETO Niente, quisquilie, pinzillacchere… Voglio solo farti vedere come un re possa passare per la gola di un pezzente…
Nun ‘mporta si si pesce, verme o sua maestà… Ccà dinte simmo tutte eguale, muorte si tu e muorte so pure je, ognuno comme a ‘n’ato é tale e quale.
Pecché ‘a morte ‘o ssaje che d’e?, …è ‘na livella.
CLAUDIO ….!?
AMLETO Claudio, Claudio, guarda là, lo vedi quel teschio, chella coccia ‘e muorte ‘ittata int’a ‘na fossa senza pietà? Primma teneva pure essa ‘na lengua pe’ parla’, e a capace che sapeva canta’ pure… Potrebbe essere il cranio di un politicante, di uno che si sarebbe sentito di ingannare anche Dio! E mo’, guarda là…
CLAUDIO E già… Una livella…
AMLETO Trasenno ‘stu canciello ha fatte ‘o punto c’ha perzo tutta ‘a vita e pure ‘o nomme… Tu nun t’he fatto ancora chistu cunto?
Un modo di denudarsi per trovarsi di nuovo travestiti.
Una maniera per gridare sussurrando dove fa male.
Un sistema di scrittura con insistiti a capo.
Un urlo di noia, di gioia o di vibrante protesta.
Un insieme di suoni in cerca di amanti.
A stick, a stone, o fim do caminho. É um resto de toco é um pouco sozinho.
Uno squarcio nel silenzio.
Una menzogna che dice la verità.
L’eterna ricerca di una cosa per scoprirne un’altra.
Le piogge di marzo che salutano l’inverno. Una promessa di vita no teu coração.
Un mondo che potrebbe esserci.
Un modo come un altro per ripassare il tempo.
Una parola che non ti scivoli addosso per finire nella dimenticanza del non detto, una parola precisa e necessaria misurata in ogni suo dettaglio o sgorgata da dentro con la forza impetuosa di uno starnuto incontrollabile o di un peto.
Una stella cadente che brilla senza lasciare niente.
Una nenia per risvegliare gli adulti e addormentare i bambini.
É pau, é pedra, é o fim do caminho. É um resto de toco, é um pouco sozinho. It’s a sliver of glass. It is life, it’s the sun. It is night, it is death. It’s a trap, it’s a gun. It’s a bang and a pun.
(La poesia, molte volte, è un caso, un incidente di percorso, una scoperta accidentale, una fenditura che apre uno squarcio nel buio di una notte oscura…)
È l’acqua di marzo che segna l’inizio di una nuova primavera.
È il 21 marzo, la giornata internazionale della poesia e io metto insieme una manciata di futili strofette riprese da altre primavere e rimaneggiate per l’occasione.
(Quest’anno non avevo voglia di scavarmi dentro parole nuove.)
Quei pomeriggi in cui mi atteggio a filosofo di quest* m******
Il periodo che stiamo vivendo è tra i più confusi e contraddittori che si possano immaginare. Una volta di più, la ragione sta mostrando i suoi limiti. Stanno cadendo, sono in procinto di cadere o sono già cadute tante certezze del passato. E questo non è detto che sia un male in sé. Come è già accaduto, di fronte a tanto smarrimento e tanto scompiglio, si cercano appigli e sicurezze. Nell’occhio del ciclone, tanti post-illuministi cercano (e immaginano di trovare) la loro comfort zone nella scienza. Nel ventre sicuro del sapere scientifico sentono di avere tutto sotto controllo e cercano risposte a tutti i loro e i nostri perché.
Va bene. Se così vi sentite più tranquilli, va bene. Ma, per favore, non confondete le vostre posizioni fideistiche con la scienza. La scienza e la fede sono incompatibili. E la fede assoluta nella scienza mi pare la più cieca delle credenze. Né va dimenticato che sono gli scienziati a fare la scienza e gli scienziati, alla fine dei conti, sono uomini inseriti in un sistema economico e, proprio in quanto uomini, sono anche sottoposti all’influenza del proprio carattere, del proprio umore e della propria struttura psicologica. Fra loro, come tra noi, ce ne sono di umili, di frustrati, di divorati dall’ambizione, di onesti, di disonesti, di meticolosi, di arruffoni, di falsi, di ambigui, di modesti, di arroganti, di argutissimi, di meschini, di narcisisti, di splendidi e di stronzi. E so bene che il mio elenco è chiaramente parziale e facilmente applicabile ad altre o a tutte le categorie professionali.
La scienza va avanti con la collaborazione e la cooperazione. Non con le bassezze e con le meschinità dei singoli individui, e nemmeno con la loro singolare grandezza. A mio parere, insomma, bisogna rifuggire dalla sicumera dei singoli e preferire il dubbio investigante alle certezze granitiche. Certo non si deve essere tanto problematici da restare immobili ad ogni bivio, ma nemmeno si può andare avanti a forza di certezze dogmatiche e indiscutibili che finiscono per appiattire e mortificare la complessità del reale. Anche perché tutte le certezze indiscusse e indiscutibili rischiano di portarci tutti fuori strada.
La storia ci insegna che, prima e dopo l’introduzione del metodo sperimentale, molti progressi sono stati fatti dopo aver messo in discussione quelle che sembravano ineccepibili certezze del passato. Insomma, da quello che vedo io, la scienza va avanti anche e soprattutto a forza di dubbi e di incertezze. E tante volte anche con la spinta del caso (o della serendipità, come si usa dire da qualche decennio).
Detto questo, in un periodo problematico come quello che stiamo vivendo e subendo, mi corre l’obbligo di aggiungere che intravedo un pericolo ancora più grande della fede cieca nella scienza. Mi riferisco al complottismo, che è un altro modo per non dare margine al dubbio ed affermare certezze mettendo insieme i fili sciolti della realtà e intrecciandoli in teoremi che finiscono per diventare una maledetta trappola dell’intelletto. Cresce il sospetto che dietro ogni fenomeno di difficile comprensione ci sia una congiura e che le cose non siano mai come ci vengono presentate nella narrazione “ufficiale” o nei bollettini dei medici e degli scienziati. Abbiamo difficoltà ad accettare la realtà con tutta la sua complessità e le sue contraddizioni e preferiamo rimetterci a letture semplificatrici che riconducono tutto a un gruppo di colpevoli, a un’occulta oligarchia di potenti burattinai, a degli invisibili nemici responsabili di tutto il male che non riusciamo ad accettare.
Due certezze cieche che confliggono calpestando i corpi morti di tante vittime innocenti: da una parte la fede in una scienza che risolve tutto e dall’altra i complotti e le dietrologie che tutto spiegano ed illuminano.
A me, lasciatemi stare, fatemi crogiolare nella certezza del dubbio.
P.s. Ma voi che ne pensate e, soprattutto, con che lettere sostituireste le sette stellette del titolo?
Molto della bellezza dei tempi passati dipende dalla fallacia della nostra memoria e da un meccanismo ben noto che potremmo riassumere tanto come rimozione quanto con la popolare definizione di memoria selettiva. Per esempio, di primo acchito, se mi guardo indietro all’epoca pre-covid, ho il ricordo di un tempo dorato, all’aria aperta, di fronte al mare con gli amici, oppure in un locale affollato ad ascoltare musica e commentarla ad alta voce…
Ma se zumo i miei ricordi degli ultimi dieci anni e riporto in primo piano la mia immagine, mi vedo con la testa china e lo sguardo fisso sul mio telefonino. La pandemia della chiusura, il lockdown della comunicazione, è cominciato da lì, molto prima della diffusione dello stramaledetto virus SARS-CoV-2.
Soundtrack: Nana Mouskouri, “Recuerdos De La Alhambra” (da Francisco Tárrega). Immagini di me stesso ritratte, riprodotte e montate da me. La solitudine della memoria bagnata nella solitudine del presente…
Ironico, affabulatore adrenalinico Amavi la vita e ti innamoravi di tutto e di tutte
Non ti mancavano mai le parole Ma noi ora non sappiamo più cosa dire cosa pensare
Siamo devastati sconvolti increduli
Siamo prostrati esausti ed arrabbiati
Siamo delusi Siamo sfiniti E siamo smarriti
Abbiamo creduto fino all’ultimo che tu potessi fare uno sgambetto alla morte e scappare di lato
Ma ti è mancato il respiro Quando avevi ancora tante cose da dire e molto da fare
…
Come la morte mia fu cruda, udirai
….
Ma perché tanto sovra mia veduta vostra parola disiata vola, che più la perde quanto più s’aiuta?
E quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto!
Tra gli amori folgoranti e appassionati di Pietro, oltre ai figli, alla madre, alle sorelle, al Napoli e alla città di Napoli, c’era Dante. Più di una volta gli ho sentito recitare il XXXIII canto del Paradiso a memoria. Mi sembra di sentirlo. E mi illudevo di avere ancora tanto tempo per ascoltare la sua voce, fuori dai felici ricordi che diventano dolore.