San Giuseppe nell’arte e nell’immaginazione
La festività di san Giuseppe, allargata poi a festa della paternità, fu inserita nel calendario romano solo 1479 anni dopo la nascita di Cristo, il di lui figlio putativo, per volontà di Sisto IV (papa, peraltro, piuttosto mondano, guerrafondaio e nepotista; ma anche munifico mecenate, ricostruttore dell’Urbe e protettore di artisti e pensatori umanisti e rinascimentali).
Prima del ‘500 l’immagine di Giuseppe era piuttosto defilata nell’iconografia religiosa dedicata alla nascita e all’infanzia di Gesù.
Il santo falegname appariva sempre in posizione marginale o in secondo piano rispetto alla Vergine Santa e al Figlio di Dio, e il bambino Gesù non era quasi mai “inquadrato” tra le sue braccia.

D’altronde, già nei 4 vangeli canonici la sua figura, la sua storia e il suo ruolo erano in ombra e scarsamente citati (in pratica, quasi tutto quello che sappiamo del papà terreno di Gesù deriva dai vangeli apocrifi e dall’immaginazione popolare).
In quanto all’arte moderna, le immagini di paternità cominceranno a proliferare solo in epoca barocca (con artisti del calibro di Guido Reni, Bartolomé Esteban Murillo, Guercino, i Tiepolo padre e figlio…), prendendo a modello anche gruppi scultorei della Grecia classica in cui si rappresentano carezzevoli padri (naturali o adottivi) con in braccio figli appena nati.


Io, comunque, ho scelto un’opera del grande Domenikos Theotokópoulos (meglio conosciuto come El Greco) per fare gli auguri a tutti coloro che portano il nome di questo santo protettivo, paziente, comprensivo, attento e operoso, come ci immaginiamo debba essere qualunque buon padre.

È un quadro di grandi dimensioni (circa 3 metri di altezza) dipinto per la Cappella di San José, a Toledo (dove il pittore greco si trasferì nel 1577, quando aveva poco più di 35 anni, e ci rimase fino al giorno della morte, nel 1614). Personalmente, l’ho visto da vicino negli anni ’80 e sovrappongo la sua immagine a quella di un padre tedesco che ho conosciuto nello stesso periodo nel Castello di San Servando, fortezza medievale trasformata in un meraviglioso ostello della gioventù fuori dalle mura della città di Toledo. Vedevo questo papà grande e grosso giocare con affettuosa complicità con suo figlio di sei o sette anni e mi immaginavo anch’io un giorno di poter viaggiare da solo con un figlio mio ed esplorare il mondo insieme. Mutatis mutandis, il desiderio lo sto realizzando ora. Ma questa è un’altra storia.
Tornando al quadro di El Greco, trovo di sconvolgente attualità quell’incedere nel buio del padre e del figlio, con le mani che si cercano con delicatezza, mentre intorno sembra che stia per scatenarsi una tempesta: perfino gli angeli sembrano sul punto di cadere lungo questa strada oscura e desolata.
C’è una sconfinata tenerezza nello sguardo di Giuseppe. Forse un presagio di sofferenze future. Ma al momento stanno bene insieme, e questo basta.
Sull’onda emotiva della pittura proto-espressionista di El Greco, auguro ogni bene a tutti i Giuseppe, le Giuseppine e derivati e anche a tutti coloro che sono pervasi dall’istinto paterno di prendersi cura del mondo e di cercare un rifugio contro le tempeste che infuriano là fuori.