Molte volte parliamo del razzismo come se si trattasse di una visione del mondo univoca e di un sentimento statico e monolitico.
E invece esistono diverse forme e modalità di espressione di questo sentimento di superiorità, ribrezzo e paura che induce a giudicare l’altro non in quanto persona, ma in quanto appartenente a un determinato raggruppamento etnico che viene pregiudizialmente percepito come inferiore e minaccioso.
Da un punto di vista sociale, in questo periodo storico e nel contesto in cui vivo, distinguo almeno 4 forme di razzismo, che, però, talvolta, si presentano in modalità miste, fluide, meticce.
La prima forma è il razzismo della povera gente: la classe subalterna che è razzista perché viene indotta alla paura per l’altro da sé e mantenuta in una condizione di ignoranza che porta a confondere l’amico col nemico e l’uguale col diverso.
La seconda forma consiste in un misto di egoismo e paura che attecchisce soprattutto tra le persone agiate. Chi non ha bisogno di combattere ogni giorno per un pezzo di pane teme che la discesa di orde di stranieri minacci il proprio status, il mantenimento dei suoi piccoli privilegi.
Al terzo posto abbiamo il razzismo fluido della piccola borghesia che declina la sua paura in un moto pendolare che va dall’ignoranza degli indigenti all’egoismo degli agiati.
Infine, il razzismo dei ricchi e dei potenti che hanno pari ripugnanza per bianchi, neri, rossi e gialli, e tutti ugualmente sfruttano o cercano di sfruttare. L’unica paura di questa classe dominante è quella di perdere la propria posizione di dominio o di veder diminuire il bacino degli sfruttabili, l’esercito dei lavoratori di riserva.
Insomma, la mia lettura, senz’altro démodé (come gli accenti su queste “é”), si propone di tornare a giudicare marxianamente le persone non in base alla propria origine, al proprio sangue, alla propria nazionalità e alla quantità di melanina presente nella loro pelle, ma in base alla classe sociale di appartenenza, al censo e alla posizione di dominati o di dominanti che occupano nella piramide sociale.
Senza contare che la paura sociale è un sentimento che impedisce ogni forma di cambiamento: i conservatori sono dominati dal terrore e sono disposti a sacrificare libertà e diritti pur di sentirsi più sicuri a casa loro e ridurre i propri livelli di ansia sociale. E le classi dominanti sono da sempre abituate a fare leva sulle paure diffuse e percepite, per non perdere il loro ruolo di dominatori e gli spropositati privilegi che il loro confortevole ruolo comporta.
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In questo contesto, considero che Napoli, oggi, avrebbe fatto meglio ad accogliere Salvini con una lunga pernacchia collettiva; perché lui di questa visibilità campa.
Non potrebbe fare incetta di voti italioti senza tanto rumore intorno al suo nulla.

Tuttavia, quando sento il TG3 regionale parlare di Salvini come il leader di un partito di moderati e i ragazzi che erano in piazza come una massa di facinorosi “black bloc”, beh, qualche dubbio mi viene sulle mie posizioni non interventiste. E un po’ mi dispiace di essere restato dietro allo schermo del mio pc.