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I petali di una madre di parole

26 venerdì Ago 2022

Posted by aitanblog in recensioni

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Tag

parole, poesie

Ho appena letto “Madre di parole”, raccolta di poesie di Lina Sanniti pubblicata nel 2017. Queste le mie impressioni a caldo.



Il libro si compone di tre sezioni che, nel loro insieme, costituiscono una sorta di autobiografia poetica dell’autrice (o almeno di quello che l’autrice voleva dirci del lacerto di mondo che gravitava dentro e fuori di lei in quegli anni).

La prima sezione, quella che sento più affine al mio gusto e alla mia sensibilità di lettore, si intitola “Gli spazi vuoti” e volge lo sguardo verso l’esterno, dalla famiglia (il padre, soprattutto) all’ambiente circostante, con tutta la sua violenza e desolazione delle “case impopolari” (sic!) dell’infanzia dell’autrice (“perché a noi famiglie numerose / spettava il premio della casa”). Fuori dalla palazzine, il quartiere è affollato di ragazzi frettolosi che “si credono leoni” e “azzannano il tempo / come un osso fresco di cerbiatta” (da “I ragazzi di qui”, dove qui è proprio dove vivo anch’io; ma potrebbe anche essere altrove, temo).

Le strade hanno passi di sangue
impronte cieche, pesanti, silenziose.
Corpi di donne che grondano colpe
ignare di un destino che cuce le bocche,
spezza le reni, sconquassa i cuori.
S’insinua sotto pelle una scheggia di dolore
che il tempo non dissolve, non risolve.
(da “Passi di donne”)

Il dolore sembra essere lenito solo dai ricordi intimi e familiari di un mondo perduto (il padre, la casa della nonna, le ragazze semplici, il mare e i giardini segreti di Napoli).

Nell’alveare delle nostre nuove case
mi mancava più di tutto lo sgabello della nonna
sul quale sapevo saltare e cantare felice.
(da “Case impopolari”)

Niente potevi se non fingere
di raccogliere grappoli di stelle
e incoronarmi regina del nulla.
(da “Mio padre”)

Più avanti lo sguardo torna ad accarezzare il padre in una malinconica poesia che lo segue nei primi giorni della pensione, quelli in cui non ti riesci ancora ad abituare alla vita che cambia.

ricordi appena che il tuo lavoro è bello e andato
impacchettato in una ammiccante pergamena
che ti ringrazia e ti congeda
(Da “Dopolavoro”)

Ma anche nel pieno della desolazione non bisogna rinunciare alla scelta di un intellettualismo etico volto alla persecuzione del bene, costi quel che costi:

A noi che del bene abbiamo solo la parvenza
e asciutti nelle spalle srotoliamo maldicenza
servirebbe appena un frullo di memoria per capire
che c’è più morte nella vita ancora prima di morire
(“Il bene”)

La seconda parte si intitola “Parentesi affettive” ed è quello che dichiara: una descrizione di una vita affettiva fatta di assenze, parentesi, inciampi e ultime scene descritte con un sofferto distacco che a volte rasenta il cinismo (ma si tratta di un cinismo dolente che oserei definire “autodifensivo”).

La tua assenza
mi ha lasciato senza fiato
senza un alito di vita
eppure… io respiro!
(Da “La tua assenza”)

Non pensare di accendere il tuo fuoco
con la polvere sputata dalla mia bocca
esangue proprio come terra di nessuno,
di nessuno.
(Da “Terra di nessuno”)

La terza ed ultima parte, intitolata come l’intera silloge “Madre di parole”, è quella dello sguardo rivolto verso se stessa, anche in quanto autrice di poesia e (forse anche per questo) contiene i versi più curati da un punto di vista formale.

La prima poesia di questa sezione comincia con quattro versi che suonano come la prima strofa di un sonetto:

All’ombra del cuscino senza pace
mi svesto di sottana e di piacere.
Le braccia sono rami all’infinito
[e] le gambe piantan[o] rovi o forse ulivi.
(Da “All’ombra del cuscino”; le parentesi quadre sono mie e mi sono servite per mettere in evidenza la metrica endecasillabica della quartina.)

In questa sezione ho apprezzato anche due poesie di tono allegorico (“Primavera” e “Andirivieni”) e l’intensificazione dell’uso di allitterazioni e rime.
Esemplari, da questo punto di vista, le poesie intitolate “Illesa” e “Sensi” e la stessa “Madre di parole” che si conclude con questi due distici in rima baciata:

[…] nell’aria svolazza la rima impertinente
riprendo a memoria il racconto silente.

Non sono madre di niente se non di parole
e anch’esse a volte rimangono sole.

Tornano in questi versi le note costanti della desolazione, della solitudine, dell’aridità di “una vita non vita”.

Eterea, impalpabile, sono vita non vita
(Da “Oltre ogni certo sentire”)

Ma se dai diamanti non nasce niente, dalle terre desolate vengono fuori fiori di parole. Qualche volta. E queste pagine sono piene di petali su cui soffermare il nostro sguardo e la nostra attenzione. Petali di una madre di parole.

Versione Originale

12 martedì Lug 2022

Posted by aitanblog in immagini, versiculos

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Tag

parole, rime, traduzione

Libere Associazioni

A tutto c’è rimedio, mi dicono.
A tutto ci son rime, dico io!
Al rotto c’è rammendo, aggiungono.
A lutto anche il regime, dio mio!

[Un putto mostra il medio ed il fio
distrutto dal tedio, eziandio,
distante dagli uomini e da dio.

Ma a tutto c’è rimedio, ripetono.]
A tutto, a tutto, riecheggia lo zio
che è il fratello di tutti i vizi
ed il padre di tanti sfizi
da percorrere e ribaltare
senza contare
le sillabe
o fare eco alle parole
sì come il cuore desidera
et tradizione vuole.

Ma il traduttore si perderà
tra i suoni che non suonano
e la rima che non rima
sì come rimava prima,
nella versione originale.


Se i versi vi suonano troppo ostici, soffermatevi sul disegnino.
Oppure abbandonatevi al suono. Come se fosse una canzone di Panella e Battisti da ascoltare senza musica.

Io, dal canto mio, volevo parlare di rime, rimedi e problemi di traduzione.


PVP

14 sabato Mag 2022

Posted by aitanblog in immagini, versiculos

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Tag

archi, parole, versi

un verso un varco un arco una parola

tu non puoi sapere quanto
ho sofferto
per scavarmi dentro
un verso
che mi portasse fuori
dalla disperazione
nell’arco lungo e irto
della sua costruzione

e a volte dura una notte
che più di una vita dura
anche una parola sola
che cerca spazio
tra una parola
e una parola

un beso un arco un barco una amapola

interludio pensoso

04 sabato Dic 2021

Posted by aitanblog in inter ludi, riflessioni

≈ 5 commenti

Tag

parole

(C’è tutto un ordine, una serie e un’accozzaglia di cose che le parole non sanno…)

Cioran Wilde (Nowhere, 13-08-66)

Le parole superflue di Giosuè Carducci

29 lunedì Nov 2021

Posted by aitanblog in recensioni, riflessioni

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Tag

Carducci, Mussolini, parole

In appendice all’interludio pigro di ieri.

Sconfiggendo temporaneamente la pigrizia, ho continuato a fare ricerche sulla citazione attribuita a Carducci che recita:

“Colui che potendo dire una cosa in dieci parole ne impiega dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni.”

Non trovando risposte esaurienti nella rete web italiana, ho deciso di tradurre la frase e provare a cercare possibili autori della citazione in altre lingue.
Al secondo o terzo tentativo, ho trovato questo curioso stralcio da un commento su Facebook in cui tale Olver Cadavid attribuisce dalla lontana Colombia la citazione “El que pueda decir una cosa en diez palabras, pero emplea doce, lo considero capaz de las peores acciones” niente di meno che a Mussolini.
Nello stesso commento, però, Olver Cadavid aggiunge anche “apropiándose de un pensamiento de Giosuè Carducci“. E torniamo così al punto di partenza.



Di primo acchito ho pensato che la fonte dell’articolo colombiano potesse essere sempre il romanzo di Pitigrilli di cui dicevo ieri.
Poi ho deciso di continuare a cercare in rete con una nuova query in cui associavo il virgolettato in lingua italiana con il nome di Mussolini.
Sorpresa.
Viene fuori un articolo antirenziano pubblicato sul Giornale che fu di Indro Montanelli nel 2016.



L’articolo è a firma di Stefano Lorenzetto.
Caspita, penso, Stefano Lorenzetto, l’autore di un saggetto (che ho letto) e che si chiama, udite udite, “Chi (non) l’ha detto. Dizionario delle citazioni sbagliate” (sic!).
A questo punto, incuriosito dalla somiglianza tra i due testi, torno a leggere integralmente il post spagnolo di Olver Cadavid e scopro che il Lorenzetto vi compare perfino citato.




Sopraffatto dalla pigrizia, sospendo qui le mie ricerche, ma resto col sospetto che la bella frase sulle parole superflue sia proprio del Lorenzetto, di Segre/Pitigrilli o di qualcun altro. Magari di Attila. Oppure di Erode. Il Grande.

C6?

19 venerdì Feb 2021

Posted by aitanblog in immagini, riflessioni, versiculos

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Tag

numeri, parole

TRE ne ha TRE,
come anche
UNO e DUE.

QUATTRO, SETTE
e OTTO, QUATTRO;
come pure NOVE.

CINQUE,
invece,
ne ha SEI
e SEI, TRE;
similmente,
in inglese,
LEI, VOI e te.

Va be’,
la smetto ora
di dare i numeri
e torno
a un mondo
di segni
combinati
per ricordare,
esprimere,
raccontare,
dare un senso
alla realtà
e misurarla
misurandosi,
in qualche modo,
per poi sentirsi
davvero piccini
di fronte
alle infinite
combinazioni
possibili,
realizzande
o gia realizzate
dentro e fuori
di qui.

Soltanto parole

15 giovedì Nov 2018

Posted by aitanblog in riflessioni

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Tag

parole

Le nostre parole possono essere sussurri e grida, urli e carezze. Le nostre parole sono flatus vocis, sbuffi di vento, emissione di fiato, segni neri su un rettangolo bianco, lettere che si susseguono su un foglio o su uno schermo piatto. Le nostre parole possono gridare la nostra solitudine o accarezzare quella degli altri, ma non sanano e non risolvono. Le nostre parole dicono incessantemente che non abbiamo nulla da dire e non riusciamo a smettere di dirlo.
Soliloqui fatti ad alta voce tra la folla che cammina distratta, frasi scritte sul bagnasciuga o vergate sull’acqua. Parole che sfregiano per un momento il mare magnum in cui navighiamo; ma dopo non resta più niente. Solo il vago ricordo del tempo perduto e un mucchio di parole pronte a essere riformulate in un nuovo ordine.

Fatto di Parole

29 sabato Set 2018

Posted by aitanblog in immagini, versiculos

≈ 4 commenti

Tag

ASCII, parole

Fatto di Parole (ASCII) e

C’è chi si fa di eroina
Chi di coca e chi di coccoina.
C’è chi si fa di crack,
Chi fuma cobret e chi mescalina.
C’è chi assume farmaci,
Chi prostitute e chi metamfetamina.
C’è chi prende tranquillanti,
Chi barbiturici e chi acqua frizzantina.
C’è chi si fa la ketamina,
Chi l’MDA e chi sua cugina.

Io sono fatto di parole
come un tossicomane
all’ultimo stadio.

Words Guerrilla

07 sabato Mag 2016

Posted by aitanblog in idiomatica, riflessioni, vita civile

≈ 3 commenti

Tag

google, guerrilla, parole, tecnologie, traduttori, traduzione

Tecniche di attacco in difesa dei traduttori del mondo extra-virtuale

Ogni giorno, ad ogni passo e in ogni momento Google Translate succhia parole da traduzioni fatte da persone in carne-ossa-cervello-e-passioni e alimenta il suo database per perfezionare le capacità traduttive del suo algoritmo.

Più sono i modelli di traduzione umana che ha a disposizione, più si umanizza la capacità del traduttore artificiale di rendere in lingua plausibile le fonti redatte in lingue altre.

Goccia di parola per goccia di parola, GT impara e prende il nostro posto come in un incubo distopico, “a brave new world of words”.

Dobbiamo difenderci e porre un argine a questo dilagare pervasivo di algoritmi che prendono il posto dei nostri cervelli e delle nostre passioni di interpreti e traghettatori di senso da una lingua e una cultura a un’altra “Kultur” e un’altra “langue”.

Dobbiamo continuamente spiazzare il nemico digitale e inventare parole e costruzioni nuove che gli tendano agguati affinando tecniche di disturbo e strategie di attacco guerrigliero.

Dobbiamo mischiare parole in diverse lingue e dialetti per confondere l’avversario. Dobbiamo farlo affogare nel nostro pot-pourri di parole. Dobbiamo lasciare che si aggrovigli nel mixer dei nostri testi e farlo smarrire tra le tessere del patchwork. Dobbiamo metterlo di fronte a un’insalata mista, un’ammescafrancesca di roba di diversa provenienza e colore linguistico.

Dobbiamo scrivere in modo sempre più arzigogolato, impervio, barocco, sorprendente e immaginifico per aggirare l’ostacolo e mettere in corto circuito le sinapsi elettroniche dell’algoritmo.

Dobbiamo difendere i posti di lavoro dei compagni interpreti e traduttori con tecniche post-luddistiche e fantasie rapsodiche di parole.

Dobbiamo fregarlo al punto che se gli lasciamo tradurre un nostro testo dalla L1 (lingua fonte) alla L2 (lingua traduttrice) e poi lo facciamo tornare alla L1, trasformando la fonte in traduttrice e la traduttrice in fonte, il senso debba completamente sfuggirgli di mano e il risultato finale debba suonare come un campionario di fastidiose parole in libertà.


Esempio 1 – Lingua veicolare: spagnolo (clicca sull’immagine per ingrandire)
Leggendo il quarto riquadro potete farvi un’idea di come traduce l’algoritmo.

Trad-It-Sp-It


Esempio 2- Lingua veicolare: inglese (clicca sull’immagine per ingrandire).

Trad-It-Ingl-It

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