Ho appena letto “Madre di parole”, raccolta di poesie di Lina Sanniti pubblicata nel 2017. Queste le mie impressioni a caldo.

Il libro si compone di tre sezioni che, nel loro insieme, costituiscono una sorta di autobiografia poetica dell’autrice (o almeno di quello che l’autrice voleva dirci del lacerto di mondo che gravitava dentro e fuori di lei in quegli anni).
La prima sezione, quella che sento più affine al mio gusto e alla mia sensibilità di lettore, si intitola “Gli spazi vuoti” e volge lo sguardo verso l’esterno, dalla famiglia (il padre, soprattutto) all’ambiente circostante, con tutta la sua violenza e desolazione delle “case impopolari” (sic!) dell’infanzia dell’autrice (“perché a noi famiglie numerose / spettava il premio della casa”). Fuori dalla palazzine, il quartiere è affollato di ragazzi frettolosi che “si credono leoni” e “azzannano il tempo / come un osso fresco di cerbiatta” (da “I ragazzi di qui”, dove qui è proprio dove vivo anch’io; ma potrebbe anche essere altrove, temo).
Le strade hanno passi di sangue
impronte cieche, pesanti, silenziose.
Corpi di donne che grondano colpe
ignare di un destino che cuce le bocche,
spezza le reni, sconquassa i cuori.
S’insinua sotto pelle una scheggia di dolore
che il tempo non dissolve, non risolve.
(da “Passi di donne”)
Il dolore sembra essere lenito solo dai ricordi intimi e familiari di un mondo perduto (il padre, la casa della nonna, le ragazze semplici, il mare e i giardini segreti di Napoli).
Nell’alveare delle nostre nuove case
mi mancava più di tutto lo sgabello della nonna
sul quale sapevo saltare e cantare felice.
(da “Case impopolari”)
Niente potevi se non fingere
di raccogliere grappoli di stelle
e incoronarmi regina del nulla.
(da “Mio padre”)
Più avanti lo sguardo torna ad accarezzare il padre in una malinconica poesia che lo segue nei primi giorni della pensione, quelli in cui non ti riesci ancora ad abituare alla vita che cambia.
ricordi appena che il tuo lavoro è bello e andato
impacchettato in una ammiccante pergamena
che ti ringrazia e ti congeda
(Da “Dopolavoro”)
Ma anche nel pieno della desolazione non bisogna rinunciare alla scelta di un intellettualismo etico volto alla persecuzione del bene, costi quel che costi:
A noi che del bene abbiamo solo la parvenza
e asciutti nelle spalle srotoliamo maldicenza
servirebbe appena un frullo di memoria per capire
che c’è più morte nella vita ancora prima di morire
(“Il bene”)
La seconda parte si intitola “Parentesi affettive” ed è quello che dichiara: una descrizione di una vita affettiva fatta di assenze, parentesi, inciampi e ultime scene descritte con un sofferto distacco che a volte rasenta il cinismo (ma si tratta di un cinismo dolente che oserei definire “autodifensivo”).
La tua assenza
mi ha lasciato senza fiato
senza un alito di vita
eppure… io respiro!
(Da “La tua assenza”)
Non pensare di accendere il tuo fuoco
con la polvere sputata dalla mia bocca
esangue proprio come terra di nessuno,
di nessuno.
(Da “Terra di nessuno”)
La terza ed ultima parte, intitolata come l’intera silloge “Madre di parole”, è quella dello sguardo rivolto verso se stessa, anche in quanto autrice di poesia e (forse anche per questo) contiene i versi più curati da un punto di vista formale.
La prima poesia di questa sezione comincia con quattro versi che suonano come la prima strofa di un sonetto:
All’ombra del cuscino senza pace
mi svesto di sottana e di piacere.
Le braccia sono rami all’infinito
[e] le gambe piantan[o] rovi o forse ulivi.
(Da “All’ombra del cuscino”; le parentesi quadre sono mie e mi sono servite per mettere in evidenza la metrica endecasillabica della quartina.)
In questa sezione ho apprezzato anche due poesie di tono allegorico (“Primavera” e “Andirivieni”) e l’intensificazione dell’uso di allitterazioni e rime.
Esemplari, da questo punto di vista, le poesie intitolate “Illesa” e “Sensi” e la stessa “Madre di parole” che si conclude con questi due distici in rima baciata:
[…] nell’aria svolazza la rima impertinente
riprendo a memoria il racconto silente.
Non sono madre di niente se non di parole
e anch’esse a volte rimangono sole.
Tornano in questi versi le note costanti della desolazione, della solitudine, dell’aridità di “una vita non vita”.
Eterea, impalpabile, sono vita non vita
(Da “Oltre ogni certo sentire”)
Ma se dai diamanti non nasce niente, dalle terre desolate vengono fuori fiori di parole. Qualche volta. E queste pagine sono piene di petali su cui soffermare il nostro sguardo e la nostra attenzione. Petali di una madre di parole.