Due decenni di blogherie
Oggi sono vent’anni che cerco distrazione e attenzione tra queste pagine; vent’anni che mi scavo e vi ammorbo col mio blog.
Mi sento come Hiroo Onoda (小野田 寛郎), quel militare giapponese che, quasi 30 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, venne arrestato nella giungla filippina dell’isola di Lubang, perché si rifiutava di considerare la guerra finita.
Oltre a lui, un’altra ventina di resistenti, sparsi in diverse zone dell’Asia, non obbedirono all’ordine di resa imposto dalle potenze vincitrici: Facebook, Instagram, YouTube e TikTok. Non ci potevano credere che la loro nazione avesse rinunciato a continuare a combattere, pensavano perfino che gli annunci sulla fine della guerra fossero parte di una campagna di propaganda del nemico; altri, invece, erano in zone così periferiche da non essere manco venuti a conoscenza della vittoria dei cosiddetti alleati (che, peraltro, continuarono a farsi guerra tra di loro, anche quando sembravano andare a braccetto).
Tutti questi soldati fantasma continuarono a nascondersi o a combattere per mesi e per anni con azioni di guerriglia contro l’esercito nemico, convinti fino allo stremo di essere dalla parte giusta.
Tutto questo per dire che, in qualche modo, mi sento parte anch’io di una guerriglia che continua a disseminare il campo del nemico di post che, deflagrando, riconducono ai vecchi blog persone restie a uscire dalle gabbie dorate dei social. Armato di link, rimandi e citazioni, faccio di tutto per far mettere la testa degli utenti dei network fuori dalla comfort zone delle pagine in cui trascorrono la gran parte del loro tempo digitale.
E così, contra viento y marea, continuo a intasare il mio blog autarchico e non allineato con testi, disegni, video, qualche foto e, di tanto in tanto, pure con qualche ignobile composizione sonora che mi suono e registro da solo. A membro canino.
Questo, per esempio, è un adattamento capriccioso di un capolavoro del maestro che non concedeva bis. Chiedo venia a voi e perdono a lui per questo ed altro.