a Nari y a su afortunado esposo
Qualche giorno fa, di rientro a casa da un giorno stanco come tanti, mi sono trovato tra le mani uno strano pacco postale, un sorprendente regalo da un paese lontano. Beh, a pensarci bene, non tanto lontano, praticamente alle porte del vecchio continente che ci contiene in tanti stretti stretti da tempo immemorabile; e magari da lì veniamo tutti dai tempi di Noé (i più ferrati tra voi in storia, religioni e geografia staranno già navigando con la mente sulle vette del monte Արարատ, tra cori di animali accoppiati e uno sparuto gruppetto di esseri umani bagnati fradici).

Ma torniamo al pacco. Un paio di lettere inesistenti nel nostro alfabeto mi hanno fatto capire subito che mi era stato spedito da Nariné, la mia giovane amica armena. E poi c’era scritto a chiare lettere che era lei la mittente.
La cosa mi ha sorpreso non poco. Era dalla scorsa estate che non ricevevo sue notizie, ed ora, all’improvviso, eccomi tra le mani un plico su cui c’è scritto FOTO, ma che io intuisco subito essere qualcos’altro.

Evidentemente la scrittura di Nariné dichiarava il falso per evitare che qualche farabutto fosse indotto ad aprire l’involucro nel tragitto e potesse trafugare il prezioso regalo che lei mi aveva preparato da tempo. Praticamente da quando ci conoscemmo più di due anni fa e io le dichiarai da subito il mio amore per i suoni della sua terra (¡qué mujer tan amable!).
Ho spacchettato forsennatamente strappando via chili di nastro adesivo, e mi sono trovato di fronte i cinque pezzi di legno di albicocco levigato che compongono un duduk con inclusa imboccatura di riserva (che questi mica sono ricambi che si possono incontrare giù al supermercato).

Dentro non c’era nemmeno un biglietto di spiegazioni, in puro stile Nariné.
Solo ieri sono riuscito a mettermi in contatto con lei e, tra gioiose ed emozionate risate in cui accavallavamo le voci e i disturbi di linea, ho saputo che si trattava del regalo del SUO matrimonio. Si era sposata da qualche mese con Taron; poi… il viaggio di nozze in Egitto, il natale, il nuovo anno e così, di giorno in giorno, ci è piombata addosso la primavera senza più sentirci né mandarci due righe.
All’inizio non è stato facile nemmeno capire come si montavano i tre pezzi del duduk, ma ora che ci sono finalmente riuscito voglio mandare anche da qui i miei più sentiti auguri a Nariné e a Taron, mi enhorabuena, mis felicidades, sh’norhavor lini, Nariné, para ti y Taron, y sh’norhakal em, muchas gracias.

E voglio dirle che ho approfittato di questa festa del lavoratore per studiare lo strumento, ed a lei dedico le prime note che ne sono venute fuori. Y disculpa si es poco.
aitanduduk
Tutti gli altri lettori di questo blog, invece, vorrei invitarli a trasferirsi sul sito http://www.ian.cc per aggiungere la propria adesione alla campagna per il definitivo riconoscimento del Medz Yeghern (il “grande male”), il genocidio armeno perpetrato prima dal sultano ottomano Abdul-Hamid II tra il 1894 e il 1896 e poi dai Giovani turchi durante la prima guerra mondiale. Signori miei, questa è un’altra storia che faremmo bene a tenere a mente, per non essere costretti a ripeterla, per non inciampare un’altra volta nella stessa pietra. E poi, cazzo, se quel progetto criminale fosse riuscito io non avrei conosciuto Nariné, e lei non mi avrebbe mandato quel duduk dai suoni caldi e vibranti, e io non avrei potuto registrare le note di cui sopra (va beh, lo so, lo so, questa avrei pure potuto risparmiarvela; ma andatevi a sentire qualche brano del grande Djivan Gasparian per capire cosa intendo -e che tipo di melodie mi piacerebbe far uscire dallo strumento- quando farnetico di suoni caldi e vibranti).