(Considerazioni affastellate negli anni da una sedicente cassandra)
Mondializzazione, globalizzazione, integrazione, unificazione dei mercati, omologazione delle culture, villaggio globale.
In teoria la globalizzazione avrebbe ravvicinato il villaggio, ci avrebbe fatto sentire più contigui e compartecipi.
Dall’alto di positivistiche e immaginifiche impostazioni teoriche ci avevano fatto credere che saremmo stati tutti più uniti, grazie a mezzi di comunicazione sempre più rapidi e strumenti telematici capaci di abbattere le barriere dello spazio e del tempo. Il mondo sarebbe stato tutto un grande gioco senza frontiere, in teoria.
In pratica, stiamo vedendo muri laddove immaginavamo ponti. In pratica, ogni gruppo, ogni individuo si sta chiudendo sempre di più in se stesso e sta crescendo la diffidenza, il sospetto, la paura e l’odio verso l’altro.
In pratica, stanno scoppiando le contraddizioni di un mondo con più di tre quarti di popolazione affamata e meno di un quarto che continua a sprecare risorse. Cosa tanto più grave e pericolosa in una realtà in cui ognuno è e sarà sempre più interrelato alla vita di ogni altro.
Una sessantina di miliardari posseggono una ricchezza pari alla metà più povera del pianeta; negli ultimi quaranta anni il numero dei paesi meno sviluppati è raddoppiato; miliardi di persone vanno a dormire affamati ogni notte e si svegliano senza fare colazione ogni mattina; quasi la metà della popolazione mondiale vive con meno di un paio di euro al giorno. In pratica.
Il denaro, le armi, la droga e le mercanzie si muovono liberamente, ma gli ostacoli al movimento delle persone sono in costante aumento. Ci sono sempre più esseri umani in movimento e sempre più barriere da superare. E non parlo solo di barriere fatte di mura di cinta e filo spinato, ma anche di recinzioni mentali, frontiere culturali e steccati psicologici che a ogni bomba si fanno più insormontabili.
Sono cose che dico da almeno trent’anni, quando si cominciava a parlare delle magnifiche sorti del postmoderno e dei progressi che avrebbe apportato la globalizzazione; e io facevo a cazzotti ideologici con qualche candido prof dell’Orientale, citando a supporto delle mie perplessità Juan Goytisolo, il vecchio Marx, Leopardi, Voltaire e Pasolini.
In un post del 2003, l’anno di nascita di questo blog, scrivevo:
“Con la globalizzazione siamo finalmente liberi di conoscere tutto quello che ci vogliono far conoscere e comprare tutto quello che ci inducono a comprare.
Ma che esistesse altra gente fuori di qui la maggior parte di noi sembrava non accorgersene, allora, almeno fino a quando il terzo mondo se ne è stato buono buono a morire di fame a casa sua.
E intanto qui nel vasto occidente eravamo tutti intenti ad acquisire la Cina alla causa della globalizzazione (quanti di voi ricordano quando è entrata la RPC nel WTO, con i buoni auspici di Renato Ruggiero, allora direttore generale dell’organizzazione mondiale del commercio?). Pensavamo di vendere pomodori e automobili a milioni di cinesi e siamo diventati il loro mercato.
In parallelo, l’economia occidentale ha subito un progressivo processo di finanziarizzazione fatto di bolle di sapone e sogni pinocchieschi (quanti di voi hanno investito in borsa illudendosi di veder crescere i capitali come le mele sugli alberi e i cattivi pensieri nella testa di un adolescente o di una zitella repressa?).
Tutto si sfaldava, come le tessere di un domino o le case nel sud terremotato, ogni struttura andava in crisi e mandava in crisi la struttura del vicino; solo i ricchi continuavano ad arricchirsi; mentre la classe media e i nuovi e vecchi poveri continuavano a scendere giù per la discesa a velocità sempre più folle, come se niente fosse, fino a sprofondare nelle incertezze e nelle paure di questi anni e di questi mesi.
Abbiamo globalizzato il sopruso, la prevaricazione, l’insoddisfazione, l’ingiustizia, la violenza, i mezzi di distruzione, le strategie di attacco e il disagio, e queste sono le fottute conseguenze fatte di chiusura, diffidenza e terrore da una parte e chiusura, diffidenza e terrorismo dall’altra.
E non venite a parlarmi di guerre di religione e sacrosante alleanze, che vi scasso la croce in testa o vi faccio fare capa e corano, capa e bibbia o capa e talmùd, che per me sono più o meno la stessa cosa. Prima o poi comincerò a essere veramente intollerante con gli intolleranti di ogni razza, foggia, religione e natura. (Con tutta questa crisi che c’è intorno, serve anche a me un fottuto capro espiatorio contro cui sfogare le mie ansie, le mie insoddisfazioni e le paure che mi porto addosso).