L’anno sarà nuovo se sapremo rinnovarlo, se sapremo rinnovarci. Non si tratta di cambiare almanacco o segno zodiacale, si tratta di cambiare sistema, metodo e vita.
Ma al di là di tutto, trovo che sia bello illudersi che il prossimo anno possa essere migliore di quello passato e che possiamo lasciare i guai e le sofferenze fuori la porta, accartocciati nell’ultima pagina dello scorso calendario.
E provo a dirvelo anche in versione video con l’aiuto (alquanto estorto, in verità) di mia figlia, che resta una delle cose più belle dell’anno passato e dell’anno a venire. Per me. E già immagino che quando leggerà dirà: “Ma come UNA? Io sono LA cosa più bella…”.
Ho trovato questo mio calligramma di 8 anni fa, collegato alla arcinota notizia secondo la quale l’icona moderna di un signore gioioso e barbuto vestito di rosso e bianco si è consolidata attraverso una campagna pubblicitaria della Coca Cola risalente agli inizi degli anni ’30. Alla fine del calligramma (che sembra l’inizio) si giocava già (perversa-mente) con l’ambiguità semantica della parola coca.
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Ma oggi ho voluto rendere più chiaro il legame tra le feste e gli abusi (di cui ho parlato anche qua qualche giorno fa) con questo rimaneggiamento che visto dal basso verso l’alto fa così:
¡Esperamos que tengáis unas fiestas escalofriantes y un año tremendo!
I nostri migliori auguri di feste da brivido e di un anno tremendamente bello.
Ve li facciamo Stefania e io attraverso questo video fatto di scorci e di immagini sghembe realizzate in fretta e furia senza troppi ritocchi e abbellimenti. Riprese e scatti sinceri e un po’ giocosi in cui non si nascondono nei, brufoli, canizie, calvizie, asimmetrie e altre brutture (mie, soprattutto, of course). E, tra una sequenza e l’altra, qualche disegnino creato per l’occasione.
Scherzi a parte, tante cose belle a tutti e soprattutto a chi ne ha più bisogno e necessità!
Gli auguri continuano qui per quelli che, come me, sono appassionati di fogli elettronici. Ma anche per gli altri, basta cliccare su questo link aspettare che il file si apra in Google Fogli, scrivere il proprio nome e cognome nella cella A2, cliccare su INVIO e vedere l’effetto che fa.
I miei auguri alla mia lettrice forte, la mia figlia preferita ;)
Leggendo ci si allontana dal mondo per comprenderlo meglio. Leggere e leggendo leggersi e leggere il mondo. Leggere per librarsi oltre e dentro la realtà.
Oggi è il dodicesimo compleanno di mia figlia (mi è venuto di scrivere “Oggi è il dodicesimo compleanno della mia piccola“, ma mi sono tenuto). Lei è una divoratrice di carta stampata (ma le piacciono anche i dolci, la buona cucina e il cibo spazzatura) e io a colazione gli auguri glieli ho fatti così.
“Che non si esaurisca mai questa tua passione e che tu possa continuare a lungo e per sempre a vivere e a sentire dentro di te le vite degli altri.”
“Che tu possa mantenere per sempre il gusto e il piacere di allontanarti dal mondo per comprenderlo meglio attraverso la lettura.”
“Che tu possa essere più intelligente e meno sdolcinata di tuo padre.”
“Che tu non perda mai la bellezza del tuo sorriso.”
Questi sono i quattro post-it attaccati sulla carta regalo dei suoi primi due doni della giornata.
Lei, invece, la scritta sulla torta l’ha voluta con una citazione della sua autrice di romanzi preferiti che, peraltro, si firma con lo pseudonimo di Stefania S.
“A chi non ha paura di correre sotto al sole.”
Poi, a sera, sono arrivati gli amici a rallegrarci la serata.
Santa Rosa da Lima è stata la prima santa canonizzata del continente sudamericano ed è la patrona dell’America Latina, dell’India, delle Filippine, dei giardinieri e dei fioristi (e forse anche degli automobilisti, dei linotipisti, dei gatti neri e dei pessimisti).
Nacque il 20 aprile 1586 da nobili genitori spagnoli e morì il 24 agosto del 1617, anche se attualmente la chiesa cattolica la commemora il 23 agosto e la maggior parte delle persone del Sud Italia continuano a festeggiare il suo nome il 30 agosto, secondo la tradizione del calendario della messa tridentina.
Decima di tredici figli, fu battezzata Isabel, come la nonna, ma veniva chiamata Rosa dalla sua balia india, perché la bellezza del suo incarnato le ricordava il fiore dei fiori. Probabilmente attraverso il contatto con la sua amorevole balia, che, in pratica, le fece da madre, questa discendente dell’alta aristocrazia spagnola sviluppò un attaccamento al mondo degli indios peruviani che difese in tutta la sua esistenza contro gli abusi e le sopraffazioni dei cristiani spagnoli.
Insomma, a quanto pare Isabel fu una rosa non priva di spine verso coloro che, Vangelo alla mano, esercitavano violenza nei confronti dei nativi peruviani.
Ma forse sono io che mi sto facendo un po’ prendere la mano e sto travisando un po’ i fatti.
In ogni caso, lascio qui i miei auguri a tutte le Rose con tre opere dell’artista contemporaneao peruviano Eduardo Tokeshi Namizato (la seconda è proprio dedicata alla santa sua compaesana che porta il vostro florido nome).
Carmine, Carmelo, Carmela, Carmen, Melania e derivati. Questo nome è il più diffuso della mia famiglia da nonni a nipoti. E lo portano anche tanti miei amici e conoscenti. Un nome sacro e profano che ricorda un monte, la poesia, il carme, la madonna e la più avvenente delle gitane andaluse.
Il rebus (ormai “sgamatissimo”) è mio, l’illustrazione una litografia di Marc Chagall del 1966 per una rappresentazione del capolavoro di Bizet che ci ha insegnato che l’amour est un oiseau rebelle.
Ma ascoltiamola l’habanera della Carmen, in una versione della divina Maria Callas.
Senza ombra di dubbio, si tratta di una delle più celebri arie del repertorio lirico. Bizet la compose ispirandosi ampiamente a “El Arreglito“, un brano del compositore basco Sebastián de Yradier (1809-1865), noto anche come autore de “La Paloma“, un’altra habanera spagnola di influenza cubana.
(Pare che all’inizio Bizet pensasse che si trattasse di un motivo di tradizione popolare, ma poi, quando si rese conto di aver saccheggiato una habanera d’autore, riconobbe i diritti di Yradier. Nel senso che aggiunse il nome del musicista spagnolo sui margini superiori dello spartito; non credo che nel XIX secolo si mettesse mano alla tasca, in casi simili.)
Ma, oltre alla musica – trascinante -, l’habanera consiste anche di un testo di grande e romantica modernità che Bizet scrisse in collaborazione con i librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Ne riporto qui una mia traduzione (piuttosto libera) che prova a restituire la forza dirompente dei versi originali. Leggetela e lasciatevi scuotere.
L’amore è un passero ribelle e nessuno lo potrà mai domare Inutile continuare a invocarlo Quando decide di andarsene non c’è minaccia o preghiera che lo smuova Uno parla parla l’altro tace ed è l’altro che io preferisco Non ha detto niente ma mi piace L’amore L’amore L’amore L’amore
L’amore è uno tzigano ignaro di ogni legge Se tu non mi ami io ti amo se io ti amo stai attento a te Sta attento a te se mi ami
L’uccello che credevi di rinchiudere batte le sue ali e vola via L’amore è lontano e tu sei là che aspetti Non l’aspetti più e lui è là Tutto intorno a te veloce veloce viene se ne va e poi ritorna Se credi di tenerlo lui ti evita Se credi di evitarlo lui ti tiene L’amore L’amore L’amore L’amore
L’amore è uno tzigano ignaro di ogni legge Se tu non mi ami io ti amo se io ti amo stai attento a te Sta attento a te se mi ami
E con questo iperromantico teorema amoroso, vi lascio, rinnovando i miei auguri a tutte e a tutti i portatori di questo nome carmico.
Oggi è il giorno delle “Grazie”, festeggiato da tante amiche, parenti e conoscenti che portano il nome Grazia, Maria Grazia, Mariagrazia, Graziella, Graziuccia, Graziana e grazie a ‘o c…, va be’, m’è scappato… Perdonatemi.
Si tratta, naturalmente, di uno dei tanti nomi con cui è conosciuta la madre di Gesù Cristo nei paesi di cultura cattolica. Maria, nel culto popolare, si moltiplica come una dea dalle mille facce e innumerevoli apparizioni. Ma, apprendo da Nonno Wiki, “la Chiesa cattolica non ha nel proprio anno liturgico una festa specifica per la Madonna delle Grazie: questo titolo è associato a diverse feste mariane in base alle consuetudini locali e alla storia dei singoli santuari.”
Dunque, quello che festeggiamo oggi a Napoli e zone collegate è l’episodio evangelico della visita di Maria a sua cugina Elisabetta, la madre di Giovanni Battista, il futuro decollato. Ad annunciazione avvenuta, Maria, consapevole ormai di essere incinta, va a fare visita alla cugina, anche lei in attesa, e le resta accanto fino alla nascita di Giovanni. Poi, in un giorno che viene calcolato proprio intorno al 2 luglio, rientra a Nazareth.
Pertanto, quella di oggi è, in un certo senso, la festa della visitazione e dell’attesa immortalata in molti quadri a sfondo religioso, tra i quali, il mio preferito è questo capolavoro di Pontormo, conosciuto come Visitazione di Carmignano.
La scena di forte impatto cromatico e teatrale, inquadra due donne in stato di grazia, che si incontrano affettuosamente, scambiandosi in silenzio le emozioni e le trepidazioni dell’attesa. Sotto i loro drappi si intuisce la presenza di due ingombranti pancioni. Tra la vecchia cugina (madre tardiva) e la giovane vergine gravida, si instaura un intenso sguardo di intesa. C’è sintonia ed empatia, tra loro, ma forse anche un filo di preoccupazione per il mistero che portano in grembo. Alle loro spalle altre due donne (come loro, di differente età) hanno uno sguardo perso nel vuoto, che, inevitabilmente finisce per intercettare lo sguardo nostro mentre guardiamo il quadro. Il tutto in un’atmosfera sospesa, metafisica, rafforzata da un enigmatico dettaglio che si intravede sullo sfondo del quadro: due figure incompiute che sembrano provenire dal futuro, due uomini disegnati con tratti proto-espressionistici che parlano tra di loro, indifferenti alla scena; quasi a sottolineare l’estraneità del mondo maschile da questo incontro tra donne; cose di femmine, insomma…
Di questo capolavoro esiste anche uno studio preparatorio conservato agli Uffizi (il dipinto, invece, è custodito nella chiesa parrocchiale dei Santi Michele e Francesco a Carmignano, in provincia di Prato).
Da questo studio risulta ancora più evidente la composizione “a rombo” dei quattro corpi; un costrutto scenico che sembra ispirato all’incisione di Dürer delle Quattro streghe (1497).
Siamo scivolati, così, dal mondo della religione a quello della magia nera. Ma è evidente che entrambi i quadri sono iscritti in una stessa linea iconografica che parte da molto lontano. Guardate, per esempio, queste Tre Grazie, risalenti al IV secolo a C.: un piccolo affresco (63 x 60 cm) ritrovato a Pompei e custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Più o meno dello stesso periodo delle streghe di Dürer e della visitazione di Pontormo anche le tre grazie che danzano tra Venere e Mercurio nella Primavera di Botticelli (1482 ca., olio, 203 x 314 cm, Uffizi, Firenze) e quelle di Raffaello Sanzio (1503 ca., olio, 17 x 17 cm, Museo Condé di Chantilly), dove le tre figure femminili sembrano ricalcare ancor più da vicino la postura classica che ritroviamo nell’affresco pompeiano.
Quanta grazia e quanta bellezza. Soprattutto nel quadretto di Raffaello.
Ma si sta facendo tardi. Chiudo questa serie di madonne, grazie e streghe con un meraviglioso disegno a carboncino e gessetto dello stesso Jacopo Pontormo da cui è cominciata questa piccola rassegna di arte varia (Le Tre Grazie, 1535-1536, 29.5 x 21.2 cm, Uffizi, Firenze).
La posizione danzante pare rimandare alle grazie della Primavera di Botticelli, ma è evidente che qui i riferimenti possono continuare in una catena pressoché infinita di figure femminili raffigurate di volta in volta come divinità, come madonne, come fate o come streghe, ma sempre dotate di ineffabile grazia.
Uffa, credevo di averlo inventato io quel MerryvaXmas, poi ho controllato in rete e ho visto che qualcuno lo aveva già pensato, espresso e diffuso. Ma era troppo ovvio perché nessuno ci fosse arrivato prima di me. Soprattutto nei Paesi di lingua inglese.
A proposito di lingue e linguaggi, ve li voglio ribadire in (quasi) tutte le lingue d’Europa i miei auguri.
Li ho presi dalla preziosa pagina multilingue di Jakub Marian.
Ma fatemelo ripetere pure quest’anno che il nuovo anno sarà nuovo se sapremo rinnovarlo, se sapremo rinnovarci; e che non ci manchi mai un desiderio da realizzare, qualcosa da imparare, un posto in cui voler stare e qualcuno con cui andarci. Magari senza timori e senza mascherine.
Ok. Sto spargendo troppo zucchero. Mitigo con quattro amare vignette del grande Altan. Vignette vecchie ma sempre attuali che ho messo insieme e ricolorato per il gusto di accostare il nome di Altan a quello di Aitan.
Vabbuò. Basta mo!
Fine danno (Fosse ‘a Madonna!)
¡Feliz 2022 a todos los que comparten el deseo de un mundo mejor!